Per via dell'omesso versamento dell'assegno di mantenimento, moglie e figlio si erano trovati privi dei mezzi di sussistenza. Tuttavia, la condotta resta punibile solo fino al raggiungimento della maggiore età del figlio.
La Corte d'Appello di Caltanissetta confermava la decisione con la quale il Giudice di prime cure aveva condannato l'imputato per il reato di cui all'
Svolgimento del processo
Con il provvedimento in epigrafe la Corte d'appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva condannato l'imputato per il reato di cui agli artt. 81, 570, comma secondo n. 2, cod. pen., per avere omesso il versamento dell'assegno mensile di mantenimento nei confronti della moglie e del figlio, così facendo loro mancare i mezzi di sussistenza (dal 1° giugno 2016, in permanenza).
I Giudici dell'appello respingevano anzitutto l'eccezione sollevata dalla difesa relativa alla pretesa nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza perché M. era stato condannato per il reato di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2 cod. pen. in permanenza, ma nel capo di imputazione si fa riferimento al solo provvedimento presidenziale emesso il 1° giugno 2016 relativo alla separazione e neppure a quello successivo che regolamentava i rapporti patrimoniali fra coniugi al momento dell'intervenuto divorzio. Ritenevano i giudicanti che il capo di imputazione descrivesse puntualmente l'obbligo di mantenimento che gravava sull'imputato in quanto padre e coniuge ed evidenziavano lo stato cli bisogno in cui le persone offese versavano, tanto che esse erano rimaste prive dei mezzi di sussistenza.
La Corte ripercorreva poi nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla consistenza probatoria del reato contestato e valorizzava la coerenza e la completezza della deposizione della persona offesa, riscontrata dalla documentazione in atti, secondo la quale l'imputato si era reso sistematicamente inadempiente agli obblighi di mantenimento imposti per effetto della separazione coniugale, omettendo le contribuzioni dovute, tanto che la donna, priva di reddito, disoccupata e in condizioni di salute che non le consentivano di lavorare, era stata costrettc1 a ricorrere all'aiuto della madre pensionata. L'imputato, il quale svolgeva attività di autotrasportatore aveva regolarmente lavorato fino al 2017, allorché gli era stata ritirata la patente. Non risultavano però alcun oggettivo impedimento a procurarsi un impiego produttivo di reddito idoneo a consentirgli di provvedere al sostentamento dei familiari, i giudici di merito ne ritenevano provata la penarle responsabilità.
Quanto al profilo sanzionatorio la Corte respingeva le relative doglianze. Riteneva che il protrarsi della condotta nei confronti della coniuge e del figlio impedisse il riconoscimento della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., che non emergessero elementi positivi tali da giustificare le attenuanti generiche o comunque il mitigamento del trattamento sanzionatorio, che la negazione del beneficio della non menzione rispondesse al criterio rieducativo della pena, che la subordinazione della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale fosse conforme al dettato normativo di cui all'art. 165 cod. pen.
2. Il difensore di M. ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello e ne ha chiesto l'annullamento, censurando:
2.1. la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che all'imputato è contestato il reato di cui agli artt. 81, 570, secondo comma, n. 2 cod. pen., mentre l'enunciazione del fatto contestato si limita solo al riconoscimento del mantenimento così come disposto dai provvedimenti del Tribunale del 2012, non facendo neppure riferimento all'omesso versamento dell'assegno divorzile, ipotesi diversa da quella addebitata. Sotto diverso profilo, la condanna in permanenza afferisce non già all'esistenza dello stato di bisogno, bensì all'oggettivo inadempimento della corresponsione della somma statuita dal giudice civile, che avrebbe semmai integrato ili diverso reato di cui all'art. 570-bis cod. pen., quanto meno per le condotte successive al 1° giugno 2012;
2.2. la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen., assumendo rilievo le modeste condizioni economiche dell'imputato;
2.3. la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, avendo la Corte territoriale applicato una pena eccessiva anche in ragione della mancata applicazione delle attenuanti generiche richieste in sede di gravame;
2.4. la violazione di legge con riguardo alla mancata concessione della non menzione della condanna, pur avendo la Corte contraddittoriamente disposto la concessione della sospensione condizionale della pena;
2.5. la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, non avendo i giudici di appello motivato circa la scelta di quale tra gli obblighi previsti dall'art. 165 cod. pen. imporre all'imputato, né avendo tenuto conte delle precarie condizioni economiche del medesimo.
3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è parzialmente fondato per le ragioni di seguito esposte.
2. Occorre premettere che la contestazione riguarda esclusivamente il reato di cui all'art. 570, comma secondo n. 2 cod. pen., laddove il capo di imputazione enuncia che, non corrispondendo alla moglie e al figlio l'assegno di mantenimento, l'imputato ha fatto loro mancare i mezzi di sussistenza. Peraltro, nella stessa sentenza impugnata si legge che "non è stato contestato il reato oggi contemplato dall'art. 570-bis cod. pen. e quindi le contestazioni difensive che evocano la diversità di struttura tra il reato contestato e quello già contenuto nell'art. 12-sexies l. n. 898/70 non hanno alcuna pertinenza". Non entra dunque in gioco la questione, tuttora controversa nella giurisprudenza di legittimità, del rapporto di consunzione fra il reato di cui all'art. 570, comma secondo n. 2 e quello di cui all'art. 570-bis cod. pen.
Ciò posto, va ricordato che, secondo consolidato orientamento di legittimità, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, sia l'obbligo morale riconosciuto dall'art. 570, comma primo, cod. pen. che quello economico, sanzionato dal comma secondo della medesima disposizione, presuppongono la minore età del figlio (non inabile al lavoro) e vengono meno con l'acquisizione della capacità di agire da parte dello stesso conseguente al raggiungimento della maggiore età (Sez. 6, n. 22831 del 29/03/2018, A., Rv. 273386; Sez. 6, n. 34080 del 13/06/2013, M., Rv. 257416). Quando il figlio raggiunge la maggiore età ne deriva l'insussistenza del fatto-reato per la violazione degli obblighi.
Si è anche puntualizzato che l'art. 12-sexies legge 1° dicembre 1970, n. 898 (oggi art. 570-bis cod. pen.) punisce il mero inadempimento dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento stabilito dal giudice, in sede di divorzio, in favore dei figli senza limitazione di età, purché economicamente non autonomi, mentre l'art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen. prevede come soggetti passivi solo i figli minori o inabili al lavoro, sicché non integra tale ultimo reato la violazione dell'obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli maggiorenni, non inabili al lavoro, anche se studenti (Sez. 6, n. 34270 del 31/05/2012, M., Rv. 253262).
In applicazione di detto principio, va quindi affermata l'insussistenza del reato nei confronti del figlio G. in relazione alle condotte successive alla data del 15 giugno 2013, allorquando questi compiva il diciottesimo anno.
Peraltro, con riguardo alla condotta contestata dal 1° giugno 2012 al 15 giugno 2013, assume carattere assorbente rispetto ad ogni altra considerazione il rilievo della sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione, maturata, invero, il 15 dicembre 2020, in epoca precedente anche alla sentenza di primo grado.
Non sono riscontrabili, nelle sentenze di merito, elementi di giudizio idonei a riconoscere la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, essendo anzi contenute in esse valutazioni di segno opposto.
3. Destituito di fondamento appare viceversa il motivo di ricorso con riguardo alla ex coniuge. Lo stesso ricorrente rappresenta che la sentenza specifica la mancanza dei mezzi di sussistenza delle persone offese che versavano in stato di bisogno. Ed invero, appare probatoriamente supportata e logicamente argomentata - perciò insindacabile in sede di legittimità - l'affermazione della Corte d'appello per cui l'omissione delle contribuzioni da parte dell'imputato ha fatto venir meno i pur strettamente necessari mezzi di sussistenza al coniuge (per soddisfarne le elementari esigenze di vita), che versava in un obiettivo e incontroverso stato di bisogno, dal momento che C. C. era disoccupata, non aveva mai lavorato anche a causa delle sue precarie condizioni di salute, viveva nella casa coniugale assegnatale ed era stata costretta a fare ricorso all'aiuto della madre pensionata.
Le dichiarazioni rese dalla persona offesa sono state poste a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva della dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto. Verifica che la Corte territoriale ha compiuto analizzando le dichiarazioni e il comportamento processuale della teste, in assenza di elementi significativamente idonei a smentire l'assunto della persona offesa circa l'inadempimento da parte dell'imputato dell'obbligo contributivo a suo carico. Sicché, le doglianze del ricorrente non soltanto risultane generiche ma neppure si agganciano alle precise affermazioni rese sul punto dai giudici di merito.
4. Infondata è la doglianza attinente alla pretesa sussistenza della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., avendo la Corte territoriale fatto buon governo dei principi che regolano la materia, giacché il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, comma 1, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza desumibile da esse e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). In tal senso i giudici dell'appello hanno evidenziato la protrazione nel tempo della condotta, senza che ne risultasse l'interruzione.
5. Parimenti priva di pregio è la doglianza con cui il ricorrente pretende che in questa sede si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali il giudice di merito ha esercitato il potere discrezionale concesso dall'ordinamento ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'a1-t. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). La concessione di dette circostanze presuppone, inoltre, l'esistenza di elementi suscettibili di positivo apprezzamento. Nella specie, la Corte di merito ha spiegato di non ritenere il ricorrente meritevole delle invocate attenuanti per la mancata emersione di elementi positivi, non potendosi considerate tali il "mero comportamento corretto tenuto in sede processuale" né tantomeno le condizioni economiche.
6. Manifestamente infondato è il motivo relativo al negato beneficio della non menzione della condanna, giacché il ricorrente non si misura con gli apprezzamenti di merito adeguatamente scrutinati dalla Corte d'appello con puntuale e logico apparato argomentativo, laddove si rappresenta che, alla luce della gravità della condotta, indicatrice di "una pur contestualizzata propensione a comportamenti illeciti" proprio la menzione nel certificato penale potrà maggiormente concorrere alla rieducazione del responsabile.
La sentenza impugnata contiene altresì una congrua motivazione circa la mancanza di contrasto con la concessione del diverso beneficio della sospensione condizionale, poiché, secondo la giurisprudenza di legittimità, il beneficio della non menzione della condanna di cui all'art. 175 cod. pen. è fondato sul principio dell' “emenda" e tende a favorire il processo di recupero morale e sociale del condannato, sicché la sua concessione è rimessa all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è necessariamente conseguenziale a quella della sospensione condizionale della pena, fermo restando l'obbligo del giudice di indicare le ragioni della mancata concessione sulla base degli elementi di cui all'art. 133 cod. p2n. (Sez. 2, n. 16366 del 28/03/2019, Iannaccone, Rv. 275813).
7. Risulta infine non fondato, oltre che per certi aspetti generico, anche il motivo di ricorso riguardante la mancata considerazione delle condizioni patrimoniali del ricorrente ai fini della subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della somma stabilita a titolo di provvisionale. Va osservato che si tratta di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo qualora intenda, come nel caso di specie, riconoscere nuovamente tale beneficio già precedentemente concesso (Sez. 6, n. 12079 del 20/02/2020, Taher, Rv. 278725; Sez. 2, n. 29001 del 29/09/2020, Bangi, Rv. 279773; Sez. 5, n. 19721 del 11/04/2019, P., Rv. 276248).
Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, cui questo Collegio ritiene dl aderire, pur non essendo il giudice della cognizione tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell'imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse se dagli atti emergano elementi che consentano di dubitare della capacità di soddisfare la condizione imposta, ovvero quando tali elementi vengano forniti dalla parte interessata in vista della decisione (Sez. 6, n. 46959 del 19/10/2021, P., Rv. 282348; Sez. 6, n. 25413 del 13/05/2016, Lo Piccolo, Rv. 267352).
Nel caso di specie la difesa non ha dedotto ragioni specifiche dalle quali evincere condizioni economiche così deteriorate da rendere inesigibile l'obbligazione di pagamento, non potendo considerarsi tali le generiche allegazioni relative all'impossibilità di svolgere l'attività di autotrasportatore - precedentemente esercitata - a causa del ritiro della patente, essendo le stesse rimaste sfornite di qualsivoglia riferimento concreto alla capacità patrimoniale del ricorrente.
8. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, quanto al reato contestato in danno del figlio, per il quale deve dichiararsi l'estinzione per prescrizione della condotta criminosa relativa al periodo 1° giugno 2012 - 15 giugno 2013 e l'insussistenza del fatto per quella inerente al periodo successivo. Va disposto di conseguenza l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Caltanissetta limitatamente alla rideterminazione della pena con riferimento alla condotta di reato in danno della moglie. Il ricorso va rigettato nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato in danno di M. G., perché il fatto non sussiste per il periodo successivo al 15 giugno 2013 e perché il reato è estinto per prescrizione per la condotta fino al 15 giugno 2013. Rinvia la sentenza impugnatc1 ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta per la rideterminazione della pena, rigettando nel resto il ricorso.