Nonostante la cessazione della convivenza e la separazione coniugale, infatti, il coniuge separato si qualifica comunque come “familiare”, presupposto applicativo dell'art. 572 c.p..
La Corte d'Appello di Bari confermava la pronuncia con la quale il Tribunale aveva condannato l'imputato per il delitto di maltrattamenti commesso ai danni della moglie e protrattosi per 10 anni.
Contro tale decisione, l'imputato propone ricorso per cassazione lamentando, tra i diversi motivi, il fatto che i Giudici avessero ritenuto erroneamente che le condotte...
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Bari ha confermato la condanna del Tribunale di Trani nei confronti di C.D. C. per il delitto di cui all'art. 572 cod. pen. commesso ai danni della moglie, M. R., dal 2011 al 10 agosto 2020 data dell'ultima denuncia.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato, con atto sottoscritto dal difensore, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Violazione di legge per nullità del decreto di giudizio immediato, qualificato erroneamente come "immediato custodiale" sull'erroneo presupposto dell'avvenuta definizione del procedimento di cui all'art. 309 c.p.p., con esplicita disapplicazione dell'evidenza probatoria. Sebbene detta nullità sia relativa, ex art. 183, comma 1, lett. a) cod.proc.pen., essa aveva condizionato la strategia difensiva dell'imputato e l'esercizio compiuto del suo diritto di difesa nello svolgimento del processo, rendendo errata l'argomentazione utilizzata dalla Corte distrettuale secondo cui la richiesta del pubblico ministero fosse fondata su entrambe le ipotesi di cui all'art. 453 cod.proc.pen.
2.2. Violazione di legge in relazione all'art. 572 cod. pen. in quanto i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto le condotte maltrattanti consumate sino al 10 agosto 2020, con conseguente applicazione dell'aggravamento sanzionatorio avvenuto con la legge n. 69 del 2019, sebbene andasse applicato il precedente regime, più favorevole, in quanto a partire dall’ottobre 2018 C. era stato detenuto, con interruzione della convivenza, cosicchè le lettere minatorie inviate dal carcere non potevano ritenersi la prosecuzione del maltrattamento ma autonoma fattispecie di reato.
3. Il giudizio di cassazione si è svolto con trattazione scritta, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del :2020, in mancanza di richiesta nei termini di discussione orale.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è reiterativo.
La Corte di appello di Bari, con argomenti completi e coerenti, ha rigettato l'eccezione difensiva secondo cui il decreto clii giudizio immediato, emesso dal Giudice per le indagini preliminari in data 29 ottobre 2020, fosse nullo per avere erroneamente qualificato il giudizio come "immediato custodiale" nonostante il procedimento davanti al Tribunale del Riesame non si fosse concluso.
Al contrario dagli atti, allegati dallo stesso ricorrente, risulta che il pubblico ministero aveva richiesto il giudizio immediato, sia ordinario che cautelare, e il Giudice per le indagini preliminari aveva emesso il decreto in relazione ad entrambe le ipotesi previste dall'art. 453 cod. proc. pen. cosicché l'eccezione e stata correttamente rigettata dalla Corte di appello, non risultando, peraltro, in quali termini e in quale modo la diversa qualificazione del tipo di giudizio immediato avesse violato, nella specie, il diritto di difesa, richiamato in termini apodittici, e come avesse condizionato la strategia difensiva dell'imputato.
2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Le sentenze di merito hanno correttamente ritenuto che le gravi condotte maltrattanti di C. D. C. nei confronti della moglie, alla presenza dei figli, si fossero protratte nell'arco di 10 anni e sino al 10 agosto 2020 data dell'ultima denuncia, senza isolare ed escludere dalla loro abituale protrazione le minacce perpetrate con le lettere minatorie che il ricorrente, detenuto a partire dall'ottobre 2018, aveva inviato dal carcere alla persona offesa da cui era separato. Il ricorso non si misura con il testo dell'art. 572 cod. pen. che pone la questione dell'accertamento della convivenza solo per soggetti che non siano qualificabili come familiari.
In adesione alla giurisprudenza più recente di questa Corte, oltre che al dato normativo, si ritiene che quando le azioni vessatorie, fisiche o psicologiche, nei confronti del coniuge siano sorte nell'ambito domestico e proseguano nonostante la sopravvenuta cessazione del vincolo familiare si configura il solo reato di maltrattamenti, in quanto con il matrimonio (o con l'unione civile) la persona resta comunque "familiare", presupposto applicativo dell'art. 572 cod. pen.
La separazione coniugale, infatti, da un lato è una condizione che incide soltanto sull'assetto concreto delle condizioni dii vita, ma non sullo status acquisito; dall'altro dispensa dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lascia integri quelli discendenti dall'art. 143, comma 2, cod. civ. (reciproco rispetto, assistenza morale e materiale oltre che di collaborazione) cosicché il coniuge separato resta "persona della famiglia" come peraltro si evince anche dalla lettura dell'art. 570 cod. pen. (Sez. 6, n. 45400 del 30/09/2022, R., Rv. 284020).
A questo dato formale se ne aggiunge uno di comune esperienza, fatto proprio dalle Convenzioni internazionali, secondo cui la violenza domestica tra coniugi, fondata su motivi di genere, spesso continua e si aggrava proprio con la scelta della persona offesa di interromperla attraverso la separazione, che costituisce atto di affermazione di autonomia e libertà della donna, negate nella relazione di coppia dall'uomo maltrattante (in questi termini § 42 della Relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul, Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell'11 maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77).
L'interpretazione costante di questa Corte, secondo cui le condotte violente, psicologiche e/o fisiche, consumatesi in fase di separazione tra coniugi vanno qualificate ai sensi dell'art. 572 cod. pen. è ulteriormente rafforzata quando si condivida un rapporto genitoriale poichè, in situazioni di pregressa violenza domestica, sono proprio i figli a costituire per l'agente l'occasione o lo strumento per proseguire i maltrattamenti ai danni della persona offesa.
Nel caso in esame, infatti, le condotte contestate a C.D.C. risultano consumate, nella gran parte, davanti ai bambini che messi in vere e proprie condizioni di pericolo per la sua plateale e rivendicata tossicodipendenza che consentiva loro di venire a diretto contatto con lo stupefacente (a pag. 2 della sentenza di primo grado si legge infatti che all'intera famiglia era precluso l'utilizzo della cucina in cui l'uomo provvedeva al consumo e al confezionamento della droga anche con altri), sono stati utilizzati dal padre come mero strumento di prosecuzione delle condotte violente, minacciose e persecutorie nei confronti di R. a cui veniva rappresentato di continuo che se non si fosse adeguata ai suoi voleri - tra cui non separarsi - li avrebbe rapiti.
3. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
Il ricorrente deve essere condannato anche al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado di giudizio dalla parte civile M. R., che liquida in euro 3686,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, il ricorrente al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalla parte civile M. R., che liquida in euro 3686,00, oltre accessori di legge.