L'attuale ricorrente, in qualità di unica erede del de cuius, conveniva in giudizio la seconda moglie del padre defunto chiedendo di dichiarare la nullità di alcune donazioni in quanto viziate da difetto di forma (ossia per assenza dei testimoni) configuranti atti di compravendita simulati, effettuate in vita dal padre in favore della convenuta, nonché...
Svolgimento del processo
1. Con atto di citazione del febbraio 2014, la sig.ra T.C. – premesso di essere l’unica erede del padre, G.C. ed asserendo che gli altri legittimari avevano rinunciato all’eredità – conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, A.S., seconda moglie del citato genitore, chiedendo che venissero dichiarate nulle alcune donazioni siccome da ritenersi viziate per difetto di forma (ovvero per assenza dei testimoni) configuranti atti di compravendita simulati, effettuate in vita dal padre in favore della convenuta, nonché che si procedesse alla riduzione delle (valide) donazioni dirette ed indirette compiute dal de cuius a vantaggio della stessa convenuta.
Nella costituzione di quest’ultima - la quale spiegava eccezione di indeterminatezza dell’oggetto della pretesa attorea (e, quindi, la nullità della relativa domanda), deducendo, nel merito, che l’attrice non era stata pretermessa ma aveva ricevuto in eredità dal padre beni pignorati e che, comunque, l’azione era prescritta – il Tribunale adìto, con sentenza n. 2542/2014, dichiarava la nullità della citazione per indeterminatezza degli atti giuridici ai quali si riferiva la formulata domanda e per incertezza della qualificazione dell’azione esperita.
2. Decidendo sul gravame interposto dall’attrice soccombente e nella costituzione dell’appellata (la quale instava per il rigetto dell’appello, reiterando, in subordine, l’eccezione di prescrizione), la Corte di appello di Catania, acquisito il fascicolo di primo grado e respinta l’istanza di nomina di c.t.u., con sentenza n. 2424/2017, rigettava l’appello, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
In particolare, per quanto ancora di rilievo in questa sede, la Corte etnea riteneva che, sulla premessa della assoluta genericità e mancanza di specificità delle domande spiegate dalla parte attrice in primo grado, il difensore della stessa (poi appellante), al cospetto dell’eccezione di nullità della citazione spiegata dalla convenuta nella comparsa di risposta, alla prima udienza di comparizione aveva contestato le eccezioni della stessa convenuta, senza chiedere il termine per integrare la domanda ai sensi dell’art. 164, comma 5, c.p.c., bensì invocando i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., per cui non poteva dolersi in appello del fatto che il giudice di primo grado non lo avesse concesso.
3. Avverso la predetta sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, C.T..
L’intimata S.A. non ha svolto difese in questa sede.
Il difensore della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi
dell’art. 380-bis.1. c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 111 Cost., sostenendo che la motivazione dell’impugnata pronuncia sia inesistente ovvero apparente in relazione alla domanda di nullità della citazione, mancando non solo dell’individuazione dello specifico vizio rilevato nella citazione (omessa od assolutamente incertezza sulla determinazione della cosa oggetto della domanda, ovvero mancanza dell’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni), ma addirittura non recando alcuna indicazione od argomentazione in ordine ai presupposti logico-giuridici indispensabili per pervenire alla declaratoria della nullità della citazione, ossia: - alla valutazione della fondatezza dell’eccezione di nullità proposta dalla convenuta ed, in particolare, al contenuto complessivo dell’atto di citazione (comprensivo del richiamo alla sentenza n. 366/2011, che indicava specificamente gli atti oggetto di simulazione); - al contenuto ed alla funzione delle memorie di cui all’art. 183, comma 6, nn. 1 e 2, c.p.c. e della produzione documentale con le stesse effettuata; - alla insuscettibilità di detta produzione a configurare una spontanea sanatoria della nullità; - alla circostanza, allo scopo di consentire alla controparte di apprestare adeguate difese, che la convenuta era l’attrice del giudizio definito con la predetta sentenza n. 366/2011, e, quindi, della sua perfetta consapevolezza dell’accertamento della simulazione, compiuto con detta decisione; - alla impossibilità, infine, di individuare “una o più domande sufficientemente identificate nei loro elementi essenziali”, la cui proponibilità non è esclusa dalla presenza di altre domande indeterminate.
2. Con la seconda doglianza, la ricorrente denuncia – con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e, specificatamente, per vizio di c.d. infrapetizione, prospettando che, nell’impugnata pronuncia, il giudice del gravame aveva omesso ogni tentativo di interpretare esaustivamente e correttamente l’atto di citazione, affermando tout court come “non proposta” la domanda di nullità delle donazioni simulate e che non fosse stata specificata la propria qualità di erede pretermessa totalmente o parzialmente.
3. Con la terza ed ultima censura, la ricorrente lamenta – avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e falsa applicazione degli artt. 164, comma 3, n. 3, e 183, comma 6, n. 1, c.p.c., di cui la Corte territoriale non avrebbe fatto corretta applicazione, confermando con il rigetto dell’appello la nullità dell’atto di citazione.
4. Rileva il collegio che i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, siccome all’evidenza connessi.
Essi vanno respinti per le ragioni che seguono.
Innanzitutto, deve rilevarsi che, con essi, la ricorrente non riporta, richiamandolo testualmente, il contenuto delle domande che erano state proposte con l’originario atto di citazione ponendosi riferimento a due presunte domande: l’una relativa alla declaratoria di nullità di donazioni siccome dissimulanti atti di compravendita, che avevano costituito oggetto di altro giudizio, ma senza indicare tali atti né le ragioni specifiche che avrebbero dovuto comportare la nullità; l’altra, relativa alla riduzione di asseritamente valide donazioni fatte in vita dal padre in favore della convenuta, genericamente richiamate, anche in tal caso senza aver riguardo alla individuazione specifica dei relativi atti oggetto della richiesta (nel mentre sarebbe stato necessario indicare tutti gli elementi idonei in proposito, come precisati nell’impugnata sentenza di appello a pag. 7, senza che il relativo onere possa ritenersi assolto con un mero richiamo “per relationem” all’ambito oggettivo di altro giudizio, pur se a conoscenza della parte convenuta).
In ogni caso, proprio per effetto della suddetta struttura dell’atto di citazione e a fronte dell’a dedotta indeterminatezza dei “petita” e della “causae petendi” delle due domande, con la conseguente formulazione dell’eccezione di nullità da parte della convenuta, l’attrice-odierna ricorrente avrebbe dovuto chiedere apposito termine per l’integrazione dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 164, comma 5, c.p.c., attività invece non compiuta, avendo, invece, invocato, direttamente la fissazione dell’udienza ai sensi del comma 2 dell’art. 183 c.p.c., come se la domanda non dovesse – a suo avviso – considerarsi nulla.
Risulta, poi, che l’attrice aveva cercato di supplire alla mancata richiesta del suddetto termine, cercando di colmare le lacune, relative alla specificazione degli oggetti e delle ragioni a fondamento delle due avanzate domande, avvalendosi – in conformità al disposto dell’art. 183, comma 6, c.p.c. - del potere di precisazione e modificazione delle domande (e delle eccezioni e conclusioni) già proposte.
Senonché, è evidente che l’esercizio di tale potere presupponeva ineludibilmente che fossero state “ab origine”, ovvero con l’atto introduttivo del giudizio, proposte delle domande non inficiate da vizi che ne comportavano la nullità secondo la previsione di cui all’art. 164 c.p.c., vizi, invece, sussistenti nel caso di specie, come adeguatamente accertato e motivato dalla Corte di appello di Catania (in tal senso, quindi, essendo manifestamente infondata la censura riferita alla supposta violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 111 Cost.). In altri termini, l’esercizio dello “ius poenitendi” - di cui al citato art. 186, comma 6, c.p.c. – deve ritenersi ammissibile a condizione che le domande principali e (eventualmente) quelle riconvenzionali siano state già “validamente” proposte (o per essere già tali “ab origine” o per esserlo divenuto a seguito della loro rinnovazione od integrazione, le cui attività sono, per l’appunto, previste dal menzionato comma 5 dell’art. 164 c.p.c.).
Va, inoltre, esaminato anche l’altro profilo – pure dedotto con il ricorso – attinente alle conseguenze del mancato esercizio del potere officioso da parte del giudice di ordinare la rinnovazione dell’atto di citazione quando ricorrano le ipotesi di sua nullità in relazione alla mancata o assolutamente incerta indicazione dei requisiti di cui ai nn. 3 e 4 del comma 3 dell’art. 164 c.p.c., pur a fronte della formulazione dell’eccezione di nullità del convenuto ed in difetto della apposita formulazione di un’istanza di rinnovazione proveniente dallo stesso attore (situazione che si è venuta a configurare proprio nella fattispecie).
Al riguardo, il giudice di appello ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 17408/2012; Cass. n. 896/2014 e Cass. n. 9798/2018), in base alla quale, ove detto potere non sia stato esercitato d’ufficio dal giudice di primo grado (potendo, al limite, lo stesso aver ritenuto implicitamente che l’atto di citazione non fosse affetto dai suddetti vizi di nullità) e l’attore, anche a fronte dell’eccezione di controparte, non chieda – nel dubbio – la concessione di apposito termine per integrare la domanda, non può dolersi sia dell’omesso esercizio del potere da parte del giudice sia della sua mancata immediata attivazione, a seguito dell’avversa eccezione, per ovviare alla nullità dell’atto introduttivo chiedendo un termine per la sua necessaria integrazione, proponendo le relative doglianze in appello (dovendo, in tal caso, il giudice di secondo grado limitarsi a definire il processo con una pronuncia in rito che accerti il vizio della citazione introduttiva).
5. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere respinto, senza luogo a provvedere sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede. Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.