Svolgimento del processo
1. Con sentenza 30 agosto 2021 n. 1419 la Corte d’appello di Palermo ha dichiarato inammissibile per aspecificità, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., l’appello proposto da G.F. e M.C. avverso la sentenza 17.4.2019 n. 2015 con cui il Tribunale di Palermo aveva rigettato l’opposizione a precetto proposta dai suddetti nei confronti di A.M.F..
2. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da G.F. e M.C..
A.M.F. ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. E’ impossibile, prima ancora che superfluo, dar conto dei motivi di ricorso, in quanto quest’ultimo contiene una esposizione insuperabilmente confusionaria ed inintelligibile dei fatti di causa.
1.1. Il ricorso, in particolare, è privo dell’esposizione dei fatti salienti del giudizio (imposta a pena di inammissibilità dall’art. 366 n. 3 c.p.c.); di una chiara esposizione del contenuto della sentenza impugnata; e di qualsiasi ragionata censura avverso quest’ultima.
1.2. Il ricorso, in secondo luogo, pur impugnando una sentenza che aveva ritenuto inammissibile ex art. 342 c.p.c. l’appello, in violazione del precetto di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c., non trascrive né riassume il contenuto dell’atto d’appello ritenuto inammissibile dalla sentenza impugnata.
1.3. Il ricorso in terzo luogo:
a) tace circostanze rilevanti, quali le ragioni poste a fondamento della citazione e quelle poste a fondamento dell’appello;
b) contiene riferimenti a fatti o circostanze introdotti nella narrazione, ma inesplicati:
c) contiene riferimenti ridondanti a fatti e circostanze del tutto irrilevanti ai fini del decidere.
1.4. Un ricorso così concepito è incoerente nei contenuti ed oscuro nella forma: e coerenza di contenuti e chiarezza di forma costituiscono l’imprescindibile presupposto perché un ricorso possa essere esaminato e deciso, come ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 25892 del 23.9.2021; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6546 del 10.3.2021; Sez. 3, Ordinanza n. 24697 del 5.11.2020; Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 9996 del 28.5.2020; Sez. 5 - , Sentenza n. 8425 del 30/04/2020).
E ciò non solo per il nostro ordinamento, ma in tutte le legislazioni degli ordinamenti economicamente avanzati: basterà ricordare a tal riguardo excerpta multorum, l’art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo (d. lgs. 2.7.2010 n. 104), il quale impone alle parti di redigere gli atti “in maniera chiara e sintetica”; il § 14, lettera “A”, della Guida per gli avvocati” approvata dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, ove si prescrive che il ricorso dinanzi ad essa debba essere redatto in modo tale che “una semplice lettura deve consentire alla Corte di cogliere i punti essenziali di fatto e di diritto”; o la Rule 8, lettera (a), n. 2, delle Federal Rules of civil Procedures statunitensi, la quale impone al ricorrente “una breve e semplice esposizione della domanda” (regola applicata così rigorosamente, in quell’ordinamento, che nel caso Stanard v. Nygren, 19.9.2011, n. 09-1487, la Corte d’appello del VIII Circuito U.S.A. ritenne inammissibile per lack of punctuation un ricorso nel quale almeno 23 frasi contenevano 100 o più parole, ritenuto “troppo confuso per stabilire i fatti allegati” dal ricorrente).
1.5. Il ricorso risulta, alla luce di quanto sopra evidenziato, manifestamente inammissibile.
2. La abissale distanza tra il contenuto del ricorso e il contenuto che sarebbe lecito attendersi da un atto di impugnazione impone la condanna dei ricorrenti in solido per avere agito quanto meno con colpa grave, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c..
Il ricorso infatti, per quanto detto, non rispetta le più elementari regole di forma e di contenuto prescritte dal codice di rito ed è, come già evidenziato, manifestamente inammissibile per le plurime ragioni sin qui esposte, sicché deve ritenersi che la sua proposizione costituisca un evidente abuso dello strumento processuale da parte del ricorrente, dovendosi certamente reputare in una siffatta ipotesi percepibile dal legale abilitato all’esercizio presso le giurisdizioni superiori (professionista del cui operato la parte risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c.: cfr. Cass., Sez. 3, sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv.642925- 01), sulla base della diligenza cui è tenuto per la prestazione altamente professionale che fornisce, la circostanza di perorare tesi infondate o, comunque, di avanzare una impugnazione di legittimità non suscettibile di accoglimento.
I ricorrenti vanno dunque condannati d’ufficio al pagamento in favore della parte controricorrente, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata in base al valore della controversia.
Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di euro 3.600, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.
3. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza,
ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna G.F. e M.C., in solido, alla rifusione in favore di A.M.F. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 3.600, oltre 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) condanna G.F. e M.C., in solido, al pagamento in favore di A.M.F. ex art. 96, comma terzo, c.p.c., della somma di euro 3.600, oltre interessi come in motivazione;
(-) ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.