Il difensore nominato con l'atto che chiede il reclamo deve ritenersi immediatamente investito della legittimazione alla proposizione dello stesso. Il reclamo, infatti, va considerato un ordinario strumento di impugnazione, come tale assoggettato ai principi generali che governano la materia.
Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di sorveglianza di Torino ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto avverso il provvedimento emesso, in data 03/03/2022, dal Magistrato di sorveglianza di Torino, il quale aveva disatteso la domanda di permesso premio inoltrata da G. M., soggetto detenuto in espiazione della pena residua di anni ventinove, mesi nove e giorni uno di reclusione, derivante dal cumulo emesso dalla Procura generale presso la Corte di appello di Napoli in data 17/06/2019.
Il provvedimento impugnato si fonda sul rilievo, di carattere preliminare, dell'esser stato il gravame stesso presentato da difensore che non risulta ritualmente nominato, in relazione allo specifico procedimento; tale difensore, peraltro, non risulta nemmeno destinatario di delega - finalizzata alla presentazione del reclamo de quo - da parte dell'interessato. Ha sottolineato il Tribunale, sul punto, come l'art. 30-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 attribuisca la legittimazione a proporre reclamo, avverso il provvedimento che decide in ordine alla richiesta di permesso, esclusivamente al Pubblico ministero e all'interessato; tale facoltà, invece, non è riservata espressamente al difensore. Occorre che quest'ultimo, quindi, tragga la propria legittimazione alla presentazione da espressa delega rilasciatagli dall'assistito; non sono sufficienti ad attribuirgli tale legittimazione, secondo il Tribunale, né la nomina speciale per il procedimento avente ad oggetto la decisone sull'istanza di permesso premio, né la nomina generale, rilasciata per ogni procedimento inerente alla fase dell'esecuzione.
2. Ricorre per cassazione G. M., a mezzo del difensore avv. D. N., denunciando vizio rilevante ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., per inosservanza dell'art. 571, comma 3, cod. proc. pen. e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
2.1. In ipotesi difensiva, il procedimento per reclamo riveste natura giurisdizionale, in quanto strutturato quale vero e proprio mezzo di impugnazione, assimilabile ad esempio all'appello; tanto ciò vero, che esso postula la specifica indicazione degli specifici motivi di doglianza, in maniera assimilabile a qualsivoglia altro mezzo d'impugnazione. Il reclamo rientrerebbe, pertanto, nella ordinaria disciplina dei mezzi d'impugnazione, dettata dall'art. 571 cod. proc. pen.
2.2. Il difensore era stato fiduciariamente officiato dal detenuto, inoltre, mediante sottoscrizione apposta in calce all'istanza di permesso premio; al momento del deposito del relativo provvedimento di rigetto, quindi, il difensore stesso risultava nominato fiduciariamente dal condannato ed era da considerare, per tale ragione, pienamente legittimato alla proposizione del reclamo poi dichiarato inammissibile. Si deduce, in sostanza, la sussistenza di un mero difetto di coordinamento normativo, fra il testo dell'art. 30-bis, comma 3, Ord. pen., così come richiamato dall'art. 30-ter, comma 7, Ord. pen. e le norme di carattere generale che governano la materia delle impugnazioni.
3. Il Procuratore generale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o, in via subordinata, il rigetto del ricorso. Nella requisitoria può leggersi che I' ordinamento penitenziario, in materia di reclamo avverso i provvedimenti inerenti ai permessi ai detenuti, non prevede l'assistenza del difensore. La giurisprudenza di legittimità, tuttavia, ha sancito come il Tribunale adito debba comunque decidere rispettando le forme dell'udienza camerale, stante la connotazione giurisdizionale della procedura. Nell'ambito di tale forma rituale, nulla impedisce il dispiegarsi di una difesa personale, ovvero affidata ad un difensore di fiducia (ved. Cass.13395/2013).
Il Procuratore generale, quindi, conclude ritenendo corretta l'esegesi delle norme compiuta dal Tribunale di sorveglianza di Torino.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. L'art. 30-bis Ord. pen., introdotto dalla legge 20 luglio 1977, n. 450, regolamenta il procedimento applicativo del beneficio del permesso premio, testualmente riservando al detenuto e al Pubblico ministero la possibilità, entro ventiquattro ore dalla comunicazione del provvedimento del magistrato di sorveglianza, di proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza (ovvero alla Corte d'appello, se il provvedimento è stato adottato da altro organo). L'istituto del permesso premio, disciplinato all'art. 30-ter, comma 7, legge 26 luglio 1975, n. 354, dispone che «li provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all'art. 30-bis». Grazie a tale rinvio, il termine per la proposizione del reclamo avverso la decisione in materia di permessi premio coincide con quello stabilito dall'art. 30-bis, comma 3, Ord. pen., per il reclamo da esperire avverso il provvedimento relativo ai permessi "di necessità"; tale termine era originariamente pari a ventiquattro ore, decorrenti dalla sua comunicazione.
2.1. Giova poi ricordare come Corte cost., sentenza n. 113 del 2020 abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma 7, della legge 26 luglio 1975, n. 354, nella parte in cui prevede, appunto mediante rinvio al precedente art. 30-bis Ord. pen., che il provvedimento relativo ai permessi premio sia soggetto a reclamo al Tribunale di sorveglianza, da esperire entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere - a tal fine - il termine di quindici giorni.
Nella parte motiva di tale decisione della Consulta, può testualmente leggersi il seguente passaggio: <<l'introduzione, ad opera dell'art. 3, comma 1, lettera b), del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146 (Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria), convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 2014, n. 10, della disciplina di cui all'art. 35-bis ordin. penit. sul reclamo giurisdizionale avverso le decisioni delle autorità penitenziarie che riguardano il detenuto, fornisce oggi - come giustamente rileva il giudice a quo - un «precis[o] punto di riferimento, già rinvenibil[e] nel sistema legislativo» (sentenza n. 236 del 2016) idoneo a eliminare il vulnus riscontrato, ancorché non costituente l'unica soluzione costituzionalmente obbligata (sentenze n. 242, n. 99 e n. 40 del 2019, nonché n. 233 e n. 222 del 2018)>>.
Il comma 4 del menzionato art. 35-bis Ord. pen. prevede, nell'ambito di quel procedimento - che disciplina in via generale il controllo giurisdizionale, in ordine a tutte le decisioni che impattano sui diritti del detenuto - il termine di quindici giorni, per esperire il reclamo innanzi al Tribunale di sorveglianza, termine decorrente dalla notificazione o comunicazione dell'avviso di deposito della decisione del magistrato di sorveglianza. Tale termine - che peraltro coincide con quello previsto, in via generale, dall'art. 585, comma 1), lett. a), cod. proc. pen., per l'impugnazione dei provvedimenti emessi all'esito della camera di consiglio - rappresenta dunque una soluzione già presente nell'ordinamento, che può agevolmente essere mutuata - secondo la Consulta - per il reclamo avverso i provvedimenti adottati dal magistrato di sorveglianza e che attengano ai permessi premio.
3. Dall'equipollenza stabilita dal Giudice delle leggi, fra i termini sanciti per l'esperimento del procedimento di reclamo ex art. 35-bis Ord. pen. e quelli dettati in relazione agli ordinari mezzi di impugnazione, discende - quale inevitabile corollario - la definizione del primo quale strumento avente, a tutti gli effetti, la natura dell'ordinario mezzo di impugnazione.
3.1. Il dato letterale della norma potrebbe apparire - ove considerato in maniera atomistica, meramente testuale e priva di collegamenti di carattere sistematico - di univoca significazione; così letta, la norma deporrebbe nel senso che la legittimazione a proporre reclamo, avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in materia di permesso, possa essere attribuita - in via esclusiva - al Pubblico ministero o al condannato personalmente. Il difensore resterebbe legittimato a proporre il reclamo, quindi, soltanto se munito di specifica delega, rilasciata in suo favore dall'interessato.
3.2. La proposizione del reclamo in argomento è però assimilabile, come sopra specificato, alla più generale disciplina in tema di impugnazioni, pure richiamata dal ricorrente.
Sul punto, pare opportuno richiamare anche il dictum di Sez. U n. 12581 del 25/02/2021, Diletto, Rv. 280736, a mente della quale il reclamo previsto dall'art. 69-bis, comma 3, Ord. pen. non presenta la natura del mero atto sollecitatorio del contraddittorio differito, rispetto a un provvedimento - quale quello adottato dal magistrato di sorveglianza - che non postula la presenza delle parti.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, è costantemente orientata nel senso di riconoscere al reclamo la qualifica di mezzo di impugnazione; alcune pronunce lo ritengono espressamente, sic et simpliciter, qualificabile alla stregua di un gravame (Sez. 1, n. 21350 del 06/05/2008, Drago, Rv. 240089), altre lo definiscono, in modo più esplicito, come un mezzo di impugnazione (Sez. 1, n. 47481 del 06/10/2015, Teano, Rv. 265376).
Una volta stabilita la natura di mezzo di impugnazione del reclamo tipizzato dall'art. 69-bis Ord. pen., la sentenza delle Sezioni Unite Diletto compie un ampio excursus relativo alle principali figure di reclamo tipizzate nell'ordinamento penitenziario, secondo la lettura che - ormai in modo consolidato - ne viene data ad opera della giurisprudenza di legittimità.
Può leggersi, dunque, nella motivazione della sentenza sopra citata che <<Concludendo sul punto, per il miglior inquadramento della disciplina in esame può essere utile una sia pure schematica rassegna di alcune "figure" di reclamo previste dalle norme di ordinamento penitenziario e caratterizzate da - più o meno accentuati - profili distintivi rispetto al modello "tipico" di procedimento di sorveglianza delineato, con l'avvento del nuovo codice di rito, dagli artt. 678 e 666 cod. proc. pen. a presidio di quella garanzia di giurisdizionalità sancita, come si vedrà, dal legislatore delegante. A sua volta, il procedimento di sorveglianza "tipico" si distingue - per così dire, "a monte" - dal procedimento camerale ex art. 127 cod. proc. pen. per vari aspetti, tra i quali la previsione di casi e forme della declaratoria d'inammissibilità della richiesta e la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore, tesa a rafforzare, rispetto al procedimento camerale generale, la garanzia del contraddittorio (cfr. Sez. U, n. 26156 del 28/05/2003, Di Filippo, Rv. 224612). "A valle" del procedimento di sorveglianza "tipico" disciplinato dagli artt. 678 e 666 cod. proc. pen. si colloca, invece, una costellazione di procedimenti relativi all'esecuzione della pena, caratterizzati da differenze, più o meno rilevanti, rispetto al modello "tipico" e anche rispetto al modulo procedimentale prefigurato per la concessione della liberazione anticipata dall'art. 69-bis Ord. pen..... Maggiori affinità rispetto al procedimento dettato in tema di liberazione anticipata si rinvengono nel procedimento di cui all'art. 30-bis Ord. pen. relativo ai permessi, anch'esso articolato in due fasi, la prima davanti al magistrato di sorveglianza, la seconda, introdotta da un reclamo alla sezione di sorveglianza (al quale è comunemente riconosciuta natura di mezzo di impugnazione: ex plurimis, Sez. 1, n. 15982 del 17/09/2013, dep. 2014, Greco, Rv. 261989; Sez. 1, n. 37332 del 26/09/2007, Esposito, Rv. 237505), che la più recente e consolidata giurisprudenza di legittimità esclude possa svolgersi de plano (ex plurimis, Sez. 1, n. 37044 del 20/11/2020, Nicastro, Rv. 280097; Sez. 1, n. 37527 del 07/10/2010, Casile, Rv. 248694). La disciplina in materia non contiene alcun rinvio al procedimento in camera di consiglio ex art. 127 cod. proc. pen., ma, sulla scorta della decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale - anche - dell'art. 30-bis Ord. pen. nella parte in cui non consentiva «l'applicazione degli artt. 666 e 678 del codice di procedura penale nel procedimento di reclamo avverso il decreto del magistrato di sorveglianza che esclude dal computo della detenzione il periodo trascorso in permesso-premio» (Corte cost., sent. n. 53 del 1993), la giurisprudenza di legittimità ritiene che il reclamo in materia di permessi debba seguire il procedimento di sorveglianza "tipico" di cui agli artt. 666 e 678 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 4867 del 07/10/1998, Natoli Rv. 211503; Sez. 1, n. 49343 del 17/11/2009, Bontempo Scavo, Rv. 245641). In questa prospettiva, tesa a rafforzare l'effettività del diritto di difesa del condannato, la Corte costituzionale ha di recente dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30-ter, comma 7, Ord. pen., nella parte in cui prevede, mediante il rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio sia soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni (Corte cost., sent. n. 113 del 2020)>>.
Questa Corte, del resto, ha già espressamente enunciato il principio secondo il quale il reclamo tipizzato dall'art. 30-ter, comma 7, Ord. pen. deve essere ricondotto al genus dell'impugnazione (Sez. 1, n. 35319 del 12/03/2021, Rv. 281896).
4. Non condivisibile è, pertanto, l'inquadramento di norme compiuto dal Tribunale di sorveglianza, laddove ha precisato come la legittimazione alla proposizione del ricorso non possa considerarsi autonomamente attribuita al difensore - in via quasi surrogatoria - né dalla nomina speciale, inerente al procedimento relativo alla decisione sull'istanza di permesso premio, né dalla nomina conferitagli, in maniera ampia e onnicomprensiva, in ordine ad ogni procedimento della fase esecutiva.
4.1. Al contrario, il difensore nominato con l'atto che chiede il reclamo deve ritenersi immediatamente investito della legittimazione alla proposizione dello stesso, costituendo il reclamo un ordinario strumento di impugnazione, come tale assoggettato ai principi generali che governano la materia, ai sensi dell'art. 571, comma 3, cod. proc. pen.
4.2. Il principio di diritto secondo il quale il difensore deve ritenersi titolare di un autonomo potere di proporre impugnazione, potere immediatamente derivante dal conferimento del mandato difensivo, è stato fissato, del resto, in plurimi arresti della giurisprudenza di legittimità; tra i tanti, sarà bastevole richiamare Sez. 3, n. 15465 del 10/02/2016, R., Rv. 266781, a mente della quale: <<L'art. 571, comma terzo, cod. proc. pen., attribuisce al difensore dell'imputato, diversamente da quanto previsto dalle norme sulle impugnazioni delle altre parti private, una facoltà propria a proporre gravame, concorrente con quella conferita all'imputato personalmente, alla sola condizione che la relativa qualifica soggettiva sussista al momento del deposito del provvedimento da impugnare ovvero che la nomina sia intervenuta a tale specifico fine, senza che occorra, pertanto, il conferimento di procura speciale da parte dell'assistito>>.
5. Riassumendo l'iter concettuale sin qui seguito, questo Collegio reputa opportuno fissare i seguenti ancoraggi teorici:
- questa Corte di legittimità, nel massimo consesso, ha stabilito potersi riconoscere la natura di mezzo di impugnazione al reclamo tipizzato dall'art. 69-bis Ord. pen. (Sez. U n. 12581 del 25/02/2021, Diletto, Rv. 280736);
- le Sezioni Unite, richiamando la linea interpretativa dettata dalla Consulta (Corte cost., sent. n. 53 del 1993), hanno individuato la sussistenza di una marcata equipollenza, di carattere ontologico e strutturale, fra il reclamo delineato dall'art. 69-bis Ord. pen. e quello previsto - avverso la decisione reiettiva in materia di permessi premio - dall'art. 30-bis, comma 4, Ord. pen.;
- deriva da tale profonda affinità, fra le due tipologie di reclamo, la possibilità di attribuire anche al reclamo ex art. 30-bis, comma 4, Ord. pen. la natura di mezzo di impugnazione;
- da tale natura discende - in maniera consequenziale - la riconducibilità anche di tale ultima tipologia di reclamo alla disciplina generale che presiede al tema delle impugnazioni, compendiata nel testo dell'art. 571 cod. proc. pen.;
- tale disposizione codicistica, al terzo comma, riserva al difensore un potere di proporre impugnazione che è del tutto autonomo, non richiedendo esso l'attribuzione di alcuna speciale investitura, ulteriore rispetto al conferimento del mandato difensivo, magari ricollegabile al rilascio di specifica procura.
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Torino.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di sorveglianza di Torino.