La Cassazione richiama i principi in materia di disabilità e di accomodamento ragionevole per poi ritenere che la Cooperativa ha violato l'obbligo di verificare la possibilità di porre in essere adattamenti organizzativi ragionevoli finalizzati a trovare una sistemazione adeguata alle condizioni di salute della OSS.
La Corte d'Appello di Genova riformava in sede di reclamo la sentenza con la quale il Tribunale aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla Cooperativa sociale nei confronti della lavoratrice per sopravvenuta inidoneità fisica parziale allo svolgimento delle mansioni di OSS incompatibili con mansioni residuali. Una volta accertata tramite CTU l'esatta inabilità della lavoratrice, la Corte territoriale aveva ritenuto che la Cooperativa avesse violato l'obbligo di verificare la possibilità di effettuare adattamenti organizzativi ragionevoli volti a trovare una sistemazione adeguata alle condizioni di salute della lavoratrice, adattamenti che secondo la Corte erano possibili visto il tipo di organizzazione adottato dalla società.
Per questo, i Giudici applicavano la tutela reintegratoria e condannavano la Cooperativa al risarcimento del danno.
La Cooperativa impugna la decisione mediante ricorso per cassazione, lamentando la violazione del principio della domanda e del contraddittorio.
Con l'ordinanza n. 15002 del 29 maggio 2023, la Suprema Corte rigetta il ricorso, evidenziando che il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre allorché il giudice del merito alteri gli elementi obiettivi dell'azione interferendo nel potere dispositivo delle parti e sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emettendo un provvedimento diverso rispetto a quello richiesto.
In tal senso la Corte d'Appello, in sede di accertamento dell'obbligo di repêchage, aveva correttamente ritenuto funzionale ad esso l'esatta determinazione delle capacità residue per valutare la fondatezza della domanda.
Del resto, non può assumersi la violazione nemmeno del criterio di riparto degli oneri probatori, considerando che in caso di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore e in presenza dei presupposti di cui all'
Segue il rigetto del ricorso proposto dalla Cooperativa.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 491 del 21.10.2019 la Corte d'appello di Genova, in sede di reclamo ex art. 1, comma 58 della legge n. 92 del 2012 e in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato il 10.2.2016 dalla K. C. Cooperativa sociale a F. M. per sopravvenuta parziale inidoneità fisica allo svolgimento delle mansioni di operatrice socio sanitaria - OSS incompatibili con residuali mansioni, con applicazione della tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 7, della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012 e condanna al pagamento di un risarcimento del danno pari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
2. La Corte territoriale, accertata – tramite c.t.u. - l’esatta inabilità della lavoratrice (in modo da completare il giudizio di idoneità espresso, prima del licenziamento, dalla Commissione medica della A.S.L. nel 2015), ha ritenuto che la Cooperativa aveva violato l’obbligo di verificare la possibilità di effettuare adattamenti organizzativi ragionevoli onde trovarle una sistemazione adeguata alle condizioni di salute, adattamento possibile alla luce del tipo di organizzazione adottato dalla società.
3. La Cooperativa ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a un motivo. La lavoratrice ha depositato controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101, 112, 113 e 115 cod.proc.civ. nonché 2907 e 2697 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale (sulla base della perizia fornita dal c.t.u.), violato il principio della domanda e del contraddittorio sostituendo, alla valutazione di “idoneità con inibizione della stazione eretta prolungata e la movimentazione manuale di carichi e pazienti” (espressa dalla Commissione medica della A.s.l. nel 2015 e mai contestata dalla lavoratrice) un altro giudizio sulla capacità residuali della lavoratrice, nel senso di individuare le mansioni “con esclusione della movimentazione manuale di pazienti e del sollevamento di carichi superiori ai 10 kg, con la precauzione di evitare il mantenimento prolungato della stazione eretta e di alternarlo ragionevolmente con posizione seduta”, con ciò privando anche la società di articolare difese sul punto.
2. Il ricorso non è fondato.
3. In disparte i pur decisivi profili di difetto di specificità, mancando del tutto la trascrizione quantomeno delle parti rilevanti del ricorso introduttivo del giudizio di cui si offre una specifica e restrittiva lettura (nonché del ricorso in appello della lavoratrice, al fine di apprezzarne l’effetto devolutivo e della sentenza di primo grado), la Corte territoriale ha proceduto ad accertare una componente fattuale del fondamento della domanda che era stata tempestivamente introdotta dalla lavoratrice, che risultava in parte generica e contraddittoria ed era strettamente funzionale al richiesto accertamento dell’osservanza dell’obbligo datoriale di adottare ragionevoli accomodamenti necessari al fine di scongiurare il licenziamento del prestatore di lavoro.
4. La sentenza impugnata ha, invero, sottolineato che il giudizio espresso dalla A.S.L. nel 2015 (di cui al documento prodotto dalla stessa lavoratrice) era di idoneità alla mansione di OSS (e non di inidoneità) seppur con “limitazioni” relative allo stazionamento nella posizione eretta e alla movimentazione manuale di carichi e pazienti, e tale giudizio andava interpretato (con l’ausilio di un c.t.u. medico) posto che la conclusione di ritenere sussistente un divieto assoluto di restare in piedi e un divieto di spostare qualunque peso si poneva in contrasto con una valutazione della stessa A.S.L. che era pur sempre di idoneità alla specifica mansione (di OSS) svolta dalla lavoratrice (pagg. 4 e 5).
5. Il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell'azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) (Cass., n. 9002 del 2018; Cass. n. 8048 del 2019), fermo restando che egli è libero di individuare l'esatta natura dell'azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate: la Corte territoriale in sede di accertamento del rispetto dell’obbligo di repêchage da adottarsi in sede di licenziamento a carico di una lavoratrice con limitata idoneità alla mansione specifica di OSS ha, nell’ambito dei poteri istruttori d’ufficio, correttamente ritenuto funzionale a detto accertamento la esatta determinazione delle capacità residue (delineate in maniera approssimativa dal certificato della Commissione medica della ASL del 2015) al fine di valutare la fondatezza della domanda proposta dalla lavoratrice.
6. Né alcuna violazione del criterio di riparto degli oneri probatori può rinvenirsi nel caso di specie, avendo questa Corte più volte ribadito che nell'ipotesi di licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta del lavoratore e in presenza dei presupposti di applicabilità dell'art. 3, comma 3-bis, del d.lgs. n. 216 del 2003, il datore di lavoro ha l'onere di provare la sussistenza delle giustificazioni del recesso, ai sensi dell'art. 5 della legge n. 604 del 1966, dimostrando non solo il sopravvenuto stato di inidoneità del lavoratore e l'impossibilità di adibirlo a mansioni, eventualmente anche inferiori, compatibili con il suo stato di salute, ma anche l'impossibilità di adottare accomodamenti organizzativi ragionevoli, con la possibilità di assolvere tale ultimo onere mediante la deduzione del compimento di atti o operazioni strumentali all'avveramento dell'accomodamento ragionevole, che assumano il rango di fatti secondari presuntivi, idonei a indurre nel giudice il convincimento che il datore di lavoro abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata in grado di scongiurare il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto (cfr. da ultimo Cass. n. 6497 del 2021 e ivi ampi richiami di giurisprudenza).
7. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio di legittimità sono definite come in dispositivo, in applicazione dell’art. 91 cod.proc.civ.
8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato – se dovuto - previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la Cooperativa ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15 % e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.