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Gli attori avevano proposto opposizione avverso il d.i. emesso nei loro confronti ed in favore della Banca, per il pagamento di somme derivanti da rapporti di conto corrente con la società beta della quale gli attori si erano costituiti fideiussori. Secondo quest'ultimi, il d.i. era nullo in quanto il credito azionato non era supportato da idonea prova scritta, non essendo stati prodotti i contratti di apertura dei conti correnti in questione; in secondo luogo, le somme richieste erano frutto di clausole nulle (interessi anatocistici, interessi usurari, ecc.). Infine, i contratti erano nulli per indeterminatezza dell'oggetto. Secondo la banca opposta, invece, nei contratti di apertura di credito (titoli fondanti la pretesa creditoria) erano previste le modalità di capitalizzazione degli interessi attivi e passivi in misura paritaria, l'esplicita pattuizione della commissione di massimo scoperto e dei tassi di interesse corrispettivi. |
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L'art. 117 comma 7 TUB prevede un'ipotesi di inserzione automatica di una clausola legale in sostituzione di quella contrattuale nulla e si applica alle seguenti ipotesi: mancanza di specifica pattuizione scritta (art. 117 comma 4); pattuizione facente rinvio agli usi (art. 117 comma 6 prima parte); pattuizione recante condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 117 comma 6 seconda parte). |
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Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l'integrale ricostruzione del dare e dell'avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi (Cass. civ., sez. I 13 ottobre 2016, n. 20693). Il c.d. tasso sostitutivo bancario consiste, come detto, nel “tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive”, ove per attive s'intendono quelle comportano la contabilizzazione di una somma a debito (cioè a carico) del cliente e per passive quelle che comportano la contabilizzazione di una somma a credito (cioè a favore) del cliente. |
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A seguito dell’istruttoria di causa era emerso che il rapporto di conto corrente non era stato costituito nella necessaria forma scritta ad substantiam. In tema è noto che la nullità del cd. contratto bancario amorfo – come in generale le nullità previste dalle norme di trasparenza del T.U.B. – è nullità c.d. unilaterale, che può essere fatta valere solo dal cliente, ovvero anche d’ufficio dal giudice, purché ciò avvenga nell’interesse di quest’ultimo (art. 127, comma 2, TUB). Quanto alle altre questione, il CTU ha provveduto al ricalcolo del saldo del conto corrente al tasso sostitutivo di cui all’art. 117, ed escludendo ogni commissione e spesa non pattuita (ivi inclusa la contestata commissione di massimo scoperto). Da ciò derivava come fosse preferibile l’ipotesi alternativa, in quanto, secondo il giudicante, convincevano i risultati sul punto degli accertamenti peritali eseguiti analiticamente motivati, scevri da errori logici che possano compromettere la attendibilità dei risultati ottenuti e corredati dalla compiuta ed esaustiva risposta alle osservazioni formulate da entrambi i periti di parte, con particolare riferimento a quelle del consulente della Convenuta. Quanto invece ai profili di presunta applicazione dei tassi usurari, nella specie, il giudice ha ritenuto escludersi la sussistenza di usura originaria; tuttavia, quanto all’applicazione di interessi usurari in corso di rapporto, in giurisprudenza è stato rilevato che non rileva l’usura sopravvenuta in quanto tale (ossia in conseguenza dell’oscillazione dei tassi di mercato e dei conseguenti tassi soglia rispetto al momento della pattuizione, come correttamente evidenziato da parte convenuta nelle conclusionali,) quanto l’eventuale pattuizione di interessi usurari mediante l’esercizio dello ius variandi (Cass. civ. S.U., 19 ottobre 2017, n. 24675). Nella specie, difatti, le variazioni operati sui tassi non erano dovute all’indicizzazione, bensì alle modifiche e, di conseguenza, il CTU ha provveduto all’esclusione del conteggio degli interessi usurari in virtù dello ius variandi. |
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato gli attori hanno proposto opposizione avverso il d.i. del Tribunale di S. del 11/08/2015, n. 911/15, emesso nei loro confronti ed in favore della Banca Popolare di S. S.p.a., per il pagamento di somme derivanti da rapporti di conto corrente (e relativa apertura di credito) con la E. s.r.l., della quale G.N. e P.R. si erano costituiti fideiussori.
Gli attori hanno esposto, in particolare, che il d.i. emesso sarebbe da revocare o dichiarare nullo, in primo luogo, in quanto il credito azionato non sarebbe supportato da idonea prova scritta, non essendo stati prodotti i contratti di apertura dei conti correnti in questione; in secondo luogo, in quanto le somme richieste sarebbero frutto di clausole nulle, quali quelle che impongono interessi anatocistici, interessi usurari e addebito illegittimo della c.s.m.. In terzo luogo, hanno eccepito la generica nullità dei contratti di fideiussione per indeterminatezza dell’oggetto nonché la decadenza della medesima garanzia ex art. 1957 c.c.. Infine, hanno eccepito la nullità dell’opposto decreto nella misura in cui, pronunciandosi ultra petitum, avrebbe autorizzato l’immediata esecuzione del titolo anche in danno di G.Lorenzo nonché per il difetto di poteri rappresentativi della società ingiunta da parte del soggetto che ha sottoscritto la procura alle liti del ricorso monitorio.
La banca, costituendosi in giudizio, ha dapprima eccepito l’infondatezza della questione preliminare inerente la procura alle liti e alla pronuncia asseritamente ultra petitum del giudice del monitorio; nel merito, ha evidenziato che nei contratti di apertura di credito (titoli fondanti la pretesa creditoria) erano previste le modalità di capitalizzazione degli interessi attivi e passivi in misura paritaria, l’esplicita pattuizione della commissione di massimo scoperto e dei tassi di interesse corrispettivi, rispettosi dei limiti di cui alla l. 108/96; ha, infine, contestato la fondatezza delle avverse deduzioni in merito all’inoperatività della garanzia fideiussoria.
In sede di prima udienza di comparizione gli attori hanno altresì eccepito la non debenza delle somme azionate anche in virtù della nullità di un contratto di finanziamento stipulato il 14/12/2012 con il medesimo istituto bancario, le cui rate confluivano sul medesimo conto corrente 14319-7, per l’usurarietà dei tassi applicati, per l’illegittima capitalizzazione degli interessi e per l’illegittima applicazione della c.m.s.. Parte convenuta ha eccepito l’infondatezza e la tardività di tali deduzioni.
Respinta la richiesta di sospensione della provvisoria esecuzione, l’istruttoria della causa si è svolta mediante espletamento di c.t.u. contabile (e successive integrazioni) ed è terminata con la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, tenutasi in data 13/01/2022. A seguito della remissione in istruttoria per chiedere una integrazione alla c.t.u., si è formalmente costituito il Banco di D. s.p.a., in qualità di società incorporante della Banca Popolare di S. s.r.l., soggetto dunque estinto. All’esito di ulteriore integrazione peritale, la causa è stata infine trattenuta in decisone all’udienza del 16/03/2023, con concessione dei termini ex art. 190 c.p.c., il primo ridotto a giorni 20.
Motivi della decisione
Gli attori hanno impugnato il suddetto decreto ingiuntivo proponendo differenti doglianze.
1. Preliminarmente, vale giusto precisare come non sia più attuale la censura relativa al presunto difetto di poteri rappresentativi della società ingiunta da parte del soggetto che ha sottoscritto la procura alle liti del ricorso monitorio; infatti, già con la comparsa di costituzione è stata prodotta in giudizio procura notarile con la quale il legale rappresentante dell’istituto di credito ha conferito i poteri al sottoscrittore della procura alle liti, M.R.. Si veda in proposito l’all. 2 alla comparsa di costituzione, ossia il rogito notarile del 27 novembre 2014, con il quale si costituivano procuratori della Banca Popolare di S. s.p.a. alcuni soggetti fra cui M. R., e in particolare, fra i poteri attribuito a quest’ultimo vi era quello di “promuovere qualsiasi azione giudiziaria ed amministrativa, di ogni ordine e grado di giurisdizione (per brevità, le cosiddette cause attive) e resistere in giudizio, conferendo all’uopo le necessarie procure alle liti”.
2. Quanto al merito della causa, occorre in primo luogo evidenziare l’infondatezza della doglianza riguardante la carenza di prova scritta idonea per l’emissione del decreto ingiuntivo.
In primo luogo, devesi evidenziare come vi era sufficiente prova scritta per l’emissione del medesimo costituita dall’estratto conto certificato, ai sensi dell’art. 50bis T.U.B., dal procuratore della Banca, M. R..
Ma a prescindere da ciò, occorre rammentare come con l’opposizione a decreto ingiuntivo si instauri un normale procedimento di cognizione, nel quale il creditore opposto può produrre nuove prove ad integrazione di quelle già offerte nella fase monitoria ed il giudice non valuta soltanto la sussistenza delle condizioni e della prova documentale necessarie per l’emanazione della ingiunzione, ma la fondatezza (e le prove relative) della pretesa creditoria nel suo complesso, con la conseguenza che l’accertamento dell’esistenza del credito travolge e supera le eventuali insufficienze probatorie riscontrabili nella fase monitoria (ex multis Cass. civ., Sez. II, sent. del 24 maggio 2004, n. 9927). Pertanto, non appaiono conferenti (a prescindere dalla loro fondatezza o meno) le doglianze avanzate a fronte delle sopravvenute produzioni documentali di parte opposta.
Le superiori considerazioni sono utili anche a superare un’altra doglianza dell’opponente.
Infatti, in sede di ricorso per decreto ingiuntivo erano stati depositati (oltre alla certificazione ex art. 50bis T.U.B. di per sé sufficiente per l’emissione del provvedimento monitorio) il contratto di apertura di credito in conto corrente e il relativo documento di sintesi in relazione al rapporto n. 14325/1 del 8/10/2009, nonché il documento di sintesi in relazione al rapporto n. 14319/7 sempre del 8/10/2009.
Tuttavia, in sede di costituzione è stata prodotta copia del contratto di conto corrente n. 14319/7, nonché gli estratti conto dalla data di accensione dello stesso al passaggio in sofferenza e gli estratti conto relativi al conto corrente n. 14325/1, dall’apertura al passaggio in sofferenza. Parte opponente sostiene che, non essendo tale documentazione prodotta in sede monitoria, la sua produzione non sanerebbe la mancanza di prova scritta di cui all’art. 634 c.p.c..
Come visto, tuttavia, il giudizio di opposizione ha un oggetto non limitato alla revisione del provvedimento monitorio, bensì all’accertamento della pretesa creditoria sostanziale; pertanto, la produzione (tempestiva) della documentazione in questione sembra poter escludere in radice la fondatezza della censura attinente alla mancanza di prova del credito azionato.
3. Passando alle censure inerenti alla presenza di clausole asseritamente nulle nei contratti in questione, devesi rilevare la loro parziale fondatezza.
Preliminarmente, si deve precisare come non solo i contratti di apertura di credito ma anche quelli di apertura del conto corrente legittimano la presente pretesa creditoria e costituiscono, quindi, titolo fondante della stessa. Trattasi di documenti in parte già prodotti in sede monitoria e in parte prodotti nella presente sede.
Analizzando singolarmente i detti documenti occorre rilevare quanto segue.
3.1 Quanto al rapporto contrattuale di cui al n. 14319-7, risulta prodotto sia il contratto di apertura del conto corrente sia i successivi estratti conto, dalla lettura dei quali può desumersi l’infondatezza delle censure di parte opponente.
In primo luogo, quanto alla presunta mancata pattuizione in forma scritta delle condizioni economiche specifiche, è sufficiente leggere tali documenti per avere contezza del fatto che sono state ritualmente pattuite le condizioni inerenti alla capitalizzazione prevista con cadenza trimestrale, alla misura del tasso di interesse, alla commissione di massimo scoperto e alla sua misura (conforme alle indicazioni dell’art. 2bis l. 2/2009).
In secondo luogo, quanto al contenuto delle clausole suddette, si rileva come alcuna deduzione specifica e circostanziata è stata fatta in proposito da parte attrice, che, ad esempio, non ha raffrontato (quanto alla presunta usura) il tasso applicato con il tasso soglia, ma ha semplicemente affermato il superamento del medesimo. Peraltro, il c.t.u., sin dalla prima relazione del 16/12/2021, ha rilevato come non fosse riscontrabile alcun superamento del tasso soglia usura, anche volendo considerare i tassi applicati ai c.d. fidi di fatto e applicando sia il tasso soglia dei conti affidati che quello per i conti non affidati.
Con particolare riferimento, infine, alla questione dell’applicazione di illegittimi interessi anatocistici deve rilevarsi quanto segue.
Quanto a quelli applicati successivamente al 01/01/2014 non vi sono dubbi che gli stessi debbano essere esclusi dal conteggio. Infatti, l’illegittimità dell’anatocismo bancario è stata confermata dalla Legge di Stabilità 2014 (co. 629, L. 147/2013), che ha ridefinito l’art. 120 del TUB (Testo unico bancario), pur in assenza dell’attesa delibera di attuazione del Cicr (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio). Tale ente, infatti, può esprimersi solo in ordine alle specifiche tecniche bancarie contabili, senza disporre in termini diversi dal divieto di anatocismo, che è operante a decorrere dall’1 gennaio 2014.
Quanto, invece, agli interessi asseritamente anatocistici antecedenti a tale data, ma derivanti non tanto dalle condizioni proprie del contratto in esame (che li disciplinano espressamente e legittimamente), quanto dall’addebito su tale conto delle rate del mutuo fondiario stipulato da E. s.r.l. con Banca Popolare di S. S.p.a. in data 14/12/2012, si deve affermare l’infondatezza della medesima censura.
Infatti, deve evidenziarsi come, nel momento dell’addebito della rata, il mutuatario compie un pagamento: ove il saldo del conto, al momento, sia attivo, tale saldo viene diminuito della somma della rata, ove (o nella misura in cui) il saldo del momento sia passivo, la banca finanzia il pagamento della rata medesima, e nasce un nuovo debito. Non può, pertanto, dirsi che sugli interessi previsti dal mutuo siano calcolati nuovi interessi: in realtà, ove il saldo sia passivo, il correntista si indebita con la banca dell’intera somma della rata, che costituisce, nella propria totalità, la posta di un debito da finanziamento, sorto ex novo e regolato dai patti che, in proposito, accedono al conto corrente (che, per quanto detto, si ritengono legittimi).
Con riferimento al suddetto conto corrente, pertanto, devono respingersi tutte le censure di parte attrice, ad eccezione di quella relativa all’anatocismo successivo al 01/01/2014. Si noti fin d’ora, in ogni caso, come seppur non si siano rilevate quasi tutte le illegittimità proprie delle condizioni applicate al conto corrente in questione, si provvederà all’esito a un riconteggio del saldo finale alla luce di quanto si dirà nella successiva sezione 3.2 con riferimento al conto corrente n. 14325/1. Infatti, il c.t.u. ha evidenziato coem questo “ha operato come conto anticipi tant’è che le competenze trimestrali ad esso riferibili sono state addebitate nel conto corrente di corrispondenza n. 14319/71. Di conseguenza tutte le rielaborazioni aventi ad oggetto le competenze del conto n. 14325/1 non incidono sui saldi periodici del conto medesimo ma su quelli del conto n. 14319/7; ne consegue che la rielaborazione del conto n. 14325/1 comporta necessariamente, per “trascinamento”, la rielaborazione anche del conto 14319/7 al fine di ricalcolarne le competenze sui montanti modificati rispetto agli originari per effetto del ricalcolo delle competenze del conto 14325/1 in esso addebitate”.
3.2.1 Ebbene, analizzando questo secondo rapporto contrattuale, non può non rilevarsi come difetti di pattuizione scritta, quantomeno con riferimento al periodo intercorrente dalla nascita del medesimo a quello di contrattualizzazione delle relative condizioni (08/10/2009).
In proposito, deve pacificamente ritenersi che il rapporto di conto corrente non sia stato costituito nella necessaria forma scritta ad substantiam; forma pure prescritta già a norma dell’art. 3 della L. n. 154/1992, così come, successivamente, dall’art. 117 comma 3 del D.Lgs. n. 385/1993 (il cui art. 161 ha abrogato la precitata Legge). Come è noto, la nullità del cd. contratto bancario amorfo – come in generale le nullità previste dalle norme di trasparenza del T.U.B. – è nullità c.d. unilaterale, che può essere fatta valere solo dal cliente, ovvero anche d’ufficio dal giudice, purché ciò avvenga nell’interesse di quest’ultimo (art. 127, comma 2, TUB).
Pertanto, dovrà applicarsi il suddetto art. 117 t.u.b. e seguirsi l’insegnamento della Suprema Corte, la quale ha affermato che “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l'integrale ricostruzione del dare e dell'avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi”, (Cass. Sez. 1 - Sentenza n. 20693 del 13/10/2016).
L’art. 117 comma 7 TUB prevede un’ipotesi di inserzione automatica di una clausola legale in sostituzione di quella contrattuale nulla e si applica alle seguenti ipotesi: mancanza di specifica pattuizione scritta (art. 117 comma 4); pattuizione facente rinvio agli usi (art. 117 comma 6 prima parte); pattuizione recante condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (art. 117 comma 6 seconda parte).
Il c.d. tasso sostitutivo bancario consiste, come detto, nel “tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive”, ove per attive s’intendono quelle comportano la contabilizzazione di una somma a debito (cioè a carico) del cliente e per passive quelle che comportano la contabilizzazione di una somma a credito (cioè a favore) del cliente.
Orbene, nel caso di specie, l’ausiliario del giudice ha esaminato la documentazione in atti e, sulla scorta di argomentazioni logiche che appaiono pienamente condivisibili e scevre da errori, ha provveduto al ricalcolo del saldo del conto corrente al tasso sostitutivo di cui all’art. 117, ed escludendo ogni commissione e spesa non pattuita (ivi inclusa la contestata commissione di massimo scoperto).
Da ciò deriva come sia preferibile l’ipotesi alternativa di cui al punto 1.2.b di cui all’ultima integrazione peritale. Convincono i risultati sul punto degli accertamenti peritali eseguiti, in quanto analiticamente motivati, scevri da errori logici che possano compromettere la attendibilità dei risultati ottenuti e corredati dalla compiuta ed esaustiva risposta alle osservazioni formulate da entrambi i periti di parte, con particolare riferimento a quelle del consulente della Convenuta.
3.2.2 Quanto ai profili di presunta applicazione dei tassi usurari, deve escludersi la sussistenza di usura originaria (e dunque condividersi l’opzione del c.t.u. di cui all’ipotesi 1.2.b), non essendo previsti tassi in forma scritta, ed avendo proceduto alla sostituzione di tale clausola nulla con il meccanismo di cui all’art. 117 t.u.b. (tassi sostitutivi). È chiaro come non possa ravvisarsi alcun fenomeno di usura originaria.
3.2.3 Viceversa, deve analizzarsi l’eventuale applicazione di interessi usurari in corso di rapporto.
Sul punto si specifica come non rilevi l’usura sopravvenuta in quanto tale (ossia in conseguenza dell’oscillazione dei tassi di mercato e dei conseguenti tassi soglia rispetto al momento della pattuizione, come correttamente evidenziato da parte convenuta nelle conclusionali, cfr Cassazione civile, SS.UU., sentenza 19/10/2017 n. 24675) quanto l’eventuale pattuizione di interessi usurari mediante l’esercizio dello ius variandi.
Ebbene, sul punto, il consulente ha espressamente affermato, replicando alle osservazioni del c.t.p. della convenuta nella seconda relazione, che “Si conferma che nei trimestri indicati le variazioni operate ai tassi dalla banca non sono riconducibili al fenomeno dell’indicizzazione bensì a modifiche:
- dello spread applicato nel I° trimestre 2011 (5,716%) e nel III° trimestre 2012 (9,30%), - del tasso nel III° trimestre 2011 (+0,5%).
Trattasi pertanto di “modifiche unilaterali del contratto”, come peraltro definite dallo stesso Istituto (All. ti 8, 9 e 10)”.
Alla terza integrazione peritale, nella quale il giudice individuava come corretta ipotesi di ricalcolo quello che prevedeva l’esclusione del conteggio degli interessi nei trimestri sopra detti in quanto usurari in virtù dello ius variandi, non sono state mosse osservazioni dal c.t.p. di parte convenuta.
3.2.4 Quanto all’applicazione di interessi anatocistici, deve evidenziarsi come gli stessi, per le stesse ragioni di cui al precedente contratto (che qui si richiamano integralmente) devono essere correttamente espunti dal 01/01/2014 in poi.
4. Alla luce delle sopra esposte considerazioni, si ritiene corretto, come anticipato, il ricalcolo effettuato dalla consulente nell’ipotesi di cui al punto 1.2.b, così il saldo attuale del conto corrente 14319/7 (sul quale incidono le rielaborazioni aventi ad oggetto le competenze del conto n. 14325/1) deve individuarsi in euro 129.289,92 a debito del correntista, con una differenza di euro 21.878,13 rispetto a quello indicato dalla banca e posto alla base del decreto ingiuntivo impugnato.
5. Meritevoli, infine, di rigetto le ulteriori doglianze di parte attrice relative alle fideiussioni prestate dai garanti.
Quanto alla contestazione di indeterminatezza della garanzia prestata, in quanto “prestata come “fideiussore di E. S.r.l.” (Cfr.all.5-6) senza che risulti ivi analiticamente indicato alcuno degli estremi identificativi della società debitrice, id est PIVA, sede legale, dati anagrafici del legale rappresentante pro-tempore”, devesi evidenziare come la medesima sia del tutto dilatoria e strumentale.
In effetti, non vi sono dubbi sull’identificabilità del soggetto debitore principale, correttamente individuato con riferimento alla sua denominazione sociale. Tale conclusione appare tanto più ovvia sol considerando che la garanzia, concessa nel 2008, è stata poi estesa nel dicembre del medesimo anno, che il fideiussore N. G.è (o quantomeno era) legale rappresentante della società medesima, che alcuna normativa impone di indicare gli ulteriori dati richiesti da parte attrice.
Parimenti del tutto infondata la suddetta censura di genericità quanto al profilo di mancata indicazione dei rapporti garantiti. Infatti, è cristallino dalla lettura delle fideiussioni che trattasi di fideiussioni omnibus, ossia concesse anche per operazioni e rapporti futuri del debitore principale nei confronti dell’istituto di credito beneficiario.
Quanto alla censura relativa alla presunta illegittimità della fideiussione in questione per contrarietà alla normativa antitrust, devesi evidenziare come la medesima sia stata eccepita solo tardivamente con la comparsa conclusionale.
In ogni caso, anche a voler ritenere la doglianza ammissibile, sulla base del principio affermato Cass. civ. Sez. Unite, 12/12/2014, n. 26242 (“il giudice, innanzi al quale sia stata proposta una qualsiasi impugnativa negoziale (di adempimento, risoluzione per qualunque motivo, annullamento, rescissione, nonché in caso di impugnativa per la declaratoria della nullità per altro motivo o solo parziale), sempreché non rigetti la pretesa in base ad una individuata "ragione più liquida", ha l’obbligo di rilevare - e, correlativamente, di indicare alle parti - l’esistenza di una causa di nullità negoziale, pure se di natura speciale o "di protezione", ed ha, di conseguenza, ove le parti non ne abbiano chiesto l’accertamento in via principale od incidentale in esito all’indicazione del giudice, la facoltà (salvo per le nullità speciali che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) di dichiarare, in motivazione, la nullità del negozio e, quindi, di rigettare, per tale ragione, la domanda originaria, ovvero, in presenza di tale istanza, di dichiarare la nullità del negozio direttamente in dispositivo, con effetto, in entrambi i casi, di giudicato in assenza di impugnazione”), la medesima risulta comunque infondata.
Senza dover approfondire il dibattito giurisprudenziale (in verità composto dalle SS.UU.) sugli effetti di tale violazione, vale evidenziare come in ogni caso parte opponente non abbia sufficientemente assolto l’onere probatorio sulla medesima incombente, mancando agli atti la prova del collegamento tra l’intesa anticoncorrenziale a monte e il contratto di fideiussione omnibus a valle.
Invero, con riferimento all’onere probatorio in materia di nullità derivata del contratto di fideiussione omnibus, la giurisprudenza di legittimità è concorde nell’affermare che, ai fini dell’estensione del vizio, l’attore deve fornire “la prova del fatto che la fideiussione omnibus prestata sia stata modellata sullo schema di contratto predisposto dall’ABI con la finalità di aderire allo stesso ed i tal modo escludere un ambito di differente negoziabilità” (cfr. Cass. civ. Sez. I Sent., 22/05/2019, n. 13846).
Dunque, la mera coincidenza contenutistica della fideiussione con le clausole nulle dello schema ABI non è sufficiente per dimostrare l’illiceità delle stesse. A conferma di ciò, la giurisprudenza ha riconosciuto la validità delle singole clausole ABI riprodotte all’interno dei contratti di fideiussione, qualora manchi la prova del nesso causale tra la condotta lesiva della concorrenza e l’attività contrattuale successiva. Inoltre, la scissione del profilo formale da quello sostanziale è ulteriormente giustificata se si considera che le norme richiamate dalle clausole ABI, dichiarate nulle, sono in realtà derogabili dall’autonomia privata.
In altre parole, la giurisprudenza di legittimità e di merito unanimemente ritiene che l’onere probatorio in capo all’attore non possa essere soddisfatto attraverso la prova della mera coincidenza formale con le clausole censurate, essendo invece necessaria la dimostrazione che la Banca abbia adottato una condotta anticoncorrenziale.
Appare opportuno effettuare una ulteriore precisazione con riferimento all’onere probatorio in capo all’attore.
In particolare, Banca Italia nel dispositivo del provvedimento n. 55/2005 ha affermato che “gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90…”. Tale precisazione costituisce una specificazione ulteriore dell’onere probatorio a carico dell’attore, il quale è tenuto a provare, oltre alla presenza dell’intesa a monte e del danno subito, l’applicazione uniforme delle clausole.
Sul punto, la giurisprudenza di merito maggioritaria ha interpretato la prova del carattere uniforme nel senso che l’attore debba dimostrare in giudizio “l’applicazione del contratto di fideiussione utilizzato dalle banche ovvero la standardizzazione delle clausole che, in deroga alla disciplina legale, ripropongono il contenuto dello schema dell’A.B.I. censurato dall’Autorità di vigilanza” (cfr. Tribunale Roma Sez. spec. in materia di imprese Ord., 19/04/2019). La giurisprudenza, inoltre, ha dato anche rilievo alle tempistiche in cui è stata stipulata la fideiussione; si è affermato, infatti, che il Provv. n. 55 del 2005 della B.I. costituisce prova privilegiata solo in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso; per contro, il provvedimento anzidetto non costituisce prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza con riguardo alla fideiussione in parola, stipulata in un periodo rispetto al quale nessuna indagine risulta essere stata svolta dall’autorità di vigilanza, la cui istruttoria ha - com’è noto - coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005. Vale anche evidenziare come da tale premessa, una parte più rigida della giurisprudenza di merito, ha anche affermato che poiché il Provv. n. 55 del 2005 della B.I. vale quale prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame della Banca medesima, parte attrice è, pertanto, onerata dell’allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie d’illecito concorrenziale dedotto in giudizio, di cui all’art.2 della L. n. 287 del 1990. E tale onere probatorio si sarebbe potuto adempiere depositando documenti o, quindi, articolato mezzi di prova volti a dimostrare che in quel periodo (2008) un numero significativo di istituti di credito, all’interno del medesimo mercato, avrebbe coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela dei modelli uniformi di fideiussione per operazioni specifiche in modo da privare quella stessa clientela del diritto ad una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza (cfr Tribunale Milano Sez. VI, Sent., 20/10/2021).
Su tale questione si è pronunciata anche la recente Cass. civ. Sez. Unite, Sent., (ud. 23/11/2021) 30-12- 2021, n. 41994, la quale ha specificato che “Non è certo la deroga isolata - nei singoli contratti tra una banca ed un cliente - all’archetipo codicistico della fideiussione, ed in particolare agli artt. 1939, 1941 e 1957 c.c., a poter, invero, determinare problemi di sorta, come è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, in termini di effetto anticoncorrenziale. È, invece, il predetto “nesso funzionale” tra l’“intesa” a monte ed il contratto a valle, emergente dal contenuto di tale ultimo atto che - in violazione dell’art. 1322 c.c. - riproduca quello del primo, dichiarato nullo dall’autorità di vigilanza, a creare il meccanismo distorsivo della concorrenza vietato dall’ordinamento. In siffatta ipotesi, la nullità dell’atto a monte è - per vero - veicolata nell’atto a valle per effetto della riproduzione in esso del contenuto del primo atto. E ciò è tanto più evidente quando - come nella specie le menzionate deroghe all’archetipo codicistico vengano reiteratamente proposte in più contratti, così determinando un potenziale abbassamento del livello qualitativo delle offerte rinvenibili sul mercato. La serialità della riproduzione dello schema adottato a monte - nel caso concreto dall’ABI - viene, difatti, a connotare negativamente la condotta degli istituti di credito, erodendo la libera scelta dei clienti-contraenti e incidendo negativamente sul mercato”.
Nel caso di specie, l’onere probatorio in capo all’attore non si ritiene sufficientemente assolto, mancando agli atti la prova specifica e circostanziata della condotta illecita anticoncorrenziale della banca opposta. Invero, nella controversia in esame l’attore si è limitato a fornire la prova della coincidenza formale e contenutistica tra gli articoli della fideiussione omnibus e quelli dello schema ABI. Ebbene, come già motivato, tale sovrapponibilità contenutistica non può ritenersi sufficiente ai fini della prova della relazione tra intesa a monte e contratto a valle, da cui discenderebbe la nullità derivata per restringimento o lesione della concorrenza.
Infine, parimenti disattesa deve essere la censura inerente l’escutibilità e l’efficacia della garanzia in questione, stante la decadenza maturata ai sensi dell’art. 1957 c.c..
Non va sottaciuto che il contratto di garanzia in esame, a prescindere dalla sua qualificabilità come fideiussione in senso proprio ovvero contratto autonomo di garanzia, prevedeva la c.d. “a prima richiesta”; clausola che comporta il meccanismo del solve et ripete ed impedisce al garante di opporre eccezioni prima dell’adempimento.
In estremo subordine, non va sottaciuto come la convenuta abbia puntualmente rilevato che “(i) i contratti di conto corrente sono stati estinti per passaggio a sofferenza rispettivamente in data 13/3/2015, quanto al c/c n. 14319, e in data 16/2/2015, quanto al c/c n. 14325 (docc. 2-5 del fascicolo monitorio); (ii) che successivamente a dette estinzioni e, dunque, alla scadenza delle obbligazioni derivanti dal saldo negativo dei conti correnti la Banca ha inviato lettere di costituzione in mora nei confronti tanto della debitrice principale quanto dei garanti (docc. 8-10 fascicolo monitorio); (iii) che nel termine di sei mesi ha richiesto il decreto ingiuntivo mediante ricorso depositato in data 5/8/2015, oggetto della presente opposizione”.
Dunque, la censura appare infondata anche nel merito.
6. Alla luce di tali considerazioni, si ritiene che il saldo debitorio portato con il decreto ingiuntivo opposto, quantificato dalla banca in euro 151.168,05, debba essere ridotto secondo quanto indicato dal riconteggio effettuato dal c.t.u. nominato, escludendo le somme addebitate a titolo di interessi ultralegali, anatocistici e c.m.s. nella misura sopra indicata. Pertanto, escludendo tale differenza di euro 21.878,13, si giunge ad una somma complessiva di euro 129.289,92, come ammontare del credito azionato dalla Banca opposta.
7. Quanto, infine, alla censura relativa all’asserito pronunciamento ultra petita del giudice del monitorio, in quanto avrebbe concesso la provvisoria esecutorietà nei confronti di soggetto relativamente al quale non era stata richiesta l’ingiunzione, se ne deve rilevare la sopravvenuta carenza di interesse, data la revoca del decreto per effetto della presente pronuncia.
8. Le spese si intendono compensate in ragione della soccombenza solo parziale di parte attrice.
Le spese di c.t.u., invece, devono porsi a carico di parte convenuta, essendo state necessarie per ricalcolare il saldo effettivo vista l’applicazione di costi illegittimi da parte del medesimo istituto bancario.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica definitivamente pronunciando respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa
Accoglie nei limiti di cui in parte motiva la domanda attorea e revoca il d.i. n. 911/15 emesso dal Tribunale di S. il 11/08/2015;
Condanna E. s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., G.N. e P.R. al pagamento, in solido fra loro e in favore dell’opposta, della somma di € 129.289,92 oltre interessi di mora nella misura e scadenza indicati del decreto revocato, che qui si intendono integralmente richiamati;
Spese di lite compensate;
Spese di c.t.u., come liquidate da separate decreto, integralmente a carico di parte convenuta.