La natura impugnatoria del giudizio tributario determina, a seguito della mancata tempestiva riassunzione del giudizio di rinvio, la definitività del provvedimento amministrativo-fiscale impugnato.
L'Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento ai fini della rettifica del maggior reddito ILOR e IRPEF nei confronti del coniuge dell'odierna ricorrente, la quale si era costituita nel giudizio di impugnazione dell'atto (a suo dire) ad adiuvandum.
Il ricorso veniva accolto, ma la Suprema Corte cassava la decisione con rinvio. Tuttavia, il giudizio non...
Svolgimento del processo
1.L’Agenzia procedeva alla notifica di avviso di accertamento per la rettifica del maggior reddito ILOR e IRPEF, anno 1995, nei confronti di F. P.. L’odierna ricorrente si costituiva nel giudizio d’impugnazione di tale atto, a suo dire, ad adiuvandum. Il ricorso, in parte in primo grado e per la residua parte in appello, veniva accolto, mentre questa Corte cassava la sentenza con rinvio. Il giudizio di rinvio non veniva tuttavia riassunto, e l’Agenzia procedeva all’iscrizione a ruolo di tutte le imposte oggetto dell’avviso di accertamento originario, incluse quelle non oggetto di impugnazione in quanto già escluse dal giudice di primo grado. L’iscrizione era effettuata questa volta anche nei confronti dell’odierna ricorrente. La T., quindi, impugnava il ruolo e la CTP dichiarava in parte la cessazione della materia del contendere, e nel resto respingeva il ricorso. La CTR respingeva l’appello interposto dalla stessa contribuente.
2.Quest’ultima propone ricorso in cassazione affidato a quattordici motivi. L’Agenzia resiste a mezzo di controricorso. La ricorrente ha poi depositato memoria illustrativa e formulato istanza di discussione in pubblica udienza.
Motivi della decisione
1.Pregiudizialmente dev’essere disattesa l’istanza di discussione in pubblica udienza, poiché la soluzione delle questioni oggetto del presente processo risulta oggetto di consolidati principi nella giurisprudenza di questa Corte.
2.Con il primo motivo la contribuente assume violazione o falsa applicazione degli artt. 100, cod. proc. civ. e 19, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.; in subordine in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Afferma la ricorrente che avrebbe errato la CTR nel considerare non proponibile la questione inerente alla sua responsabilità solidale, sorgendo infatti quest’ultima dall’iscrizione a ruolo e in ogni caso permanendo il suo interesse a far valere la non genuinità della propria sottoscrizione rispetto alla dichiarazione dei redditi.
2.1.Il motivo è inammissibile, sia in quanto perplesso, poiché le stesse ragioni sarebbero per la ricorrente alternativamente (seppur in via subordinata) inquadrabili come vizio (non si comprende quale) della sentenza che come violazione di legge; sia in quanto si basa sulla questione della natura solidale o meno dell’obbligazione, nonché della riferibilità a sé della dichiarazione.
Orbene tanto le questioni inerenti alla dichiarazione - che sia come atto da cui scaturisce la corresponsabilità della co-dichiarante odierna ricorrente, sia come elemento che inerisce strettamente alla relativa incompletezza e infedeltà, è posta alla base dell’accertamento – quanto quella collegata della responsabilità solidale, non possono che riguardare il merito della pretesa fiscale, che è oggetto dell’avviso di accertamento.
A tale proposito deve rilevarsi come quest’ultimo fosse stato oggetto del giudizio precedente, conclusosi con l’ordinanza di rinvio della cassazione cui non fece seguito la riassunzione, per cui esso, a seguito della conseguente estinzione del giudizio, è divenuto definitivo.
Invero come noto, in base al disposto di cui all’art. 393, cod. proc. civ., l’estinzione del giudizio di rinvio determina l’estinzione dell’intero giudizio, pur rimanendo la sentenza di cassazione – cioè il principio di diritto ed i fatti accertati che ne costituiscono il sostrato - vincolante per il giudice davanti al quale l’azione venga riproposta.
La particolarità del giudizio tributario, che ha natura impugnatoria, è peraltro costituita dalla definitività che, verificatosi l’effetto estintivo dell’intero giudizio, assume appunto il provvedimento amministrativo fiscale impugnato, in questo caso appunto l’avviso di accertamento.
Tale principio risponde ad un costante indirizzo di questa Corte, secondo cui “l'estinzione del processo tributario, relativamente al giudizio di rinvio, comporta la definitività dell’accertamento che ne costituisce l’oggetto” (tra le tante, v. Cass. 3040/2008; Cass. 5011/2012).
Al riguardo, va infatti considerato che, come evidenziato nelle su richiamate statuizioni, la pronuncia di estinzione del giudizio comporta, ex art. 393 c.p.c., il venir meno dell'intero processo e, in forza dei principi in materia di impugnazione dell'atto tributario, la definitività dell'avviso di accertamento e l’accoglimento integrale delle ragioni erariali (così da rendere vana l'efficacia del principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione)” (Cass. 26/11/2016, n. 23922, ex plurimis), né dunque si produce l’effetto di giudicato (implicito) sugli accertamenti di fatto sottesi allo stesso.
Va dunque in proposito affermato il seguente principio
Stabiliti tali principi deve osservarsi come nella specie la sentenza di questa Corte 12/03/2008, n. 6485, intervenuta fra le parti, ha statuito la cassazione con rinvio della sentenza che aveva accolto l’appello della ricorrente (e del coniuge) in ordine all’impugnazione dell’avviso di accertamento da cui scaturì il ruolo oggetto della presente controversia.
Il giudizio di rinvio non essendo stato – per libera scelta della parte - riassunto tempestivamente, a mente dell’art. 393, cod. proc. civ., l’intero giudizio si è estinto, e così l’avviso diveniva definitivo.
Né l’odierna ricorrente può sostenere di non essere vincolata da quella pronuncia, perché non solo era destinataria dell’avviso, come si legge dallo stesso, ma altresì essa era parte del giudizio di impugnazione, e non certo come mera interveniente ad adiuvandum.
Invero dall’epigrafe della sentenza di primo grado di quel giudizio si ricava che anch’essa impugnò l’avviso, e l’impugnazione stessa avvenne in via principale, tanto che la stessa, come dà atto anche la sentenza di rinvio n. 6485 del 12 marzo 2008, ivi fece valere la questione della pretesa non genuinità della propria sottoscrizione alla dichiarazione dei redditi. D’altronde i due coniugi in quel giudizio erano altresì difesi dallo stesso legale, né risulta in alcuna guisa abbiano spiegato distinti ricorsi, anzi dalla narrazione della sentenza di primo grado risulta che il ricorso fosse appunto uno solo.
Adunque la già affermata definitività dell’accertamento riguarda entrambi i coniugi e ad entrambi, inclusa l’odierna ricorrente, risulta precluso formulare ormai questioni sull’originaria pretesa, resasi per quanto visto definitiva.
Quanto allo specifico motivo attinente alla responsabilità solidale, come detto contestata sotto il profilo dell’asserita falsità della sottoscrizione, è vero che sul punto la decisione di questa Corte già richiamata fu definita in rito con pronuncia di inammissibilità per difetto d’interesse, ritenendosi la stessa proponibile in sede di rinvio, statuizione quindi non attinente il rinvio e che espressamente esprimeva la possibilità di proposizione della questione in sede di rinvio.
Ma nella specie non si tratta di affermare l’effetto di giudicato (neppure nei termini precisati sopra, vista la natura della pronuncia sul punto) e neppure quindi della vincolatività del principio stesso, bensì solo di prendere atto che a seguito dell’estinzione il provvedimento impugnato è divenuto definitivo, con conseguente non riproponibilità dell’azione.
Rimane certo fermo l’accoglimento parziale da parte del giudice di primo grado, non però oggetto d’appello, rispetto al quale quindi più non si discute in questa sede, a seguito della dichiarata cessazione della materia del contendere per quelle somme, statuizione non oggetto di gravame.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la “inesistenza giuridica” della motivazione della sentenza di appello, per sua contraddittorietà.
3.1. Ciò che rimprovera la ricorrente alla sentenza pare essere una motivazione parvente perché irriducibilmente contraddittoria, ricavando ciò dal fatto che essa, a differenza di quanto ritenuto dai giudici d’appello, avrebbe denunciato la falsità della sottoscrizione, ed avrebbe ricevuto la notifica della cartella e del ruolo.
I passaggi motivazionali denunciati peraltro, recano una motivazione chiara e non irriducibilmente contraddittoria, condizione a cui è subordinata la denunciabilità del vizio motivazionale sotto tal profilo. In effetti i giudici d’appello hanno sul punto ritenuto l’inammissibilità del ricorso in quanto la contribuente non poteva più, divenuto definitivo l’accertamento una volta estinto il giudizio che lo impugnava (e di cui essa era pacificamente parte per quanto sopra chiarito), mettere in discussione la pretesa tributaria.
4. Con il terzo motivo la ricorrente censura la sentenza per assunto vizio di extra-petizione, avendo essa censurato la prima sentenza che giudicava un atto diverso da quello effettivamente impugnato. In altri termini l’errore sarebbe consistito nel qualificare come meramente formale l’indicazione come atto impugnato della cartella anziché, come sarebbe avvenuto, del solo ruolo.
4.1. Il motivo è infondato. La CTR ha ritenuto che il giudice di primo grado abbia affrontato le questioni poste nel ricorso introduttivo, poiché rileva come erroneo il mero riferimento alla cartella anziché al ruolo. Orbene, a tacer d’altro, è stato precisato e non risulta contestato dalla ricorrente, come la stessa abbia in primo grado presentato ricorso contro “il ruolo…nonché contro la relativa iscrizione…portati dalla cartella di pagamento n. (omissis)”.
5. Con il quarto motivo si denuncia la stessa questione sotto il profilo della violazione di legge.
La reiezione del precedente motivo determina l’assorbimento del presente, senza contare che la sua deduzione rende perplessa la formulazione di entrambi, per le stesse ragioni indicate al motivo primo.
6. Con il quinto motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo e, in subordine, violazione di legge ai sensi degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ.
La ricorrente deduce l’omesso esame della domanda e della documentazione prodotta a sostegno della ritenuta falsità della sottoscrizione della dichiarazione dei redditi anche da parte della stessa, questione che invece il primo giudice aveva affrontato ritenendola peraltro infondata in quanto da dedursi in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento.
6.1. In effetti la CTR ritiene non proposta in giudizio la questione di falsità della sottoscrizione della dichiarazione. Tuttavia, deve anche qui osservarsi che ogni questione relativa alla dichiarazione dei redditi – inclusa la sua riferibilità alla ricorrente, e dunque alla genuinità della relativa sottoscrizione - attiene al merito della pretesa, nel senso sopra precisato, essendo essa il presupposto dell’avviso di accertamento che venne emesso nei confronti di entrambi i coniugi P..
Sul punto allora non può che richiamarsi quanto già osservato in ordine alla definitività dell’avviso stesso.
Il motivo è quindi inammissibile.
7. Con il sesto motivo si deduce omessa pronuncia sulla domanda di accertamento dell’assenza di solidarietà del coniuge per importi non compresi nella dichiarazione.
7.1. Aldilà della copiosa giurisprudenza, anche costituzionale, che ha ritenuto la fondatezza della suddetta natura solidale oltre del debito risultante dalla dichiarazione (già espressamente avallata da Corte Cost. n. 184 del 1989), disattendendo le numerose questioni sollevate in relazione alla legittimità dell’art. 17, l. 13 aprile 1977, n. 114, proprio sotto i profili qui rilevati di assunta violazione degli artt. 3, 24 e 53, Cost. (C. Cost., ord. nn. 4 e 36 del 1998; 128 del 2000 e 216 del 2004, la quale ultima in particolare ha statuito che rientra nella discrezionalità del legislatore prevedere ipotesi di solidarietà tributaria, purché il coobbligato non sia estraneo alla posizione del debitore principale ed al coniuge sia dato di contestare nel merito l’obbligazione, come nella specie concretamente accaduto), in quanto frutto - come nel caso in esame – di comportamenti anche fraudolenti (per la giurisprudenza di questa Corte sul punto della responsabilità del coobbligato in termini, da ultimo Cass. 14 aprile 2020, n. 7803; 31 agosto 2022 n. 25677), l’infondatezza del motivo quinto assorbe anche il presente, che infatti sempre presuppone l’attualità della questione inerente alla natura solidale del debito portato nell’avviso di accertamento, invece ormai definitivo.
8. Con il settimo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 53, Cost., 117, l. 114/1977, in via subordinata rispetto al precedente, nella parte in cui la sentenza d’appello ha comunque finito per ritenere la responsabilità solidale del coniuge anche aldilà di quanto risulti dalla dichiarazione.
8.1. Anche questo motivo è assorbito da quanto osservato in precedenza circa la definitività dell’avviso di accertamento.
9. Con l’ottavo motivo si denuncia omessa pronuncia sulla dedotta violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3, Cost.
9.1. Il motivo è inammissibile.
Infatti, non è ammissibile la diretta deduzione di violazione di norme costituzionali in sede di ricorso in cassazione, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell'applicazione di una norma di legge, deve essere sottoposto allo scrutinio di questa Corte mediante l'eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata (cfr. ex plurimis Cass. 12/11/2020, n. 25573).
In ogni caso il motivo riprende le stesse doglianze proposte con i due ultimi motivi precedenti, e sotto tal profilo ne condivide la sorte.
10. Con il nono motivo si denuncia violazione degli artt. 3, Cost. e 17, l. 114/1977, in quanto il giudice d’appello avrebbe finito per confermare un debito fiscale di oltre 2,7 milioni di euro a fronte di un lucro minimo, ed avrebbe poi equiparato la solidarietà dipendente con quella paritetica. La decisione poi violerebbe altresì il principio d’uguaglianza, dal momento che la pretesa dell’amministrazione, confermata dal giudice di merito, confliggerebbe con il diverso trattamento di situazioni analoghe, come quelle dell’impresa famigliare, laddove il famigliare non imprenditore non è responsabile in solido.
10.1. Anche questo motivo rimette in discussione la debenza della somma, invece definitivamente accertata per quanto già osservato.
Il motivo è dunque inammissibile
11. Col decimo motivo si denuncia omessa pronuncia sul principio di proporzionalità, dedotto in primo e secondo grado.
11.1 Anche l’esame di tale motivo da parte del giudice d’appello presupponeva che la questione della obbligazione tributaria in capo alla contribuente fosse ancora in discussione, laddove s’è già chiarito che invece la stessa era da considerarsi ormai inoppugnabile.
Poiché l’avviso di accertamento, come ben si legge dallo stesso, ricomprende anche le sanzioni, la questione relativa al principio di proporzionalità della sanzione per il co-dichiarante, alla luce della rilettura dell’art. 7, comma 4, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, in base alla sentenza n. 46 del 2023 della Corte Cost., in tema di ragionevolezza e proporzionalità delle sanzioni in relazione alla condotta dell’agente, è travolta anch’essa dalla definitività dell’avviso. Il rapporto, anche sotto tale profilo, è dunque esaurito.
12. Con l’undicecimo motivo si deduce la violazione del principio di proporzionalità (art. 1 l. n. 240/1991) e con l’art. 17 l. 114/1977.
12.1. Anche tale motivo ripone in discussione l’obbligazione tributaria ormai accertata, ed è dunque inammissibile per quanto già precisato sul punto.
13. Con il duodecimo motivo si denuncia violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., o in subordine falsa applicazione degli artt. 2 e 11, d.lgs. n. 472/1997, dovendosi ritenere insussistente la responsabilità solidale del coniuge per le sanzioni.
13.1 Il motivo è anzitutto perplesso per quanto già chiarito a proposito del motivo primo.
In ogni caso anche con esso si deduce una questione attinente al merito il cui esame è da ritenersi precluso per quanto già osservato nei motivi precedenti.
14. Con il motivo decimoterzo si denuncia violazione dell’art. 14, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, in quanto l’iscrizione definitiva a ruolo sarebbe avvenuta senza l’accertamento definitivo a carico della ricorrente, e ciò in quanto l’avviso di accertamento non venne mai notificato alla ricorrente stessa.
14.1. Sul punto deve osservarsi che se è vero che l’omessa o inesistente notifica non sono sanabili, ciò va detto con riguardo alla persistente possibilità del contribuente, nonostante il decorso dei termini, di impugnare l’atto. Ma tale principio non può ovviamente essere interpretato nel senso che in caso di omessa notifica, l’avvenuta (ciononostante) impugnazione sia senza effetto, e consenta di riproporre l’impugnazione in qualsiasi momento, come nella specie a mezzo di quella di atti successivi e conseguenti alla definitività dell’atto a suo tempo impugnato, riproponendo il merito della questione.
Al contrario, la piena conoscenza avuta dalla contribuente dell’atto, che le ha consentito di impugnare, come ha regolarmente fatto, anche nel merito, lo stesso, in qualità poi di ricorrente principale che dedusse anche questioni relative alla propria posizione personale, come sopra precisato, determina al pari della notifica l’effetto preclusivo circa la riproposizione delle questioni attinenti il merito della pretesa fiscale, una volta che il giudizio impugnatorio siasi estinto e dunque, per quanto più volte chiarito, l’avviso stesso sia divenuto definitivo anche nei confronti di siffatto contribuente.
Tramite siffatta impugnazione si è dunque pienamente attuato il precetto di consentire anche al coniuge coobbligato la facoltà di contestare l’obbligazione, instaurandosi un processo che lo stesso, per sua libera scelta, ha lasciato estinguere con il conseguente consolidarsi degli effetti del provvedimento impugnato anche nei suoi confronti.
Ne consegue che l’impugnazione della cartella da parte del coniuge in caso di notifica dell’avviso al solo debitore principale- altro coniuge (cfr. Cass. 18/11/2015, n. 23553), è predicabile solo nell’ipotesi in cui il coobbligato non abbia partecipato al giudizio impugnatorio promosso dal primo, cosa accaduta nella specie, come visto, in veste di ricorrente.
Con tale impugnazione, infatti, risulta pienamente salvaguardato il principio di diritto alla difesa predicato in favore del coniuge o dichiarante, in caso di notifica dell’avviso al solo altro coniuge, come declinato dalla pronuncia Corte Cost. n. 184 del 1989, che appunto si preoccupa di consentire al coniuge rimasto estraneo al giudizio impugnatorio e che non abbia ricevuto la notifica dell’avviso, di potersi difendere (tanto che la richiamata sent. di questa Corte, Cass. 23553/2015, ha osservato che l’impugnazione della cartella da parte del coniuge dipende dalla non opponibilità del giudicato formatosi nei confronti dell’obbligato principale rimasto inerte al coniuge, ai sensi dell’art. 1306 cod. civ.).
Il motivo è dunque inammissibile.
15. Con il motivo decimoquarto si denuncia violazione dell’art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537/1993, in base al quale secondo la ricorrente le spese per l’acquisto di beni e servizi acquistati per il non compimento di attività delittuose sono deducibili.
15.1. L’inammissibilità del motivo che precede determina l’assorbimento del presente, pur attinente allo ius superveniens (d.l. n. 16/2012, portante l’indeducibilità di spese per acquisto di beni e servizi utilizzati per il compimento di atti delittuosi, pertanto la portata della deducibilità in caso di operazioni soggettivamente inesistenti ma oggettivamente poste in essere), in quanto il rapporto risulta – per quanto osservato - esaurito.
16. In definitiva il ricorso merita reiezione, da cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l'obbligo della ricorrente di versare, ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in € 10.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza, nei confronti della ricorrente, dei presupposti processuali per dichiarare l'obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.