Il momento in cui viene emesso un provvedimento di restituzione con conseguente nuovo esercizio dell'azione penale da parte del PM segna il confine oltre il quale gli eventi realizzatisi anteriormente non possono spiegare alcun effetto perché il fatto, oggetto dei distinti procedimenti, è diverso rispetto a quello per il quale è stata in precedenza esercitata l'azione penale.
La Corte d'Appello di Cagliari riformava parzialmente la sentenza con la quale il GUP aveva condannato uno degli imputati per il delitto di appropriazione indebita e assolto l'altro.
Contro tale decisione, la difesa del condannato propone ricorso in Cassazione contestando, tra i diversi motivi, l'accertamento del termine di prescrizione del reato...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, con la sentenza impugnata in questa sede ha parzialmente riformato la sentenza con cui il G.u.p. del Tribunale di Nuoro in data 13 dicembre 2016 aveva condannato M. S. per il delitto di appropriazione indebita assolvendo, invece, P. A. dalla medesima imputazione; la Corte territoriale confermava il giudizio di responsabilità nei confronti del M. e, in accoglimento dell'appello del P.M., condannava anche la P. per il medesimo delitto. Gli imputati, quali procuratori degli eredi della vittima di un incidente stradale, avevano patrocinato il giudizio di risarcimento del danno convenendo la costituzione di un conto su cui depositare le somme riscosse dopo la sentenza di primo grado, somme da imputare in parte agli onorari spettanti agli imputati e in parte ad eventuali restituzioni in ipotesi di soccombenza nel successivo grado di giudizio; le somme erano state impiegate per fini personali degli imputati, così realizzando la condotta di appropriazione.
2. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputato M. deducendo, con il primo motivo, violazione di legge in riferimento agli artt. 441, 442 e 521, comma 2, cod. proc. pen.; il provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado (in cui si contestava il medesimo fatto, come commesso in un differente periodo temporale) con cui il G.u.p. aveva pronunciato ai sensi dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. la restituzione degli atti al P.M. era affetto da nullità, perché emesso non prima della discussione delle parti, ma dopo che P.M. e difesa avevano esposto le rispettive conclusioni.
2.1. Con il secondo motivo si deduce vizio della motivazione (per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità) nonché travisamento della prova, con riguardo all'omesso esame del profilo riguardante l'individuazione del momento consumativo dell'appropriazione; alla luce dei documenti relativi al giudizio civile instaurato dagli assistiti degli imputati, per ottenere la restituzione delle somme depositate sul conto ed oggetto dell'ipotizzata appropriazione, era risultato che l'obbligo di restituzione era sorto in epoca successiva a quella indicata nell'imputazione, sicché il fatto di reato non era sussistente; la Corte territoriale aveva ignorato del tutto tali prove documentali, incorrendo nel denunciato travisamento per omissione.
2.2. Con il terzo motivo si deduce violazione della legge penale, in riferimento agli artt. 157, 158, 159, 161 c.p. e 129 cod. proc. pen., nonché vizio della motivazione (contraddittoria e manifestamente illogica) con riguardo all'individuazione dell'epoca del commesso reato, in quanto la sentenza aveva totalmente ignorato le deduzioni dell'appellante che, richiamando gli esiti degli accertamenti investigativi, aveva dimostrato come già dal 31 maggio 2010 risultava la "spoliazione" del conto corrente ove dovevano essere depositate le somme nell'interesse delle parti assistite dal ricorrente.
2.3. Con il quarto motivo si deduce violazione della legge penale, in riferimento agli artt. 157, 158, 159, 161 cod. pen. e 129 cod. proc. pen., nonché vizio della motivazione (contraddittoria e manifestamente illogica) con riguardo all'accertamento del termine di prescrizione del reato contestato. La sentenza impugnata aveva escluso l'intervenuta prescrizione del reato considerando quale periodo di sospensione del corso della prescrizione quello corrispondente al rinvio disposto all'udienza del 16 giugno 2015, che invece concerneva altro procedimento, ossia quello relativo al giudizio abbreviato conseguente all'emissione del decreto penale di condanna (n. 636/2014) definito con l'ordinanza del 17 novembre 2015, cui aveva fatto seguito l'apertura del nuovo procedimento (per un fatto diverso quanto alla data di commissione del reato) concluso in primo grado con la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Nuoro del 13 dicembre 2016, e con la successiva sentenza della Corte d'appello oggetto di ricorso; il che importava che il termine massimo di prescrizione, considerando il periodo di sospensione dettato dal d.l 18/2020 e la data di commissione del reato fissata nel mese di settembre 2013, era maturato il 4 maggio 2021 o, volendo considerare la consumazione del reato perfezionata nel mese di ottobre 2013, il 4 giugno 2021, in epoca anteriore alla pronuncia di appello.
3. Ha proposto ricorso la difesa dell'imputata A. G. M. P. deducendo, con unico articolato motivo, vizio della motivazione, anche per travisamento per omissione, per il difetto di motivazione rafforzata necessario per sovvertire il giudizio assolutorio di primo grado; la Corte territoriale aveva omesso di valutare la portata del giudizio civile, in cui era stata esclusa ogni obbligazione restitutoria gravante sulla ricorrente (che non aveva preso parte alla conclusione del contratto di deposito fiduciario delle somme); non aveva indicato la forma e il contributo del concorso della ricorrente nella condotta di appropriazione; non aveva considerato l'accertata falsità, in sede civile, della sottoscrizione della ricorrente apposta sul contratto di deposito fiduciario, travisando anche il dato - indimostrato - della partecipazione della P. alle trattative tra i legali e i clienti per definire i termini dell'accordo per il compenso da corrispondere e per le modalità di costituzione del deposito. Ulteriore travisamento era stato realizzato nel riportare le dichiarazioni della teste persona offesa R., che aveva escluso tassativamente che la P. avesse partecipato alla conclusione dell'accordo; infine, alcuna prova risultava della partecipazione della P. alle attività esecutive dell'incarico di costituzione del deposito fiduciario e a quelle successive di movimentazione delle relative somme.
4. La Corte ha proceduto all'esame del ricorso con le forme previste dall'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 176/2020, applicabili ai sensi dell'art. 16, d.l. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni dalla l. 25 febbraio 2022, n. 15.
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto nell'interesse dell'imputato M. è fondato nei termini di seguito indicati.
1.1. Il primo motivo è reiterativo, oltre che manifestamente infondato; la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale «non è abnorme il provvedimento di trasmissione degli atti al pubblico ministero emanato nel corso del rito abbreviato, allorché il giudice accerti che il fatto è diverso da quello descritto nell'atto di imputazione, in quanto la scelta dell'imputato di essere giudicato allo stato degli atti non comporta una cristallizzazione del fatto reato nei limiti dell'imputazione» (Sez. 2, n. 18566 del 21/02/2019, Pulcini, Rv. 276099 - 01; nello stesso senso, Sez. 2, n. 859 del 18/12/2012, dep. 2013, Chiapolino, Rv. 254186; Sez. 5, n. 595 del 21/10/2008, dep. 2009, Anzalone, Rv. 242543; Sez. Unite, n. 5307, del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238239); né rileva il momento in cui il provvedimento viene pronunciato, ossia nel corso del giudizio o all'esito della discussione delle parti, trattandosi di potere che in ogni caso deve essere esercitato per garantire la corrispondenza tra il fatto storico oggetto del processo e l'imputazione su cui deve pronunciarsi il giudice con la sentenza.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Dalla lettura delle decisioni di merito emerge che, una volta depositata la sentenza di secondo grado nel giudizio civile nel mese di luglio 2013 e formulate le richieste di restituzione delle somme, non accolte dal M. (mentre sul conto non risultava la disponibilità delle somme già apprese dall'imputato), era venuto meno il titolo in forza del quale le somme erano nel possesso dell'imputato, con il conseguente obbligo immediato di restituzione, considerata anche la contestuale revoca del mandato professionale. La diversa ricostruzione fornita dalle decisioni rese in sede civile (nel giudizio instaurato nei confronti degli imputati per ottenere la restituzione delle somme depositate nel loro interesse), comunque non vincolante per il giudizio penale, aveva ad oggetto il profilo civilistico della restituzione delle somme, che non interferisce con l'accertamento in sede penale della condotta appropriativa già realizzatasi per effetto delle vicende su indicate.
1.3. Il terzo motivo è reiterativo, oltre che manifestamente infondato: se pur la condotta di appropriazione si realizza in modo istantaneo con il primo atto espressivo della volontà di mutare il titolo in forza del quale le cose sono possedute dall'agente, ove il titolo preveda l'obbligo di restituzione a condizione che risulti una espressa richiesta del proprietario il delitto di consuma solo dopo che l'agente, avuta contezza della volontà della controparte di riottenere la disponibilità del bene, si rifiuti di aderire alla richiesta (Sez. 2, n. 46744 del 19/09/2018, Gottardi, Rv. 274650 - O; Sez. 2, n. 25282 del 31/05/2016, Nunzella, Rv. 267072 - O; Sez. 2, n. 25288 del 31/05/2016, Trovato, Rv. 267114 - O). Come indicato nell'esame dei motivi che precedono, secondo gli accordi conclusi tra le parti l'obbligo di restituire ai propri assistiti le somme (che erano depositate sul conto appositamente sostituito per salvaguardare le parti, nell'ipotesi della riduzione delle somme riconosciute a titolo di risarcimento del danno e del conseguente obbligo di restituirle alle parti convenute nel giudizio) sorgeva solo a partire dal momento in cui veniva meno il vincolo impresso su quelle somme dalla pendenza del giudizio civile in grado di appello.
1.4. E' fondato il quarto motivo di ricorso.
Come risulta dalla ricostruzione delle vicende processuali, nell'originario procedimento sorto dopo la presentazione delle querele da parte delle persone offese, l'azione penale era stata esercitata con l'emissione del decreto penale di condanna (n. 636/2014) in cui si contestava il delitto di appropriazione indebita commesso nell'anno 2008; quel procedimento si era concluso con la pronuncia dell'ordinanza ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen. da parte del G.u.p. del Tribunale di Nuoro in data 17 novembre 2015.
Restituiti gli atti all'ufficio del P.m., era stato instaurato un nuovo e diverso procedimento, contestando il medesimo delitto come commesso nel mese di settembre 2013; l'azione penale era stata nuovamente esercitata con l'emissione di un nuovo decreto penale di condanna (n. 158/2016), con opposizione da parte degli imputati e ammissione al giudizio abbreviato, poi definito con le sentenze del G.u.p. del Tribunale di Nuoro e, successivamente, con la sentenza della Corte d'appello oggetto del ricorso.
Il provvedimento di restituzione degli atti all'ufficio del P.M. (con il conseguente nuovo esercizio dell'azione penale) segna il confine oltre il quale gli eventi realizzatisi anteriormente, e che avrebbero influito sul corso della prescrizione (interruzioni e sospensioni), non possono spiegare alcun effetto; e ciò per la duplice ragione della diversità del fatto, oggetto dei distinti procedimenti, e della corrispondenza che deve sussistere tra il fatto di reato e il procedimento con il quale viene accertata la responsabilità per quello specifico fatto, al fine di valutare la progressione del termine di prescrizione e gli effetti delle eventuali cause di interruzione o sospensione del relativo corso.
E' nozione ormai condivisa nella giurisprudenza di legittimità quella che definisce gli effetti del provvedimento ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen. in termini di propulsione per l'esercizio dell'azione penale in ordine al diverso fatto che sia emerso, anche nel corso e all'esito del giudizio abbreviato (v. la giurisprudenza già richiamata nel§ 1.1.). Secondo le indicazioni delle Sezioni unite che hanno affrontato il tema dei poteri riconosciuti al giudice dell'udienza preliminare, che rilevi la diversità del fatto storico rispetto alla sua descrizione contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio, la corretta progressione processuale prevede prima la sollecitazione rivolta al P.M. ad integrare l'atto d'imputazione e, in assenza dell'adempimento a tale invito da parte del P.M., la restituzione degli atti che determina «la regressione del procedimento onde consentire il nuovo esercizio dell'azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d'indagine» (Sez. Unite, n. 5307 del 20/12/2007, dep. 2008, Battistella, Rv. 238239 - 01, che precisò come in tal caso la restituzione degli atti deve considerarsi legittima in virtù dell'applicazione analogica dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen.; nello stesso senso, tra le più recenti, Sez. 3, n. 8078 del 10/10/2018, dep. 2019, Cammi, Rv. 275839 - O).
L'adozione del provvedimento ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen. risponde, altresì, alla necessità logica di impedire l'insorgere dell'ostacolo del precedente giudicato, ove si dovesse pronunciare sentenza assolutoria rispetto all'originaria imputazione (Sez. 6, n. 37626 del 25/06/2019, Bragagni, Rv. 277200 - O; Sez. 5, n. 34555 del 22/04/2010, Colazzo, Rv. 248161 - O; Sez. 6, n. 9743 del 21/01/2004, Polidori, Rv. 229209 - O); il che conferma ulteriormente l'autonomia dell'esercizio dell'azione penale, rispetto al fatto così come rilevato dal giudice che emette il provvedimento ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen.
Del resto, gli effetti della sospensione del corso della prescrizione sono rigidamente regolati dalla legge, che non consente l'estensione soggettiva dell'effetto sospensivo oltre il processo in cui sia stata esercitata l'azione penale (arg. ex art. 161, comma 2, cod. pen.: Sez. 4, n. 50303 del 20/07/2018, M., Rv. 274000 - O; Sez. F, n. 49132 del 26/07/2013, De Seriis, Rv. 257649 - O) e condiziona l'estensione di quegli effetti alla medesimezza del fatto di reato oggetto dei diversi processi (Sez. 6, n. 3977 del 14/01/2010, Licciardello, Rv. 245857 - O; Sez. 5, n. 31695 del 07/06/2001, Rizzo, Rv. 220190 - O; Sez. 4, n. 8316 del 11/06/1982, Sacco, Rv. 155225 - O).
Va, pertanto, affermato il principio secondo il quale nell'ipotesi in cui il processo non si concluda con provvedimento decisorio, dovendo esser emesso - per l'accertata diversità del fatto rispetto all'oggetto dell'imputazione - provvedimento di restituzione ai sensi dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., il conseguente nuovo esercizio dell'azione penale da parte del P.M. segna il confine oltre il quale gli eventi realizzatisi anteriormente, e che avrebbero influito sul corso della prescrizione perché costituenti cause di interruzione e sospensione della prescrizione, non possono spiegare alcun effetto perché il fatto, oggetto dei distinti procedimenti, è diverso rispetto a quello per il quale è stata in precedenza esercitata l'azione penale e in relazione al quale il corso della prescrizione ha subito eventuali interruzioni o sospensioni, difettando così la corrispondenza che deve sussistere tra il fatto di reato e il procedimento con il quale viene accertata la relativa responsabilità, al fine di valutare la progressione del termine di prescrizione e gli effetti delle eventuali cause di interruzione o sospensione del relativo corso.
Applicando il principio di diritto alla fattispecie in esame, considerando l'epoca del commesso reato, come indicata nell'imputazione e accertata dalle sentenze di merito, nell'epoca più recente dell'ottobre 2013, il termine massimo di prescrizione è maturato, computando il periodo di sospensione ex art. 83, comma 4, d.l. 18/2020, convertito nella l. 24 aprile 2020, n. 27, il 4 giugno 2021, in epoca anteriore alla pronuncia della Corte d'appello.
2. Ad analoga conclusione deve giungersi anche per la posizione dell'imputata P., poiché i motivi di ricorso proposti non sono manifestamente infondati, ma allo stesso tempo non emergono dagli atti, con il requisito dell'evidenza, elementi che impongano il proscioglimento nel merito ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (come risulta dalle peculiari vicende che caratterizzarono l'utilizzo delle somme depositate per accreditamenti a favore di società finanziarie riconducibili ad entrambi gli imputati, che risultavano debitori di consistenti somme nei confronti di istituti di credito, oltre che la costituzione in trust dei beni immobili degli imputati con l'evidente scopo di sottrarre alla garanzie delle persone offese il proprio patrimonio).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato ascritto agli imputati è estinto per prescrizione.