Risposta affermativa, ma solo per la parte che adempie alla sua specifica funzione, ossia dalle fondamenta al livello del fondo superiore. La parte che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico.
Il Tribunale di Chieti accoglieva parzialmente la domanda di un Condominio ordinando l'arretramento del terrapieno realizzato dalla società convenuta sino a cinque metri dal confine e dichiarando l'inesistenza delle servitù di scolo e veduta a carico del fondo del Condominio attore. Proposto gravame, la Corte territoriale lo rigettava...
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 10.10.2006 il Condominio B. evocava in giudizio la C.I.I. S.a.s. di Q.G. & C. innanzi il Tribunale di Chieti invocandone la condanna ad arretrare il terrapieno artificiale realizzato dalla società convenuta sul terreno di sua proprietà fino ad una distanza non inferiore a cinque metri dal confine e dieci dalla costruzione fronteggiante, e chiedendo di accertare l’inesistenza di servitù di veduta e scolo di acque a carico del fondo del Condominio attore.
Nella resistenza della convenuta il Tribunale, con sentenza n. 287/2011, accoglieva in parte la domanda, dichiarando l’inesistenza delle servitù di scolo e veduta a carico del fondo del Condominio e ordinando l’arretramento del terrapieno realizzato dalla società convenuta sino a cinque metri dal confine.
Con la sentenza impugnata, n. 347/2018, la Corte di Appello di L’Aquila rigettava il gravame interposto da C.I.I. S.a.s. avverso la decisione di prima istanza.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.I.I. S.a.s., affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso il Condominio B..
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 42 Cost., 834, 873 e 1460 c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe considerato, come quota di partenza per apprezzare l’esistenza, o meno, del terrapieno realizzato dalla ricorrente, quella del piazzale del Condominio, senza tener conto che lo stesso era stato realizzato circa 60 cm. più in basso del piano di campagna, con costruzione di apposito muro di contenimento.
Secondo la ricorrente, la Corte di Appello avrebbe considerato costruzione il terrapieno, e ne avrebbe dunque ordinato l’arretramento sino a cinque metri dal confine, ma non avrebbe applicato analogo criterio al fondo del Condominio, così legittimando, di fatto, la costruzione di un muro di contenimento a distanza inferiore dal confine, in violazione delle norme dello strumento urbanistico locale.
La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.
La sentenza impugnata ha fatto buon governo degli insegnamenti di questa Corte, secondo cui “In tema di distanze legali, il muro di contenimento di una scarpata o di un terrapieno naturale non può considerarsi costruzione agli effetti della disciplina di cui all'art. 873 c.c. per la parte che adempie alla sua specifica funzione, e, quindi, dalle fondamenta al livello del fondo superiore, qualunque sia l'altezza della parete naturale o della scarpata o del terrapieno cui aderisce, impedendone lo smottamento; la parte del muro che si innalza oltre il piano del fondo sovrastante, invece, in quanto priva della funzione di conservazione dello stato dei luoghi, è soggetta alla disciplina giuridica propria delle sue oggettive caratteristiche di costruzione in senso tecnico giuridico, ed alla medesima disciplina devono ritenersi soggetti, perché costruzioni nel senso sopra specificato, il terrapieno ed il relativo muro di contenimento elevati ad opera dell'uomo per creare un dislivello artificiale o per accentuare il naturale dislivello esistente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 145 del 10/01/2006, Rv. 585913; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1217 del 22/01/2010, Rv. 611224).
Va infatti ribadito che “Ai fini dell'osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dagli artt. 873 e seguenti c.c. e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi manufatto non completamente interrato avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15972 del 20/07/2011, Rv. 618711; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27399 del 29/12/2014, Rv. 633925; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23856 del 02/10/2018, Rv. 650633). Per questa prima parte, dunque, il motivo è infondato.
L’ulteriore argomento, sviluppato dalla società ricorrente, secondo cui anche il muro di contenimento realizzato a suo tempo dal condominio, costituirebbe costruzione, con conseguente assoggettamento al regime delle distanze legali, non risulta dalla sentenza impugnata, nella quale si afferma soltanto che l’odierna ricorrente avrebbe sostenuto, in quel grado del giudizio di merito, che “… il terrapieno costruito dall’appellante non costituisce altro che il ripristino dell’originaria e naturale scarpata” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata). La società ricorrente non deduce, nel motivo in esame, di aver proposto, nel giudizio di merito, il tema della prevenzione, né indica in quale preciso momento processuale, e con quale atto del giudizio, tale questione –che oggi viene affrontata nel motivo di ricorso in Cassazione– sarebbe stata introdotta nelle precedenti fasi di merito. Ne discende l’inammissibilità dello specifico profilo, perché nuovo.
Infine, con riferimento al vizio motivazionale dedotto dal motivo in esame, va rilevato che esso non è più compreso nel paradigma dei vizi deducibili in sede di legittimità, dopo l’entrata in vigore della novella del 2012. Anche per questa parte, dunque, il motivo è inammissibile.
Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché la violazione dell’art. 2041 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe confermato il rigetto della domanda riconvenzionale di risarcimento del danno derivante dall’illegittima traslazione del canale di scarico delle acque, sulla base dell’erroneo presupposto che la società odierna ricorrente avesse riconosciuto che detto spostamento non sarebbe stato eseguito dal Condominio. Ad avviso dell’odierna ricorrente, indipendentemente da chi avrebbe materialmente eseguito l’intervento di cui si discute, il Condominio avrebbe dovuto essere considerato responsabile del danno, ed avrebbe eventualmente potuto chiamare in garanzia il terzo, effettivo autore del fatto.
La censura è in parte infondata e in parte inammissibile.
La sentenza impugnata dà atto che l’odierna ricorrente aveva dichiarato che la traslazione del canale di scarico era stata realizzata non già dal Condominio B., ma da altro soggetto (cfr. pag. 6 della sentenza). Il ricorso conferma la circostanza, posto che la ricorrente afferma che “… chi materialmente ha traslato il suddetto canale, come emerge dall’istruttoria, è la Cooperativa A., dante causa del Condominio B.” (cfr. pag. 6 del ricorso). La statuizione della Corte distrettuale, sulla quale si fonda il rigetto della domanda risarcitoria, non è quindi attinta dalla censura che, anzi, conferma l’estraneità del Condominio alla causazione del fatto asseritamente dannoso. Irrilevante, al riguardo, è il rilievo che il Condominio avrebbe potuto chiamare in garanzia la sua dante causa, in quanto si tratta di facoltà, e non di obbligo; in ogni caso, l’attore è tenuto ad evocare in giudizio il suo giusto contraddittore, in relazione alla domanda che in concreto intende esercitare. Per questa parte, dunque, il motivo è infondato.
La censura è invece inammissibile quanto al richiamo dell’art. 2041 c.c., posto che la domanda che l’odierna ricorrente aveva spiegato aveva contenuto risarcitorio, e non indennitario. La sentenza impugnata non dà atto che la società C.I.I. S.a.s. avesse spiegato, nel corso del giudizio di merito, domanda ex art. 2041 c.c., né la ricorrente indica in quale momento processuale, e mediante quale atto o documento, la predetta domanda sarebbe stata introdotta nel giudizio di merito.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe fornito alcuna motivazione in relazione alla richiesta di riesame delle prove testimoniali escusse in prime cure.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto infondato il terzo motivo di gravame che era stato proposto in seconda istanza, ritenendo decisiva la C.T.U., la quale aveva confermato che le opere realizzate dalla società odierna ricorrente “… hanno determinato l’alterazione dello scolo naturale che prima era sufficientemente distanziato dalla recinzione realizzata dal Condominio” (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata). Non sussiste, dunque, alcun profilo di omessa motivazione, avendo la Corte di merito dato atto della ragione per cui ha ritenuto non decisive le risultanze della prova testimoniale. Del resto, sul punto, va ribadito che “L'esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330). Il giudice di merito, quindi, è libero di scegliere quale, tra i diversi elementi emergenti dall’istruttoria, porre a fondamento della propria decisione, senza essere tenuto ad esaminare, o a confutare, specificamente quelli non considerati.
Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 122 del 1989, nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto che la realizzazione del terrapieno di cui è causa era funzionale alla destinazione dello spazio sovrastante a parcheggio a servizio dell’edificio realizzato, sul suo terreno, dalla società odierna ricorrente.
La censura è infondata.
Come rilevato dalla sentenza impugnata (cfr. pag. 5), questa Corte ha affermato che l’art. 9 della legge n. 122/1989 consente la deroga alla disciplina delle distanze dal confine per il solo caso in cui i parcheggi siano adibiti a servizio di immobili già esistenti, e non anche per la diversa ipotesi in cui i parcheggi vengano realizzati contemporaneamente al fabbricato al cui interno si trovano le unità immobiliari alle quali accedono (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25999 del 17/10/2018, Rv. 651446; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20850 del 11/09/2013, Rv. 627618). Peraltro, va anche ribadito che “La deroga alla disciplina delle distanze di cui all'art. 9 della l. n. 122 del 1989 vale solo per le autorimesse e i parcheggi realizzati, per l'intera altezza, al di sotto dell'originario piano di campagna, tutelando le prescrizioni urbanistiche in tema di altezze, distanze e volumetria degli edifici valori specifici, quali aria, luce e vista” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11998 del 10/06/2016, Rv. 640213).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto –ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002– della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 6.300, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.