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Svolgimento del processo
1.1.Con atto di citazione notificato in data 07.11.2018, A. A. M. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 921/2018, emesso dal Tribunale di Termini Imerese in data 24/07/2018, con cui era stato ingiunto il pagamento della somma di euro 6.000,00, oltre interessi e spese della fase monitoria da corrispondere al ricorrente M. L. M., nel merito deducendo che: l’assegno bancario, in virtù del quale era stato emesso il decreto ingiuntivo, era un assegno postdatato; che detto assegno era stato emesso dall’opponente a garanzia di un debito contratto dal proprio figlio, a fronte di un prestito ricevuto dal sig. M. nel mese di febbraio del medesimo anno (2017) e che detto assegno “sarebbe stato restituito alla scadenza del 26.07.2017, ovvero al momento del saldo del prestito effettuato in favore del sig. L..” (v. pag.3 dell’atto di opposizione); eccepiva dunque l’insussistenza del rapporto sottostante, in assenza di formalizzazione di alcuna fideiussione; in subordine l’intervenuto decorso del termine di decadenza di cui all’art. 1957 c.c.; in ogni caso l’intervenuto pagamento - in data 19.03.2018 – della somma di € 4.350,00 che andava defalcata dal totale richiesto (v. quietanza all.ta all’atto di opposizione); chiedeva quindi l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo nonché, in via subordinata, la rideterminazione dell'esatto importo dovuto.
1.2 Costituitosi nel corso della prima udienza del 8.5.19 M. M. L. contestava la ricostruzione dei fatti operata dall’opponente, precisando che l’assegno non era stato consegnato a titolo di garanzia ma a titolo di pagamento, “per fare fronte, almeno parzialmente, ad una sostanziosa esposizione debitoria che il figlio della stessa (sig. L. G.) aveva ed ha nei confronti del sig. M.. Debiti che ammontano a qualche decina di migliaia di euro” (pag.2 della comparsa), chiedeva quindi il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo, nonché la provvisoria esecuzione del decreto opposto ai sensi dell’art. 648 c.p.c., con condanna dell’opponente alla refusione delle spese di lite.
Rigettata la richiesta di concessione della provvisoria esecuzione con ordinanza riservata del 6/6/2019, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.
Precisate le stesse all’udienza del 06.03.2023, la causa è stata posta in decisione, con l’assegnazione alle parti dei termini per il deposito di comparse conclusionali e per le memorie di replica.
Motivi della decisione
Tanto premesso, l’opposizione è solo parzialmente fondata per i motivi che di seguito si espongono.
Ed invero, l’analisi deve muovere dal quadro processuale principale che, in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, vede invertirsi la posizione solo processuale delle parti, nel senso che colui che propone l’opposizione al decreto ingiuntivo riveste, solo formalmente, la veste di “attore”, ritrovandosi davanti al Giudice nella medesima posizione sostanziale che avrebbe avuto qualora il decreto non fosse stato mai pronunciato e, il convenuto formale, rimane nella sostanza attore.
In altri termini, il decreto ingiuntivo è un accertamento anticipatorio con attitudine al giudicato e che, instauratosi il contraddittorio a seguito dell'opposizione, si apre un giudizio a cognizione piena, caratterizzato dalle ordinarie regole processuali (art. 645, 2 comma, c.p.c.), anche in relazione al regime degli oneri allegatori e probatori (Cass. 17371/2003; Cass. 6421/2003).
Invero l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, in cui il giudice deve non già stabilire se l’ingiunzione è stata emessa legittimamente in relazione alle condizioni previste dalla legge per l’emanazione del provvedimento monitorio, ma accertare il fondamento della pretesa fatta valere con il ricorso per ingiunzione (cfr., tra le tante, Cass. civ. n. 22489/2006, n. 16911/2005, n. 15186/2004 e n. 1657/2004) sicché, se il credito risulti fondato, deve accogliere la domanda indipendentemente dalla circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori alla stregua dei quali l’ingiunzione è stata emessa, rimanendo irrilevanti, ai fini di tale accertamento, eventuali vizi della procedura monitoria che non importino l’insussistenza del diritto fatto valere con tale procedura, mentre l’eventuale assenza delle condizioni legittimanti l’emanazione del procedimento monitorio può spiegare rilevanza, al più, sul regolamento delle spese della fase monitoria (Cass. civ. n. 19560/2009).
Si rammenta, inoltre, che al creditore che deduce l’inadempimento spetta di dimostrare, secondo i criteri di distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., il fatto costitutivo del credito, laddove al debitore spetta di provare il fatto estintivo dello stesso o di una sua parte: ragion per cui il primo è tenuto unicamente a fornire la prova dell’esistenza del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto, mentre, a fronte di tale prova, dovrà essere onere del debitore dimostrare di avere adempiuto, anche in parte, alle proprie obbligazioni (cfr. Cass. civ., sez. un., n. 13533/2001 e n. 9351/2007).
Soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva (cioè puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito) l’onere della prova verrà nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso o più antico (cfr. Cass. civ. n. 205/2007, conf. n. 20288/2011 e n. 19039/2019).
Tali principi trovano applicazione anche in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, che costituisce atto introduttivo di un giudizio ordinario di cognizione, nel quale va anzitutto accertata la sussistenza della pretesa fatta valere dall’ingiungente opposto, che ha posizione sostanziale di attore; raggiunta tale prova, deve valutarsi la fondatezza delle eccezioni e delle difese fatte valere dall’opponente, che assume veste sostanziale di convenuto (cfr., ex multis, Cass. civ. n. 4800/2007, conf. n. 21101/2015).
Oggetto della presente causa, dunque, non è stabilire se il decreto ingiuntivo n. 921/2018 sia stato (o meno) emesso in presenza dei presupposti di cui agli artt. 633 e ss c.p.c., bensì verificare la fondatezza nel merito del credito azionato in via monitoria da M..
E’ appena poi il caso di osservare, come pure ha avuto occasione di precisare la Suprema Corte che “L'assegno bancario, nei rapporti diretti tra traente e prenditore (ovvero tra girante ed immediato giratario), anche se privo di valore cartolare, deve essere considerato come una promessa di pagamento, e pertanto, secondo la disciplina dell'art. 1988 cod. civ., comporta una presunzione "iuris tantum" dell'esistenza del rapporto sottostante, fino a che l'emittente (o il girante) non fornisca la prova - che può desumersi da qualsiasi elemento ritualmente acquisito al processo, da chiunque fornito - dell'inesistenza, invalidità ed estinzione di tale rapporto”(cfr., in questi termini, Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 2816 del 08/02/2006).
Nella fattispecie in esame M. M. L. ha posto, a corredo del ricorso monitorio un assegno bancario-secondo la tesi dell’opponente posdatato- recante quale data di emissione il giorno 26.07.2017-, emesso da A. A. M. in favore della parte opposta per un ammontare di € 6.000,00.
Dal canto suo, quest’ultima ha contestato la circostanza della post-datazione dell’assegno. In proposito, mette conto evidenziare che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia, è contrario alle norme imperative contenute negli artt. 1 e 2 del r.d. n. 1736 del 1933 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce del criterio della conformità a norme imperative, all'ordine pubblico ed al buon costume, enunciato dall'art. 1343 c.c., sicché, non viola il principio dell'autonomia contrattuale sancito dall'art. 1322 c.c. il giudice che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di cui all'art. 1988 c.c. (Cass. n. 10710/2016).
Difatti, l'assegno non può mai essere emesso a garanzia di un debito, per il dirimente motivo che alle parti non è consentito modificare la funzione tipica dell'assegno stesso, che è quella di un normale mezzo di pagamento delle obbligazioni.
In buona sostanza, il patto con cui due soggetti si accordano per il rilascio di un assegno bancario a scopo di garanzia è nullo, in quanto contrario alle norme imperative dell'ordinamento (norme che, come detto, conferiscono inderogabilmente all'assegno la natura di uno strumento di pagamento).
La nullità colpisce, però, soltanto l'accordo delle parti, ma non anche l'assegno o il contratto nell'ambito del quale tale accordo è stato raggiunto, sicché l'assegno vale comunque come promessa di pagamento e, dunque, come titolo pagabile a vista al portatore, può essere portato all'incasso in qualsiasi momento dal creditore.
Ne consegue che, nei rapporti tra traente e prenditore, esso vale a dimostrare la sussistenza di una promessa di pagamento a norma dell'art. 1988 c.c., implicando, di conseguenza, solo una presunzione "iuris tantum" dell'esistenza del rapporto sottostante, fino a che l'emittente non fornisca la prova dell'inesistenza, dell'invalidità o dell'estinzione di tale rapporto.
Si viene, dunque, a configurare una presunzione semplice inerente all'esistenza, tra le parti, di un rapporto di debito-credito, per vincere la quale grava sul debitore l'onere della prova circa l'inesistenza o l'invalidità del rapporto stesso ovvero circa l'avvenuto adempimento della propria prestazione.
In sintesi, l'effetto giuridico che la norma di cui all'art. 1988 c. c. ricollega alla promessa unilaterale di pagamento, sia essa pura o titolata, è conseguenza dell'astrazione processuale della causa debendi, con la conseguenza che il promissario, agendo in giudizio per l'adempimento dell'obbligazione, ha soltanto l'onere di provare la promessa unilaterale di pagamento e non anche l'esistenza del rapporto giuridico che sta a fondamento della promessa stessa e di cui l'obbligazione, assunta nel contenuto della dichiarazione negoziale unilaterale, è elemento strutturale, atteso che è stabilita a favore del promissario una relevatio ab onere probandi, restando invece totalmente a carico del promittente l'onere di provare l'inesistenza, l'invalidità o l'estinzione del rapporto fondamentale, sia questo menzionato o meno nella promessa unilaterale di pagamento (Cass. n. 1351/1981, conf. Cass. n. 1831/2001).
Poiché, ai sensi dell'art. 1987 cod. civ., le promesse unilaterali producono effetti obbligatori nei limiti stabiliti dalla legge, la promessa di pagamento e la ricognizione di debito, secondo quanto previsto dall'art.1988 cod. civ., dispensano colui al quale sono fatte dall'onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria; pertanto, in considerazione della natura recettizia della promessa, l'assegno riveste tale natura certamente nei rapporti fra traente e prenditore (cfr. Cass. n. 7262/2006).
Occorre, a questo punto, correttamente inquadrare la natura del rapporto sottostante, in virtù del quale vi è stata l'emissione dell’assegno, posto a base del giudizio monitorio, da parte di A. A. M. (madre del debitore principale), in favore di M. M. L. (creditore).
Il Tribunale, valutati gli atti di causa, ritiene di rinvenire tale natura - piuttosto che in un contratto di garanzia inquadrabile nella fideiussione – in un rapporto di natura espromissoria cumulativa ex art. 1272 c.c.
Infatti, come ha avuto modo di osservare la Suprema Corte, nell'espromissione è rilevante la spontaneità dell'intervento dell'espromittente: “In materia di assicurazione della responsabilità civile, allorché 'assicuratore paghi il danneggiato in esecuzione della condanna alla corresponsione di una provvisionale, adottata in sede penale a carico dell'imputato nella qualità di legale rappresentante del soggetto assicurato, non sono ravvisabili gli estremi di un contratto di espromissione, difettando il requisito della spontaneità dell'assunzione del debito altrui mediante un'attività che sia del tutto svincolata dai rapporti esistenti fra terzo espromittente e soggetto obbligato” (cfr. Cass. civ. Sez. III, 21-12-2015, n. 25608).
Secondo tale orientamento, che questo Tribunale condivide, l'espromissione è il contratto fra il creditore ed il terzo che assume spontaneamente il debito altrui, nel quale non vengono in considerazione i rapporti interni fra obbligato ed espromittente, né sono giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l'intervento del terzo, mentre la causa è costituita dall'assunzione del debito altrui tramite un'attività del tutto svincolata dai rapporti eventualmente esistenti fra terzo e obbligato, anche se non si richiede l'assoluta estraneità dell'obbligato rispetto al terzo, essendo necessario, invece, che il terzo, presentandosi al creditore, non giustifichi il proprio intervento con un preesistente accordo con l'obbligato.
Inoltre, chiarisce la Suprema Corte in altra pronuncia, che il patto con cui un soggetto s'impegna ad estinguere un debito altrui è qualificabile non già come fideiussione, ma come espromissione, quando questo ha ad oggetto un'obbligazione preesistente (v. sul punto Cass. Sentenza n. 24891 del 26/11/2009)
Nel caso di specie, l’opponente A. ha pacificamente promesso, seppur con il predetto titolo invalido ma qualificabile come promessa di pagamento (posto a fondamento del decreto ingiuntivo opposto), di pagare (parte) dell'obbligazione del figlio già preesistente, sorta per via di un prestito da questi ricevuto dal sig. M. nel mese di febbraio del medesimo anno (2017) (v. pag.2 dell’atto di opposizione).
In altre parole, A. A. M. di sua iniziativa ed a mezzo della consegna del predetto titolo valente come promessa di pagamento, ha direttamente assunto un debito preesistente altrui (del figlio) nei riguardi del creditore M..
Ciò posto, nella vicenda che ci occupa, A. A. Mari ha poi documentato la parziale estinzione del debito da parte del debitore principale, producendo il giudizio una “quietanza di pagamento” relativa al pagamento di euro 4.350,00, non disconosciuta da parte opposta, rilasciata da quest’ultimo al signor L. N. G..
Orbene, essendo dunque pacifiche sia la circostanza che l’opponente si sia si obbligata a garantire l'obbligazione altrui (per un debito preesistente), sia l’intervenuto pagamento parziale da parte del debitore principale, deve rilevarsi che parte opposta non ha specificato l'eventuale diversa imputazione dei pagamenti eseguiti, limitandosi ad allegare che l’esposizione debitoria del Sig. L. risultava più ampia rispetto alla cifra dell’assegno conteso, tale per cui, la quietanza prodotta agli atti, che in alcun modo prende in considerazione la somma esposta in assegno, nulla ha a che vedere col debito della Sig.ra A.” (v. pag.3 comparsa conclusionale di parte opposta).
Va, a tal proposito richiamato, il noto principio giurisprudenziale in base al quale “il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l'eccepisca. Ne consegue che soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva (cioè puntualmente eseguito In decisione n. cronol. 3642/2022 del 14/04/2022 con riferimento ad un determinato credito) l'onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso o più antico” (Cass. 19039/2019 ex multis Cass. 04/10/2011, n. 20288; 09/01/2007, n. 205).
Non avendo parte opposta fornito la diversa imputazione dei pagamenti eseguiti, deve ritenersi che il credito portato dal decreto ingiuntivo sia stato parzialmente soddisfatto.
Ogni altra questione è da intendersi assorbita.
In ragione di tali argomentazioni di carattere assorbente, l'opposizione va parzialmente accolta ed il decreto ingiuntivo n. 921/2018 revocato, con la condanna di parte opponente al pagamento del solo debito residuo, pari ad euro 1.650,00.
3. Spese di lite.
In punto di statuizione sulle spese di lite, va evidenziato che il creditore opposto, che veda conclusivamente riconosciuto il proprio credito, se legittimamente subisce la revoca integrale del decreto ingiuntivo per effetto di un accoglimento parziale, non può tuttavia qualificarsi soccombente (cfr. Cass., sez. III, 23/01/2018, n.1572).
È dunque soccombente, per il debito residuo rispetto alla pretesa creditoria di M., la parte opponente, la quale va condannata a rimborsare a parte opposta le spese sostenute in questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
La liquidazione di tali spese viene effettuata come in dispositivo sulla base dei parametri introdotti dal D.M. Giustizia 55 e succ. mod., avuto riguardo al valore della controversia e all’attività processuale svolta.
Va inoltre mantenuta ferma la condanna dell’ingiunto – poi opponente – al pagamento delle spese (già liquidate) della fase monitoria.
P.Q.M.
Il Tribunale di Termini Imerese, in persona del Giudice dott.ssa F. I., definitivamente pronunciando, disattesa ogni diversa domanda, eccezione e difesa, così provvede:
1) In parziale accoglimento dell’opposizione proposta da A. A. M., revoca il decreto ingiuntivo n. 921/2018 emesso dal Tribunale di Termini Imerese;
2) condanna la A. A. M. a pagare a M. M. L. la somma di euro 1.650,00, oltre agli interessi legali decorrenti dalla domanda sino al soddisfo;
3) condanna l’opponente al pagamento delle spese di lite sostenute da parte opposta, che liquida in € 1.700,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie in misura pari al
15% del compenso, I.V.A. e C.P.A. nella misura legalmente dovuta;
4) lascia a carico dell’ingiunto, poi opponente, le spese del procedimento monitorio.