La messa in onda di vecchie puntate del programma TV non comporta infatti la ripresa d'uso del marchio.
Il Tribunale di Torino accertava il mancato uso effettivo dei marchi in contestazione dichiarando la decadenza per non uso dei medesimi. La vicenda si incentra nello specifico sulla sub-licenza di un format televisivo di cui era licenziante una società britannica (attuale ricorrente). La telediffusione del format in questione era stata interrotta sulle...
Svolgimento del processo
1.¿ La società di diritto inglese I. S.G. D. Ltd. ha convenuto in giudizio R. s.p.a.; ha domandato accertarsi il mancato uso effettivo, dal 27 gennaio 2008, dei marchi «P.», nella titolarità della convenuta, per tutti i prodotti e servizi per cui gli stessi erano stati registrati e, per l’effetto, la declaratoria di decadenza per non uso dei suddetti marchi, a norma dell’art. 24 c.p.i..
Come spiegato dall’odierna ricorrente, la vicenda dedotta in causa è incentrata sulla sub-licenza, in capo a R., del format di un programma televisivo («A. Game», andato in onda per la prima volta nel Regno Unito nel 1996), denominato in Italia «P.», di cui era licenziante la britannica I.. La telediffusione del programma su (omissis) è stata interrotta nel 2005, dal momento che il rapporto di licenza tra la titolare dei diritti I. e la licenziataria sub-licenziante E. M. non era stato rinnovato; in seguito, tra il 16 dicembre 2007 e il 27 gennaio 2008, era stata messa in onda un’edizione speciale del programma in sette puntate. Con la cessazione della produzione dello show R. aveva cessato di utilizzare i marchi italiani registrati basati sul segno «P.». Il 20 maggio 2009 I. aveva così depositato la domanda di marchio denominativo comunitario «P.», per servizi attinenti al settore televisivo e dell’intrattenimento. Successivamente, a fine 2013, R. aveva ripreso l’utilizzo del marchio, mandando in onda alcune repliche del programma.
R. si è costituita in giudizio resistendo alle domande attrici.
Il Tribunale di Torino ha accertato il mancato uso effettivo, dal 27 gennaio 2008, dei marchi in contestazione, limitatamente alle classi di registrazione nn. 9, 16, 18, 35, 39 e 42 e dichiarato la decadenza per non uso dei medesimi.
2.¿ Ha proposto appello I.. In esito al giudizio di gravame, in cui si è costituita R., l’impugnazione è stata respinta dalla Corte di appello di Torino.
Il Giudice distrettuale ha ritenuto, in sintesi, che vi fosse stata una ripresa d’uso del marchio «P.» ad opera di R., la quale aveva mandato in onda su M. E. le repliche del programma contraddistinto dal segno in questione; la Corte ha conferito rilievo al dato della trasmissione in chiaro del prodotto televisivo sull’intero territorio nazionale nel periodo compreso tra dicembre 2013 e il primo semestre del 2014 evidenziando come non fosse necessario che l’iniziativa si fosse tradotta in un successo sul piano degli ascolti; ha inoltre evidenziato essere non concludente il rilievo per cui M. E. risultava essere un canale secondario di R.: contava, infatti, che la trasmissione avesse avuto luogo su di un canale a diffusione nazionale e che il marchio fosse stato utilizzato numerose volte nel corso della programmazione. La Corte di merito ha poi rilevato che la riabilitazione di cui all’art. 24, comma 3, c.p.i. non poteva essere stata impedita da un diritto acquistato sul segno da parte di I., visto che l’appellante aveva fatto valere un marchio dell’Unione Europea: in conseguenza, la domanda di registrazione del marchio di ITV risultava essere priva di rilievo, dal momento che il diritto conferito dal marchio dell’Unione Europea era opponibile ai terzi solo a partire dalla data della pubblicazione della registrazione del segno.
3.¿ Avverso la sentenza della Corte di Torino I. ha proposto un ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso R.. Sono state depositate memorie.
Motivi della decisione
1.¿ Il primo motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 c.p.i. in merito alla ritenuta identificazione di una ripresa d’uso effettivo dei marchi di R. nelle repliche dello show «P.», oltre che la nullità della sentenza di appello per violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.. Si censura la pronuncia impugnata per avere la Corte distrettuale ritenuto che la diffusione di alcune repliche dello spettacolo televisivo «P.», asseritamente andate in onda tra dicembre 2013 e «il primo semestre del 2014» sul canale M. E., integrasse una ripresa d’uso effettivo dei marchi nella titolarità di R..
Col secondo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 9, 11, 17, 37 e 52 del reg. (UE) 2017/1001, degli artt. 9, 14, 32 e 46 reg. (CE) n. 207/2009 e degli artt. 15 e 24 c.p.i., in merito alla rilevanza ostativa del deposito del marchio europeo «P.», nella titolarità della ricorrente rispetto alla riabilitazione dalla decadenza per non uso dei marchi di R.. La doglianza investe la decisione della Corte di appello laddove ha escluso che il deposito, in data 20 maggio 2009, della domanda del marchio dell’Unione Europea, da parte di I., potesse avere un effetto ostativo, a norma dell’art. 24, comma 3, c.p.i., rispetto alla riabilitazione dei marchi «P.» di I..
2.¿ Il primo motivo di censura appare fondato.
2.1.¿ In appello si era discusso: dei dati di ascolto della trasmissione (che la Corte distrettuale ha poi affermato non essere decisivi ai fini della valutazione di una ripresa effettiva dell’uso del marchio, osservando, a tal proposito, che l’audience incide sul successo commerciale del programma, non potendosi escludere che la riabilitazione del segno si coniughi con ascolti bassi); del valore da attribuire alla messa in onda di semplici repliche di una trasmissione telediffusa nel passato (se, cioè, tale messa in onda potesse tradursi in un uso del marchio); del rilievo che poteva assumere, ai fini della riabilitazione, una messa in onda attuatasi tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014, posto che, ad avviso dell’appellante, tale attività avrebbe implicato al più un uso irrisorio, sporadico e simbolico dei marchi in contestazione, i quali non sarebbero stati quindi diretti ad acquisire nuove quote di mercato (sentenza impugnata, pagg. 6 s.).
L’unica, tra tali questioni, che sia migrata in sede di legittimità è la terza.
Su di essa la Corte di appello ha richiamato il principio, enunciato dal Tribunale, per cui non si possono predefinire le soglie quantitative minime di uso del segno, e ha poi argomentato come sopra ricordato sulle modalità della diffusione televisiva, rilevando che l’uso effettivo riabilitante derivava dal fatto che lo sfruttamento del marchio «P.» era avvenuto con una trasmissione in chiaro, su di un canale nazionale e per «numerose volte».
La pronuncia, sul punto, appare però carente, secondo quanto ci si accinge a spiegare.
2.2.¿ L’art. 24, comma 3, c.p.i. prevede che, salvo il caso di diritti acquistati sul marchio da terzi con il deposito o con l'uso, la decadenza non può essere fatta valere qualora tra la scadenza del quinquennio di non uso e la proposizione della domanda o dell'eccezione di decadenza sia iniziato o ripreso l'«uso effettivo» del marchio.
Come insegna la Corte di giustizia a proposito della decadenza del marchio per non uso, nel verificare l'«uso effettivo» del marchio (di cui all’art. 10.1 dir. 89/104/CEE) occorre prendere in considerazione tutti i fatti e le circostanze che possono provare la realtà del suo sfruttamento commerciale, segnatamente gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o trovare quote di mercato per le merci ovvero i servizi contrassegnati dal marchio, la natura di tali merci o servizi, le caratteristiche del mercato, l'ampiezza e la frequenza dell'uso del marchio (Corte giust. 11 marzo 2003, Ansul, C-40/01, par. 43). Devono così ritenersi esclusi gli usi simbolici, che sono tesi soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio (Corte giust. C-40/01 cit., par. cit.; più di recente Corte giust. 8 giugno 2017, Gözze, C-689/15, par. 37, ove i richiami, oltre che alla pronuncia appena indicata, a Corte giust. 13 settembre 2007, Il Ponte Finanziaria/UAMI, C-234/06 P, par. 72, e a Corte giust. 19 dicembre 2012, Leno Merken, C-149/11, par. 29).
Proprio in quanto l’«uso effettivo» del marchio è quello diretto a mantenere o trovare quote di mercato, è evidente, poi, che non può rilevare, in sé, la circostanza per cui lo sfruttamento del segno abbinato a un programma televisivo si attui attraverso una emittente che trasmetta in chiaro sull’intero territorio nazionale: se così fosse, ogni marchio associato a una trasmissione televisiva della detta emittente sarebbe insuscettibile di decadenza e, al contempo, passibile di riabilitazione, in presenza di una messa in onda, a prescindere dalle singole circostanze che riguardano quest’ultima, quali la frequenza e la durata. Occorre invece sempre correlare la messa in onda al mercato televisivo, per verificare se la trasmissione che veicola il marchio abbia effettiva incidenza sul detto mercato, così da potersi escludere che, relativamente ad esso, sia da considerare simbolica. Che il programma sia diffuso da emittente il cui segnale raggiunga ogni potenziale utente del mercato televisivo non è quindi in sé decisivo.
2.3.¿ Deve aggiungersi che la sentenza della Corte di Torino prospetta anche un vizio motivazionale quanto al profilo fattuale. Esso si annida nella genericità del dato relativo al numero delle trasmissioni del programma «P.» e, al contempo, nell’assenza di indicazioni quanto alle fonti da cui sarebbe stato ricavato il dato (appunto generico) delle «numerose» puntate trasmesse: puntate che, come in precedenza accennato, la ricorrente deduce concentrate nel ristretto periodo tra dicembre 2013 e l’inizio del 2014 (non tra dicembre 2014 e il primo semestre del 2014, come affermato dal Tribunale).
Occorre considerare che il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza ricorre proprio quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un'approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 5 agosto 2019, n. 20921; Cass. 7 arile 2017, n. 9105; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. 27 gennaio 2006, n. 1756).
E’ vero, poi, che, come affermato da questa Corte, a fronte di una sentenza che manchi di indicare le fonti probatorie di un determinato accertamento, il ricorrente per cassazione non può limitarsi a lamentare il vizio di omessa motivazione ¿ giacché altrimenti la censura postulerebbe la caducazione della decisione non per una concreta lesione sofferta dalla parte stessa, bensì solo per ragioni formali ¿, ma ha l'onere di denunciare in maniera specifica che, contrariamente a quanto asserito dal giudice, nell'ambito degli elementi probatori non ne esistono di idonei a giustificare il convincimento espresso (Cass. 10 giugno 2004, n. 11058; Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593). Nella presente fattispecie, tuttavia, l’evenienza da ultimo indicata trova riscontro, poiché nel ricorso di I. si afferma esplicitamente l’inesistenza di elementi probatori quanto alla messa in onda del programma di cui si dibatte (pagg. 17 s. dell’atto).
3.¿ Il secondo motivo resta assorbito.
4.¿ La sentenza è allora cassata, con rinvio della causa alla Corte di Torino che statuirà in diversa composizione e che deciderà pure in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
La detta Corte dovrà conformarsi al seguente principio di diritto:
«Posto che la ripresa dell’uso del marchio, ai fini della riabilitazione dello stesso ex art. 24, comma 3, c.p.i., deve consistere in un’attività che ha ad oggetto un uso effettivo del segno, lo sfruttamento riabilitante del marchio che distingue uno spettacolo televisivo, e che sia correlato alla visione dello stesso, non discende dal fatto che tale spettacolo sia trasmesso in chiaro sull’intero territorio nazionale, quanto dal fatto che la programmazione, in base all’accertamento del giudice del merito, da condurre col necessario rigore, avendo anche riguardo alla frequenza e alla durata della messa in onda dello spettacolo in questione, sia tale da escludere che quell’uso, con riguardo al mercato televisivo, si debba considerare simbolico».
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Torino, che deciderà in diversa composizione.