
L'indagine sulla responsabilità professionale per omesso svolgimento di un'attività ricompresa nel mandato difensivo si concreta «in un giudizio prognostico sul possibile esito dell'attività non compiuta». Pertanto, ai fini risarcitori, il cliente deve dimostrare che senza l'omissione del legale la vittoria nella causa sarebbe stata «più probabile che non».
L'attuale ricorrente conferiva a due avvocati procura per proporre ricorso innanzi gli organi di giustizia amministrativa avverso il provvedimento del Comune di Pesaro di diniego di rinnovo della concessione demaniale su un tratto di spiaggia facente parte di un'azienda turistica. Il TAR Marche accoglieva l'impugnativa, ma il Consiglio di Stato...
Svolgimento del processo
1. A.B. conferì agli avvocati U.S. e C.A. procura per proporre innanzi gli organi di giustizia amministrativa ricorso avverso il provvedimento del Comune di P. del 23 giugno 2003 di diniego di rinnovo della concessione demaniale su un tratto di arenile ubicato in detto Comune, facente parte (in uno al limitrofo campeggio) di azienda turistica, affittata al B. (con contratto avente scadenza 31 dicembre 2002) da D.D.S..
La sentenza del TAR Marche, di accoglimento dell’impugnativa, venne annullata dal Consiglio di Stato, per pretermissione ab origine della notifica del ricorso a controinteressato necessario.
2. A seguito di ciò, A.B. convenne in giudizio innanzi il Tribunale di Ancona U.S. e C.A. e ne chiese, previo accertamento della responsabilità professionale per aver omesso la notifica del ricorso amministrativo ai controinteressati, la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, patiti per il mancato accoglimento della istanza in sede amministrativa. La controversia di prime cure, svolta nella attiva resistenza dei convenuti e con la partecipazione della Generali Italia S.p.A., quale terzo chiamato in garanzia da parte convenuta, è stata definita con il rigetto della domanda attorea.
3. Siffatta statuizione è stata poi confermata dalla decisione in epigrafe indicata, la quale, tuttavia, in parziale accoglimento dell’appello interposto da A.B., ha compensato per intero le spese dei due gradi di giudizio tra tutte le parti in lite.
4. Ricorre per cassazione A.B., affidandosi a tre motivi, cui resistono, con distinti controricorsi, da un lato, U.S. e C.A. e, dall’altro, la Generali Italia S.p.A., la quale propone altresì ricorso incidentale articolato in un motivo.
5. Le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., il ricorrente principale deduce che il giudice territoriale non ha considerato la pronuncia del TAR Marche di accoglimento della impugnativa del diniego di rinnovo della concessione demaniale.
La doglianza è inammissibile, per un duplice ordine di ragioni.
1.1. In primo luogo, per la carente esposizione del fatto processuale, con palmare inosservanza del requisito di contenuto- forma prescritto dall’art. 366, primo comma, num. 3, del codice di rito. Nell’intendere la portata di tale elemento di contenuto - forma dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, questa Corte, con indirizzo euristico ormai consolidato ed al quale si intende assicurare continuità, ha precisato che per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito.
Al fondo, la prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di garantire al giudice di legittimità una conoscenza chiara e completa del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, al fine di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la stessa sentenza gravata (sul tema, cfr., ex plurimis, Cass. 08/03/2022, n. 7579; Cass. 03/11/2020, n. 24432; Cass. 12/03/2020, n. 7025; Cass. 13/11/2018, n. 29093; Cass. 28/05/2018, n. 13312; Cass. 24/04/2018, n. 10072; Cass. 03/02/2015, n. 1926).
Orbene, nello sviluppo del motivo in esame - contraddistinto, per gran parte, dalla trascrizione della motivazione del provvedimento del TAR Marche di accoglimento in prime cure del ricorso avverso il diniego di rinnovo della concessione – non si rinviene una (pur non analitica o particolareggiata, ma quantomeno) adeguata esposizione dei fatti di causa, dalla quale poter inferire modi e tempi dell’adduzione della pronuncia de qua a suffragio della domanda di condanna formulata, della sua correlazione con i presupposti integranti la asserita fattispecie di responsabilità professionale, della sua posizione come motivo di censura specificamente sottoposto al vaglio del giudice di appello.
1.2. In secondo luogo, poiché la violazione lamentata è estranea al paradigma del vizio denunciabile con l’impugnazione di legittimità ai sensi del num. 5 del primo comma dell’art. 360 del codice di rito.
La norma ora richiamata, per come novellata dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 54, convertito dalla legge 7 agosto 2022, n. 134, consente, nel contesto di un rimedio a critica vincolata quale il ricorso per cassazione, consente l’adizione del giudice di legittimità per l’omesso esame di un «fatto» (e non già, come nella precedente versione della norma, di un «punto»), locuzione da intendersi come relativa ad un fatto storico, principale o secondario, cioè a dire ad un preciso accadimento di vita o una specifica circostanza in senso storico- naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (ex plurimis, da ultimo, cfr. Cass. 07/06/2022, n. 18318; Cass. 26/04/2022, n. 13024; Cass. 16/03/2022, n. 8584; Cass. 26/01/2022, n. 2268).
Dall’accezione così individuata esula, in tutta evidenza, la doglianza in vaglio, concernente invece una questione o argomentazione difensiva, pertanto inammissibile.
2. Il secondo motivo del ricorso principale lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ..
L’impugnante assume che la Corte d’appello abbia compiuto il giudizio prognostico sull’esito della lite in base ad un’interpretazione dell’art. 37 cod. nav. e non già, come invece doveroso, avendo riguardo «agli atti di causa e alle valutazioni adottate dagli organi che hanno emesso i relativi provvedimenti»; denuncia poi la mancata applicazione del criterio del «più probabile che non» quanto alla prova del nesso causale, con l’effetto di gravare indebitamente l’attore di una probatio diabolica circa l’assoluta certezza della favorevole conclusione del giudizio amministrativo.
2.1. Il motivo non può trovare accoglimento.
Ribadita l’inosservanza del requisito formale di cui all’art. 366, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., anche in relazione alla censura in parola, quest’ultima risulta comunque giuridicamente infondata, sotto ambedue i profili prospettati.
Il primo aspetto, infatti, si rivolve nella illustrazione, condotta attraverso affermazioni generali ed astratte, di un errore di giudizio non meglio specificato (risulta in particolare connotata da assoluta vacuità l’asserzione secondo cui la decisione doveva fondarsi «sui fatti di causa») e, comunque, insussistente, dacché il richiamo all’art. 37 cod. nav. ai fini dell’apprezzamento della fondatezza - o meno - della domanda in sede amministrativa era stato operato dall’odierno ricorrente con la proposizione dell’appello e comunque, involgendo l’applicazione di una norma, certamente operabile di ufficio.
Quanto alla seconda questione, il giudice di merito si è conformato al consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui l’indagine sulla responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività ricompresa nel mandato difensivo si concreta in un giudizio prognostico sul possibile esito dell’attività non compiuta (tra le tante, Cass. 06/05/2020, n. 8516; Cass. 24/10/2017, n. 25112; cass. 10/12/2012, n. 22376).
La gravata decisione, invero, opera la valutazione sull’accoglibilità del ricorso amministrativo in termini di verosimiglianza e probabilità, sulla scorta della ricognizione sugli indirizzi ermeneutici di dottrina e giurisprudenza in tema di rinnovo della concessione demaniale, ed addiviene alla conclusione (espressa, appunto, con formula dubitativa) per cui «le considerazioni che precedono frappongono forti dubbi a ritenere che, con la partecipazione del D. S. al giudizio, l’esito del medesimo sarebbe stato favorevole al B.».
Non è pertanto accollata all’attore alcuna probatio diabolica di sicuro o certo esito vittorioso della lite, a quegli incombendo soltanto l’onere di somministrare al giudicante elementi per una congruente e sostenibile prognosi di probabilità di successo dell’azione giudiziaria, oggetto dell’incarico professionale del cui inadempimento si tratta, preponderante rispetto a quella di insuccesso.
3. Il terzo motivo del ricorso principale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1176, secondo comma, cod. civ. e dell’art. 37 cod. navig., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ..
Si contesta, segnatamente, la valutazione compiuta dal giudice territoriale in ordine al c.d. diritto di insistenza, ovvero alla preferenza riconosciuta al precedente concessionario, da considerarsi invece quale «criterio secondario, rilevante nel solo caso in cui l’amministrazione avesse deciso di affidare il bene mediante gara o procedura comparativa», evenienza non verificatasi nella specie.
Si censura, infine, la sentenza nella parte in cui, nel denegare l’esperimento di consulenza tecnica di ufficio, ha espresso dubbi sulla esistenza («quantomeno nella rilevante cifra postulata») del danno lamentato dall’odierno ricorrente.
Il motivo è inammissibile.
3.1. L’impugnata sentenza fonda il proprio convincimento sull’esito probabilmente non favorevole del contenzioso amministrativo non già o non tanto sul c.d. diritto di insistenza, bensì piuttosto sull’ampiezza del potere discrezionale attribuito alla Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle funzioni di gestione del demanio marittimo e su una ipotizzabile preferenza in favore del proprietario D. S. siccome in grado di garantire l’uso dell’arenile quale pertinenza del campeggio.
La ratio decidendi, così sintetizzata, non è criticamente attinta dal motivo in esame.
3.2. La seconda doglianza concerne invece un’argomentazione svolta ad abundantiam e priva di decisività: il dubbio sulla verificazione del danno nei termini paventati dall’attore viene espresso dal giudice territoriale soltanto ad ulteriore corredo del preliminare rilievo del difetto di prova della negligenza professionale quale ragione giustificatrice della superfluità dell’indagine tecnica sulla esistenza e sull’ammontare dello stesso pregiudizio.
4. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, per violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, 5/2023
primo comma, num. 3, cod. proc. civ., Generali Italia S.p.A. censura la disposta compensazione delle spese di lite tra le parti.
In specie, si assume che detta pronuncia sia stata illegittimamente argomentata dalla «assoluta novità della questione», cioè a dire in virtù della formulazione dell’art. 92 cod. proc. civ. come novellata dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla legge 10 novembre 2014, n. 162: norma, tuttavia, ratione temporis non applicabile alla controversia in questione, in quanto procedimento instaurato in primo grado prima del 10 dicembre 2014 (trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge n. 162 del 2014).
4.1. Il motivo, pur muovendo dalla corretta individuazione della disposizione applicabile al caso, non conduce alla anelata cassazione della statuizione regolatrice delle spese di lite.
È dirimente osservare, al riguardo, che pure nella versione dell’art. 92 cod. proc. civ. previgente alla modifica apportata dal d.l. n. 132 del 2014, questa Corte, con orientamento reiterato ed unanime, aveva ravvisato tra le «gravi ed eccezionali ragioni» idonee a giustificare la compensazione delle spese di lite anche la novità delle questioni (di fatto o di diritto) oggetto della decisione (così Cass. 15/05/2018, n. 11815; Cass. 29/11/2016, n. 24234; Cass. 16/03/2016, n. 5267; Cass., Sez. U, 22/02/2012, n. 2572).
5. In conclusione e per riepilogare: sono rigettati tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale.
6. La soccombenza reciproca giustifica l’integrale compensazione delle spese del grado tra il ricorrente principale ed il ricorrente incidentale, mentre il ricorrente principale va condannato alla refusione delle spese del presente giudizio (liquidate secondo tariffa, come da dispositivo, in relazione al valore della controversia) in favore dei controricorrenti A. e D.S., tra loro in solido per l’evidente identità della posizione processuale.
7. Atteso l’esito della lite, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass., Sez. U, 20/02/2020, n. 4315) per il versamento - ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 - da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto, ove dovuto, rispettivamente per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale. Rigetta il ricorso incidentale.
Condanna il ricorrente principale, A.B., al pagamento in favore dei controricorrenti C.A. e U.S., tra loro in solido, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 (diciottomila/00) per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Dichiara compensate per intero le spese del giudizio di legittimità tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto, rispettivamente, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.