La scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi dal documento. Nei soli casi di sua perdita incolpevole ex artt. 2724 e 2725 c.c., sono ammissibili la prova per presunzioni semplici e la testimonianza.
Svolgimento del processo
1. Nella lite insorta tra l’avvocato T. B. e il Condominio di viale (omissis) 306-308 per il pagamento di compensi professionali, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 844 del 2019, in riforma della decisione di primo grado (sentenza n. 49753/2015 del locale Giudice di Pace), in accoglimento dell’appello proposto dal Condominio, ha revocato il decreto ingiuntivo n. 11002/2014 emesso per l’importo di €. 3.427,54 in favore dell’avvocato e, operata la compensazione tra quanto spettante al difensore a titolo di compenso e quanto ricevuto, ha condannato l’avvocato B. alla restituzione in favore del Condominio della somma di €. 5.070,003 oltre interessi; ha altresì rigettato l’appello incidentale del professionista (che si era doluto del mancato accoglimento dell’eccezione di tardività dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo).
Per quanto di stretto interesse in questa sede, il Tribunale ha osservato che l’opposizione a decreto ingiuntivo era tempestiva, perché dal duplicato della copia dell’avviso di ricevimento relativo alla notifica del decreto ingiuntivo, risultava l’avvenuto ritiro dell’atto in data 31.10.2014 presso l’ufficio postale da parte dell’amministratore; pertanto, considerando da tale data la decorrenza del termine di 40 giorni per l’opposizione, correttamente era stata ritenuta la tempestività della sua proposizione, avvenuta con raccomandata del 28.11.2014.
Ha poi rilevato che tra le parti mancava un accordo sulla misura del compenso e pertanto doveva trovare applicazione la tariffa di cui al DM 124/2004, tenendo conto della data di emissione del decreto ingiuntivo (26.4.2012).
Avverso questa sentenza l’avvocato B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi; il condominio ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo B. ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell'articolo 140 cod. proc. civ. in relazione all'articolo 360, comma I n. 3 cod. proc. civ. per non avere il Tribunale correttamente individuato il tempo di perfezionamento della notifica e il termine di decorrenza iniziale dei 40 giorni prescritti per l’opposizione, secondo l'interpretazione resa dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 3 del 2010; la notifica, infatti, avrebbe dovuto intendersi perfezionata dopo dieci giorni dalla spedizione della raccomandata informativa dell’avvenuto deposito e, cioè, il 17/10/14 e non il 31/10/14, cioè nel giorno di ritiro della raccomandata informativa di avviso del deposito presso la Casa comunale.
1.1. Il motivo è infondato.
La notifica del decreto ingiuntivo è stata effettuata nelle forme previste all’art. 140 cod. proc. civ.(lo dichiara la stessa ricorrente a pag. 2 del ricorso) e la cartolina di avviso dell’avvenuto deposito presso la Casa comunale è stata ricevuta dall’opponente condominio, in persona del suo amministratore, in data 31/10/2014 (v. sentenza pag. 5).
La ricorrente ha sovrapposto, nell’argomentare la sua censura, la disciplina dell'art. 8, comma 4, l. n. 890 del 1982 con la disciplina dell’art. 140 cod. proc. civ. che non sono, invece, pienamente sovrapponibili.
Le notifiche ex art.140 cod. proc. civ. presentano un regime che si discosta da quello di cui all'art. 8, comma 4, l. n. 890 del 1982: le notificazioni a mezzo del servizio postale si perfezionano decorsi dieci giorni dalla spedizione della raccomandata o al momento del ritiro del piego contenente l'atto da notificare, ove anteriore; viceversa, l'art. 140 cod. proc. civ., all'esito della sentenza n. 3 del 2010 della Corte costituzionale, fa esplicitamente coincidere tale momento con il ricevimento della raccomandata informativa, reputato idoneo a realizzare non l'effettiva conoscenza, ma la conoscibilità del deposito dell'atto presso la casa comunale e a porre il destinatario in condizione di ottenere la consegna e di predisporre le proprie difese nel rispetto dei termini eventualmente pendenti per la reazione giudiziale. Tale difformità non si espone a dubbi di legittimità costituzionale, perché il legislatore ordinario non è tenuto ad uniformare il trattamento processuale di situazioni soltanto assimilabili, essendo consentita una diversa conformazione degli istituti processuali a condizione che non siano lesi i diritti di difesa.
A tali conclusioni è giunta, la stessa Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 140 cod. proc. civ., posta per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. proprio per la parte in cui fa decorrere gli effetti della notifica, per il destinatario, dalla data in cui l'ufficiale giudiziario, effettuate le formalità di deposito, gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento.
La Corte Costituzionale ha infatti ritenuto inammissibile il confronto con la disciplina prevista dall'art. 8, comma 4, I. 20 novembre 1982, n. 890 - secondo cui la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, con cui si avvisa il destinatario dell'avvenuto deposito dell'atto presso la casa comunale, ovvero dalla data dell'effettivo ritiro della copia dell'atto, se anteriore – perché le situazioni disciplinate non sono omogenee e la diversa disciplina delle situazioni si giustifica in termini di ragionevolezza.
In particolare, l'art. 140 del cod. proc. civ., per come dichiarato costituzionalmente illegittimo, presuppone, per il perfezionamento del procedimento di notificazione, l'avvenuta ricezione, da parte del destinatario dell'atto, della raccomandata contenente l'avviso di deposito dell'atto stesso, in tal modo ponendo l'accipiens nelle condizioni di poter prendere prontamente contezza del contenuto del medesimo; conseguentemente, la conoscenza legale dell'atto coincide con il momento in cui può essere conseguita anche la conoscenza effettiva.
La previsione di un termine di dieci giorni per il ritiro dell'atto presso l'ufficio postale, previsto dall'art. 8 della legge n. 890 del 1982 in tema di notificazione degli atti a mezzo del servizio postale, si collega, invece, non al momento di effettiva ricezione dell'avviso, ma alla spedizione dello stesso ovvero alla data di ritiro dell'atto se anteriore, con l'ovvio epilogo di individuare una diversa e ragionevole modulazione del termine per il perfezionamento dell'iter notificatorio (Corte cost. 220/2016; Cass. Sez. 2, n. 6089 del 04/03/2020).
2. Con il secondo motivo, l’avvocato B. ha denunziato la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ. e degli articoli 1173-1174 e 1175 cod. civ.: ad avviso della ricorrente, il giudice di appello, sostenendo che, in assenza di prova dell’accordo sulla misura del compenso per l'attività professionale svolta, dovesse essere applicata la tariffa forense di cui al d.m. 124 del 2004, non avrebbe così considerato che l’opponente Condominio non aveva mai contestato l’esistenza di questo accordo, come esposto nella comparsa di costituzione di primo grado e si era limitato unicamente ad opporre la erroneità della determinazione dei compensi operata dal Tribunale nel decreto ingiuntivo pronunciato nei confronti del singolo condomino; così motivando, peraltro, il Tribunale avrebbe anche violato l’art. 112 cod. proc. civ. introducendo elementi di indagine ulteriori e modificando radicalmente i termini della controversia.
2.1 Anche questo motivo è infondato.
Innanzitutto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (v. tra le varie, Sez. 1, Ordinanza n. 3340/2019; Cass. ord. 22707/2017 e altre).
E ancora, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell'art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall'art. 116 c.p.c. (v. SSUU n. 20867/2020).
Nel caso in esame, è evidente che non ricorre né il vizio di violazione di norma di diritto né la violazione dell’art. 115 cpc.
Il Tribunale, infatti, rilevando che mancava un accordo vincolante, ha applicato in sostanza il terzo comma dell’art. 2233 cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 2 del d.l. n. 223/2006, convertito con modif. dalla l. n. 248/2006 che ha imposto a pena di nullità la forma scritta per l’accordo di determinazione del compenso professionale tra l’avvocato e il suo cliente.
Sul punto, invero, la norma indicata non può ritenersi abrogata con l’entrata in vigore dell’art. 13, comma 2, della l. n. 247/2012, lì dove ha stabilito che «il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale», poiché la novità legislativa, lasciando impregiudicata la prescrizione contenuta nell’art. 2233, ult. comma, cod. civ., ha inteso disciplinare non la forma del patto, che resta quella scritta a pena di nullità, ma soltanto il momento in cui stipularlo. Conseguentemente, la scrittura non può essere sostituita con mezzi probatori diversi dal documento e la prova per presunzioni semplici, al pari della testimonianza, sono ammissibili nei soli casi di sua perdita incolpevole ex artt. 2724 e 2725 cod. civ. (Cass. Sez. 2, n. 717 del 12/01/2023), perché l’osservanza dell'onere formale ad substantiam non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere.
La deduzione di un accordo in forma orale, ricavabile “a contrario”, non coglie pertanto nel segno.
E’ infine esclusa la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non essendo il Tribunale incorso nel vizio di ultrapetizione laddove, con apprezzamento in fatto, ha ravvisato l’assenza di accordo tra le parti in ordine alla misura del compenso.
3. Il ricorso dev’essere perciò rigettato, con inevitabile condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida complessivamente in Euro 1.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.