Richiamando i principi emanati recentemente in materia di responsabilità della cosa in custodia, le Sezioni Unite accolgono il ricorso proposto dai genitori del minore che era caduto in bicicletta mentre stava percorrendo un marciapiede urtando contro dei paletti di delimitazione installati dal Comune.
Gli attuali ricorrenti sono i genitori del minore che aveva subito gravi lesioni personali a seguito di una caduta mentre stava percorrendo con la sua bicicletta il marciapiede che affiancava la strada statale, slittando per via dell'umidità presente sul suolo e andando ad urtare con la ruota anteriore contro uno dei paletti di delimitazione apposti dal...
Svolgimento del processo
avvalendosi di quattro motivi, R. A., C. B. e T. A. ricorrono per la cassazione della sentenza n. 103/2019 della Corte d'Appello di Salerno, depositata in data 15 luglio 2019;
resiste con controricorso il Comune di C. d. T.;
con atto di citazione del 25 luglio 2002, R.A. e C. B., nella qualità di genitori esercenti la responsabilità sul figlio minore T., convenivano, dinanzi al Tribunale di Salerno, il Comune di C. d.T., per sentirlo dichiarare responsabile del sinistro verificatosi l’8 dicembre 2000, sulla strada statale n. XX, ai danni del minore, il quale, percorrendo con la sua bicicletta il marciapiede slittava, a causa dell’umidità presente sul suolo, sbatteva con la ruota anteriore contro uno dei paletti di delimitazione e, sbalzato dal sellino, cadeva con l’addome sulla sommità acuminata di uno di tali paletti, installati in violazione dell’art. 180 comma 5 del Regolamento di attuazione del codice della strada, riportando gravi lesioni personali che rendevano necessario asportargli chirurgicamente la milza;
all’esito dell’attività istruttoria espletata, il Tribunale, con la sentenza n. 147/2013, ricondotta la fattispecie di responsabilità all’art. 2043 cod.civ., ritenendo che il minore avesse avuto la possibilità di evitare il pericolo osservando l’ordinario obbligo di prudenza e negando la presenza di alcuna insidia sul percorso dell’incidente, rigettava la domanda attorea e, ”data la delicatezza della materia”, compensava le spese di lite e di Ctu;
la Corte d'Appello di Salerno, con la sentenza qui impugnata, investita del gravame, in via principale, da R. A., da C. B. e da T. A., e, in via incidentale dal Comune di C. d.T., ha rigettato l’appello principale ed ha accolto quello incidentale, per l’effetto, ha riformato la decisione di prime cure nella parte in cui aveva disposto la compensazione delle spese di lite, ed ha condannato gli odierni ricorrenti al pagamento delle spese di lite del primo e del secondo grado;
in particolare, per quanto ancora di interesse, ha ritenuto che tanto ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., non essendo i paletti occulti, ma ben visibili, ed avendo l’undicenne utilizzato con la bicicletta un’area preclusa a tale mezzo, quanto ai sensi dell’art. 2051 cod.civ., per essere stata la condotta del minore tale da interrompere il nesso di derivazione causale, il comune di C. d. T. non potesse considerarsi responsabile dell’incidente per cui è causa; ha reputato che la compensazione delle spese del giudizio di primo grado fosse stata erroneamente giustificata adducendo la delicatezza della materia, la quale non rappresenta un concetto idoneo a configurare quelle gravi ed eccezionali ragioni che legittimano la compensazione delle spese processuali;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis-1 cod.proc.civ.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Motivi della decisione
1. con il primo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2697, 1227, 2° comma, cod.civ., degli artt. 112, 115 e 116 cod.proc.civ. nonché omesso esame di circo- stanze decisive acquisite nel processo in contraddittorio delle parti, in riferimento all’art 360, 1° comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ.;
oggetto di censura è la statuizione con cui la Corte d'Appello ha inquadrato la fattispecie nell’ambito dell’art. 2051 cod.civ., condividendo, tuttavia, la conclusione del Tribunale secondo cui il minore, avendo indebitamente percorso un tratto di strada ad esclusiva pertinenza pedonale in palese violazione della normativa riservata alle biciclette, avrebbe, con la sua condotta, eliso il nesso causale tra l’evento e la condotta esigibile dall’ente comunale;
1.1 secondo i ricorrenti, la Corte d'Appello avrebbe erroneamente valutato la condotta del minore, atteso che, sebbene corresse e guidasse la sua bicicletta sul marciapiede riservato ai pedoni, non aveva tenuto una comportamento “tanto grave ed imprevedibile da poter essere definito ‘abnorme’ e quindi, tale da interrompere il nesso di causalità tra l’evento dannoso occorsogli e il comporta- mento illecito della pubblica amministrazione”; inoltre, il comune di C. d.T. non avrebbe dimostrato, al fine di vincere la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 cod.civ., la sussistenza del caso fortuito; anzi, dall’istruttoria svolta in primo grado, sarebbe emerso che il Comune aveva violato il codice della strada, installando dissuasori non omologati e, come tali, vietati;
nella sostanza, i ricorrenti sostengono che il fatto che un bambino in bicicletta - sia pure non rispettando le norme del codice della strada - percorra un marciapiede scivoloso per l’umidità, delimitato da paletti dissuasori di sosta che terminano con una punta insidio- sa, scivoli, cada a causa di un non perfetto arresto delle ruote, sbatta sulla punta di uno dei letti dissuasori non costituisce evento abnorme;
1.2. con il secondo motivo, rubricato violazione falsa applicazione degli art. 2043, 2051, 2697, 1176 c.c., degli artt. 112, 115 e 116 cod.proc.civ. nonché omesso esame di circostanze decisive acquisite nel processo in contraddittorio con le parti, in riferimento all’art 360, 1° comma, nn. 3 e 5 cod.proc.civ., i ricorrenti denunciano che la Corte d'Appello sarebbe incorsa in una grave omissione di motivazione non avendo considerato che il tipo di dissuasore di sosta posto lungo la statale n. 18, sul marciapiede del ponte di S. F., oltre a non essere installato secondo quanto prescritto dall’art. 186, comma 6, del d.p.r. 495/92, era pericoloso sia per i pedoni che per i ciclisti/motociclisti a causa della sua sommità acuminata; in particolare, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto della CTU G., la quale aveva accertato che i dissuasori erano oggettivamente pericolosi e che sul Comune gravava l’obbligo di eliminare il pericolo da essi rappresentato;
tantomeno la Corte territoriale avrebbe valutato la evidente probabilità del fatto che, data la forma, chiunque visi fosse imbattuto, avesse urtato la parte superiore e acuminata di tali dissuasori, sarebbe rimasto infilzato;
1.3. con il terzo motivo i ricorrenti imputano alla sentenza gravata di aver violato e falsamente applicato gli artt. 2051, 2697, 1227, 1° comma, cod.civ., degli artt. 112, 115 e 116 cod.proc.civ. nonché di avere omesso l’esame di circostanze decisive acquisite nel processo in contraddittorio delle parti, in riferimento all’art. 360, 1° comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.;
la Corte d'Appello non avrebbe considerato, ai sensi dell’art. 1227, 1° comma, cod.civ., che il fatto che il marciapiede non dovesse essere utilizzato dal minore con la bicicletta non costituiva una esimente per l’ente pubblico, non essendo astrattamente ascrivibile al novero dell’imprevedibile; né avrebbe tenuto conto dell’incidenza della condotta del Comune sul nesso causale;
1.4. con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza d'appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2697, 1227 cod.civ., degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ. nonché per omesso esame di circostanze decisive acquisite nel processo in contraddittorio delle parti, in riferimento dell’art. 360, 1° comma, n. nn. 3 e 5, cod.proc.civ.;
la Corte d'Appello avrebbe erroneamente ritenuto corretta la decisione del Tribunale che aveva escluso la responsabilità del Comune anche ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., essendo i paletti dissuasori alti m 1,10 e come tali ben visibili e nient’affatto occulti;
in particolare, l’errore della Corte risiederebbe nell’aver ritenuto che la responsabilità della P.A. per danni conseguenti all’uso di beni demaniali presupponga la presenza di una insidia o trabocchetto, i quali, pur essendo elementi sintomatici della responsabilità della P.A., non escludono che la colpa dell’ente pubblico sia integrata dall’avere ingenerato un comportamento affidante circa la non pericolosità della strada e delle sue pertinenze;
i ricorrenti insistono, denunciando la violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., sul fatto che il giudicante avrebbe omesso di esaminare la CTU G. che aveva rilevato la pericolosità dei paletti dissuasori;
2 il Collegio ritiene che il ricorso meriti accoglimento per quanto di ragione;
3. lo scrutinio dei motivi che deducono la violazione dell’art. 2051 cod.civ., vale a dire i motivi primo, secondo e terzo, deve essere preceduto da alcune considerazioni di carattere generale;
3.1 nell’anno 2018 questa Sezione ha ritenuto indispensabile un intervento nomofilattico in tema di responsabilità per cose in custodia, consapevole delle disomogeneità interpretative riscontrate nella giurisprudenza di merito e delle incertezze ermeneutiche emerse nella sua stessa giurisprudenza; il tutto in una materia particolarmente rilevante per gli aspetti giuridici, sociali ed economici, coinvolgenti soggetti sia privati che pubblici;
3.2. nell’anno 2022 sono intervenute, poi, le Sezioni Unite di questa Corte, che, preso atto delle criticità e distonie emerse nella giurisprudenza di legittimità, hanno affermato i principi di diritto di cui a breve si dirà, apportando un definitivo contributo chiarificatore al tema della responsabilità della cosa in custodia;
alla luce di tali principi, non è ulteriormente discutibile che la responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. abbia natura oggettiva, come affermato da questa sezione con le decisioni nn. 2477-2483 rese pubbliche in data 1/02/2018, alla luce delle origini storiche della disposizione codicistica, dell’affermazione di fattispecie di responsabilità emancipate dal principio nessuna responsabilità senza colpa, dei criteri di accertamento del nesso causale e della esigibilità (da parte dei consociati) di un’attività di adeguamento della condotta in rapporto alle diverse contingenze nelle quali vengano a contatto con la cosa custodita da altri;
3.3. tale qualificazione ha ricevuto una definitiva conferma, come poc’anzi ricordato, dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la decisione n. 20943 del 30/06/2022, dopo aver diacronicamente ripercorso le tappe segnate (talvolta in modo dissonante) dalla giurisprudenza questa sezione, hanno ribadito che «La responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo, e non presunto, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre sul custode grava l'onere della prova liberatoria del caso fortuito, senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode»;
3.4. all’affermazione di tale principio, di carattere generale (punto 9 della decisione), da ritenersi vincolante per la sezione semplice, ai sensi dell’art. 374 cod.proc.civ., le Sezioni Unite hanno poi fatto seguire l’affermazione di ulteriori, altrettanto generali principi, così sintetizzabili (punti 8.4. e ss. della sentenza 20943/2022):
a) "l'art. 2051 c.c., nel qualificare responsabile chi ha in custodia la cosa per i danni da questa cagionati, individua un criterio di imputazione della responsabilità che prescinde da qualunque connotato di colpa, sicché incombe al danneggiato allegare, dandone la prova, il rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità o meno o dalle caratteristiche intrinseche della prima";
b) "la deduzione di omissioni, violazioni di obblighi di legge di regole tecniche o di criteri di comune prudenza da parte del custode rileva ai fini della sola fattispecie dell'art. 2043 c.c., salvo che la deduzione non sia diretta soltanto a dimostrare lo stato della cosa e la sua capacità di recare danno, a sostenere allegazione e prova del rapporto causale tra quella e l'evento dannoso";
c) "il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode; peraltro le modifiche improvvise della struttura della cosa incidono in rapporto alle condizioni di tempo e divengono, col trascorrere del tempo dall'accadimento che le ha causate, nuove intrinseche condizioni della cosa stessa, di cui il custode deve rispondere";
d) "il caso fortuito, rappresentato dalla condotta del danneggiato, è connotato dall'esclusiva efficienza causale nella produzione dell'evento; a tal fine, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull'evento dannoso, in applicazione anche ufficiosa dell'art. 1227 c.c., comma 1; e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall'art. 2 Cost.;
e) quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale";
4. i principi appena evocati sanciscono in via definitiva l’attuale statuto della responsabilità del custode, il cui fondamento riposa, pertanto, su elementi di fatto individuati tanto in positivo - la dimostrazione che il danno è in nesso di derivazione causale con la cosa custodita (la sequenza è quella che muove dall’accertamento di un danno giuridicamente rilevante per risalire alla sussistenza di una relazione causale tra l’evento dannoso e la cosa custodita e si chiude con l’imputazione in capo al custode dell’obbligazione risarcito- ria, dalla quale il custode si libera giusta il disposto dell’art. 2051 c.c., provando il caso fortuito) – quanto in negativo (l’impredicabilità di una mera presunzione di colpa in capo al custode e l’irrilevanza della prova di una sua condotta diligente);
4.1. nel confermare tali principi, in ossequio all’insegnamento delle Sezioni Unite, mette peraltro conto di precisare, sul piano della struttura della fattispecie (non su quello degli effetti, che risultano ormai definitivamente scolpiti dal massimo organo della nomofilachia), che il caso fortuito appartiene morfologicamente alla categoria dei fatti giuridici naturali e si pone in relazione causale diretta, immediata ed esclusiva con la res, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo (dolo o colpa) in capo al custode; mentre la condotta del terzo e la condotta del danneggiato rilevano co- me fatti umani caratterizzati dalla colpa (art. 1227, 1° comma, cod.civ.), con rilevanza causale esclusiva o concorrente (sull’ammissibilità del concorso tra causa umana e causa naturale, sotto il profilo della sola causalità giuridica, cfr. Cass. 16/10/2007, n. 21619; Cass. 21/07/2011, n. 15991), intesa, nella specie, come caratterizzazione di una condotta ‘oggettivamente imprevedibile ed oggettivamente imprevenibile da parte del custode; di tal che, l’equiparazione fortuito-fatto umano può avvenire esclusivamente sul piano degli effetti, e non della relativa morfologia, volta che la riconducibilità dell’evento alla res, sul piano causale, non è naturalisticamente esclusa dal fatto umano (in assenza della cosa, non si sarebbe verificato il danno), bensì giuridicamente ricondotta al principio di cui all’art. 41 cod.pen., volta che quegli stessi comportamenti umani si pongano in termini di “cause sopravvenute che escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento” (art. 41, 2° comma, cod.pen.), in tal modo degradando il ruolo della res in custodia a mera occasione del danno;
4.1.1. in questi termini, va così ripetuto e precisato che sia il fatto naturale (fortuito) che la condotta umana (del terzo o del danneggiato) si pongono in relazione causale con l'evento di danno non nel senso della (impropriamente definita) "interruzione del nesso tra cosa e danno", bensì alla luce del principio penalistico che relega al rango di mera occasione la relazione con la res, deprivata della sua efficienza di causalità materiale (erroneamente confusa, talvolta, con la causalità naturale) senza peraltro cancellarne l’efficienza naturalistica; e ciò tanto nell’ipotesi di efficacia causale assorbente, quanto di causalità concorrente (sia del fortuito, sia delle condotte umane) poiché, senza la preesistenza e la specifica caratterizzazione della res, il danno non si sarebbe verificato;
4.2. il dato normativo va, pertanto, applicato governando la costruzione funzionale dell’illecito in parola, e raccordandola con la modulazione dei rimedi ad esso conseguenti, vale a dire tenendo conto che il sistema risarcitorio si fonda non solo sulla capacità preventiva della colpa (giustizia correttiva), ma anche sul soddisfacimento di esigenze meramente compensative (giustizia redistributiva, cioè il trasferimento del peso economico di un evento pregiudizievole dal danneggiato su chi abbia la signoria della cosa) e, non da ultimo, muovendosi con la consapevolezza che quello causale, essendo un “giudizio” non su di un fatto, ma su di una relazione tra fatti, utilizzato per allocare i costi del danno, deve essere calibrato in relazione alla specifica fattispecie di responsabilità; costituisce, difatti, il proprium della responsabilità civile il presentarsi “a geometria variabile, perché moltiplica le sue possibilità a seconda degli istituti con cui si fonde, facendo scattare principi anche solo lieve- mente diversi ma con implicazioni notevoli sulla allocazione finale dei costi, sulla prevenzione, sulla sostenibilità nel tempo della sua promessa (il risarcimento del danno)”;
4.3. l’irrilevanza della colpa del custode, quale criterio per risalire al responsabile, è condizione necessaria ma non sufficiente per attribuire alla responsabilità di cui all’art. 2051 cod. civ. natura oggettiva; essa fa giustizia di quei modelli di ragionamento che evocano la presunzione di colpa, la quale individua il fondamento della responsabilità pur sempre nel fatto dell’uomo - il custode - venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non abbia a produrre danno a terzi (Cass. 20/05/1998, n. 5031), ma non anche della teoria del riconoscimento - altrettanto erroneo - di una presunzione di responsabilità in capo al custode, giustificata ritenendo che, se la cosa fosse stata ben governata e controllata, non avrebbe arrecato alcun danno, mentre se il danno si verifica (fatto noto) si presume che ciò sia avvenuto perché la cosa non è stata adeguatamente custodita (fatto ignoto); da tale presunzione di responsabilità - secondo tale, a sua volta non condivisibile ricostruzione della fattispecie - il custode si libererebbe dimostrando, in ragione dei poteri che la particolare relazione con la cosa gli attribuisce, che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso;
4.4. ritenere che sul custode gravi una presunzione di responsabilità – esclusa espressamente, come si è detto, anche dalla già ricordata pronuncia delle Sezioni Unite – è indice di una resistenza ad emanciparsi dal criterio della colpa che, infatti, viene evocata in via surrettizia non per fondare, in via di regola, la responsabilità del custode, ma (comunque) per escluderla, del tutto impropriamente, in via di eccezione; la capacità di vigilare la cosa, di mantenerne il controllo, di neutralizzarne le potenzialità dannose, difatti, non è elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, bensì elemento estrinseco del quale va tenuto conto alla stregua di canone interpretativo della ratio legis, cioè come strumento di spiegazione di “un effetto giuridico che sta a prescindere da essi”; l’intento di responsabilizzare il custode della res o di controbilanciare la signoria di fatto concessagli dall’ordinamento affinché ne tragga o possa trarne beneficio sulla cosa con l’obbligazione risarcitoria (Cass. 01/02/2018, n. 2480, § § 11 e 12) possono essere criteri di spiegazione del criterio scelto per allocare il danno, ma non sono elementi costitutivi della regola di fattispecie né elementi di cui tener conto per escludere l’obbligazione risarcitoria in capo al custode;
5. non è stata fornita una definizione normativa della custodia da parte del legislatore del 1942 perché l’art. 2051 cod. civ. si è limi- tato a tradurre l’espressione francese sous sa garde che appariva nell’art. 1384, 1° comma, Code Napoleon. Questa Corte (Cass., Sez. Un., 11/11/1991, n. 12019) ha, tuttavia, avuto già occasione di rilevare le diverse accezioni della portata della custodia come criterio di determinazione della responsabilità rinvenienti dalle fonti romane e ha ritenuto di poterle raggruppare nelle seguenti categorie: a) quella che si riallaccia alla configurazione giustinianea per cui la custodia non è che un particolare tipo di diligentia; b) quella custodiendae rei, la quale rimane un criterio soggettivo di responsabilità; c) quella più recente che individua il concetto di custodia nella responsabilità oggettiva; a quest’ultima, che “si concretizza in un criterio oggettivo di responsabilità, intendendo per tale quello che addossa a colui che ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, indipendentemente dalla ricerca di un nesso causale fra il comportamento del custode e l’evento”, ha ricondotto quella rilevante ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.;
6. non può mettersi in dubbio che, per individuare il responsabile, non debba farsi riferimento alla sola custodia di fonte contrattuale (Cass. 18/02/2000, n. 1859; Cass. 20/10/2005, n. 20317), siccome l’articolo 2051 cod. civ. attiene ai rapporti con i terzi danneggiati dalla cosa oggetto di custodia, né possono nutrirsi riserve circa il fatto che, trattandosi di una relazione meramente fattuale, non sia giustificato un mero rinvio ad altri istituti come la proprietà, i diritti reali minori, il possesso, la semplice detenzione; la relazione giuridica con la cosa non è elemento costitutivo della responsabilità, a differenza di quanto previsto dagli artt. 2052, 2053, 2054 cod. civ., sicché responsabile ex art. 2051 cod. civ. può ben essere un soggetto diverso da quello che abbia un titolo giuridico sulla res (Cass. 6/07/2006, n. 153684), atteso che rileva esclusivamente la relazione di fatto di natura custodiale, a prescindere finanche dal se essa sia titolata; l’applicazione dell’art. 2051 cod. civ. si arresta soltanto dinanzi alle cose insuscettibili di custodia in termini oggettivi (acqua, aria: Cass. 20/02/2006, n. 3651);
7. l’indeterminatezza della nozione di caso fortuito, talvolta declinato in termini di polivalenza, consentirebbe, in astratto di considerarlo tanto come limite della responsabilità per colpa quanto come limite della causa di imputazione della responsabilità; nondimeno, quando il caso fortuito è evocato espressamente da una norma, come in questo caso, la sua nozione deve essere riempita di contenuto in correlazione con il contesto e con la ratio legis; per quanto non decisivo, orienta in tal senso anche il tenore letterale dell’art. 2051 cod.civ (“Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”) se confrontato con quello dell’art. 2050 cod. civ. (“Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno”), dell’art. 2053 cod. civ. (“Il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”), e dell’art. 2054 cod. civ. (“Il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”);
7.1. il contenuto della prova liberatoria non solo è stato tipizzato dal legislatore, ma è stato differenziato secondo la regola di fattispecie di volta in volta presa in considerazione; quando la prova liberatoria è costituita dalla ricorrenza del caso fortuito (cfr. anche l’art. 2052 cod. civ. “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”) è segno che il legislatore non ha voluto che il custode (o il responsabile di cui all’art. 2052 cod. civ.) possa liberarsi provando di avere tenuto un comportamento diligente volto ad evitare il danno né con la dimostrazione che il danno si sarebbe verificato nonostante la diligenza da lui esigibile, data l’imprevedibilità e l’inevitabilità dell’evento dannoso, tantomeno con la prova che l’intervento del caso fortuito abbia reso oggettivamente impossibile la custodia (utili indicazioni a supporto, ma con carattere di minore prossimità, possono trarsi anche dalle ipotesi in cui il legislatore non ha previsto la prova liberatoria, come nelle ipotesi di cui all’art. 2049 cod. civ. e all’ art. 114 cod. consumo);
8. facendo applicazione di questi principi alla fattispecie per cui è causa, il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato, dovendosi escludere che, a carico del custode, il codice civile ponga una mera presunzione di colpa, per vincere la quale il custode stesso possa limitarsi a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per prevenire i danni derivanti dalla cosa;
8.2. in sostanza, il riferimento al rischio, al pericolo, all’incapacità del custode di prevenire il danno serve solo per giudicare se si siano concretizzati gli elementi di fatto che integrano, dal punto di vista fenomenologico, il criterio di imputazione dell’obbligazione risarcitoria, tenendo bene a mente, peraltro, che la cosa non ha un rilievo autonomo nella produzione del danno, ma lo assume solo perché custodita;
9. tanto premesso, vanno accolti i motivi primo, secondo e terzo, limitatamente al fatto che la Corte territoriale ha omesso di attribuire rilievo, ai sensi dell’art. 1227, 1° comma, cod.civ., alla oggettiva situazione di pericolo rappresentata dalla presenza di paletti acuminati, illegittimamente apposti sul marciapiede, in violazione del Codice della strada, come accertato in giudizio;
9.1. l’errore della Corte territoriale non è stato, come pure afferma il ricorrente, quello di non avere preteso dal custode la prova necessaria a vincere la presunzione di colpa che l’art. 2051 cod.civ. porrebbe a suo carico, ma quello di avere ricostruito il nesso di derivazione causale senza tener conto dell’apporto eziologico alla verificazione dell’evento di danno, quantomeno concorrente, della cosa in custodia, rappresentato dalla sua stessa conformazione - paletti acuminati, come tali normativamente vietati - la cui caratteristica di intrinseca pericolosità non poteva consentire di degradare la cosa, per la sua stessa natura, a mera occasione del verificarsi del danno, in applicazione del criterio causale dell’aumento del rischio tipico e dello scopo della norma violata (criteri alternativi o concorrenti, sul piano civilistico, con quello della regolarità causale);
9.2. quanto, invece, al rigetto della domanda risarcitoria ex art. 2043 cod.civ., da questa Corte da scrutinarsi nei limiti del devolutum alla luce della motivazione adottata in parte qua dal giudice territoriale, vanno accolti per quanto di ragione i motivi secondo e quarto, perché la responsabilità della P.A. per comportamento colposo non è affatto limitata alle sole ipotesi di esistenza di un'insidia o di un trabocchetto, come la Corte territoriale ha ritenuto a p. 5 della sentenza;
9.3. secondo i principi che governano l'illecito aquiliano, grava sul danneggiato l'onere della prova dell'anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo - in linea di principio - a configurare il comportamento colposo della P.A.;
9.4. ne discende che il requisito della prevedibilità del pericolo può al più essere tenuto in considerazione in ordine alla valutazione del comportamento colposo della vittima, che può ben concorrere, ex art. 1227 cod.civ. con la responsabilità oggettiva del custode;
10. il ricorso va accolto per quanto di ragione;
11. la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Salerno, in diversa composizione, che provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.