Lo ha stabilito la CGUE con la sentenza in commento precisando che il diritto dell'Unione osta a che la banca reclami pretese analoghe nei confronti dei consumatori.
Un consumatore e sua moglie concludevano con una banca un contratto dimutuo ipotecario. Il mutuo era indicizzato in franchi svizzeri (CHF), e le rate mensili dovevano essere pagate in zloty polacchi (PLN) previa conversione in applicazione del tasso di cambio di vendita del CHF, conformemente alla tabella dei tassi di cambio di valuta estera applicati dalla banca il giorno del pagamento di ogni rata mensile.
Ritenendo che le clausole di conversione che determinano il tasso di cambio siano abusive e che la loro presenza renda invalido il contratto, il consumatore ha proposto ricorso contro la banca dinanzi al Tribunale circondariale di Varsavia, chiedendo un importo corrispondente alla metà del profitto che la Bank M. ha realizzato con le rate mensili.
Il Giudice polacco ha chiesto alla CGUE se la direttiva concernente le clausole abusive consente alle parti di un contratto di mutuo ipotecario dichiarato nullo possano di chiedere una compensazione che ecceda il rimborso degli importi rispettivamente versati.
Con sentenza nella causa C-520/21 del 15 giugno 2023, la Corte osserva che la direttiva non disciplina espressamente le conseguenze derivanti dall'invalidità di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore dopo l'eliminazione delle clausole abusive.
Inoltre, continua la CGUE «la facoltà, per un consumatore, di reclamare, nei confronti della banca, crediti che eccedano il rimborso delle rate mensili versate non sembra compromettere gli obiettivi summenzionati, potendo dissuadere i professionisti dall'inserire clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in quanto il loro inserimento, comportando la nullità di tali contratti, potrebbe causare conseguenza finanziarie superiori alla restituzione degli importi versati dal consumatore e, se del caso, al pagamento di interessi di mora». Tuttavia, spetta al giudice nazionale valutare se l'accoglimento delle pretese rispetti il principio di proporzionalità.
Peraltro, aggiunge la Corte, «la direttiva osta a che la banca possa chiedere al consumatore una compensazione eccedente il rimborso del capitale versato e il pagamento degli interessi di mora al tasso legale, perché contribuirebbe a eliminare l'effetto dissuasivo esercitato sui professionisti». Non solo, tale rischio porterebbe a situazioni in cui sarebbe più vantaggioso, per i consumatori, proseguire l'esecuzione del contratto contenente una clausola abusiva piuttosto che esercitare i diritti che essi traggono dalla suddetta direttiva.
Infine, per la Corte, l'argomento relativo alla stabilità dei mercati finanziari non è rilevante nell'ambito dell'interpretazione della direttiva, che mira a tutelare i consumatori.
CGUE, Quarta Sezione, sentenza 15 giugno 2023, causa C-520/21
«Rinvio pregiudiziale – Clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Articolo 6, paragrafo 1, e articolo 7, paragrafo 1 – Credito ipotecario indicizzato in una valuta estera – Clausole di conversione – Determinazione dei tassi di cambio tra tale valuta estera e la valuta nazionale – Effetti della dichiarazione del carattere abusivo di una clausola – Effetti dell’annullamento del contratto nella sua interezza – Facoltà di reclamare diritti ulteriori rispetto al rimborso degli importi convenuti nel contratto e al pagamento di interessi di mora – Danno subito dal consumatore – Indisponibilità dell’importo delle mensilità versate alla banca – Danno subito dalla banca – Indisponibilità dell’importo del capitale versato al consumatore – Effetto dissuasivo del divieto di clausole abusive – Tutela effettiva del consumatore – Interpretazione giurisdizionale di una normativa nazionale»
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29), nonché dei principi di effettività, certezza del diritto e proporzionalità.
2 Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Arkadiusz Szczesniak (in prosieguo: «A.S.») e la Bank M. SA, in merito ad un’azione di recupero di un credito risultante dall’uso di fondi provenienti da un contratto di mutuo ipotecario colpito da nullità per il fatto di non poter sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
3 Il decimo e il ventiquattresimo considerando della direttiva 93/13 così recitano:
«considerando che si può realizzare una più efficace protezione del consumatore adottando regole uniformi in merito alle clausole abusive; (...)
(...)
considerando che le autorità giudiziarie e gli organi amministrativi degli Stati membri devono disporre dei mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole abusive contenute nei contratti stipulati con i consumatori».
4 L’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva è del seguente tenore:
«Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
5 L’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva dispone quanto segue:
«Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
Diritto polacco
6 L’articolo 5 dell’ustawa – Kodeks cywilny (legge che promulga il codice civile), del 23 aprile 1964 (Dz. U. del 1964, n. 16), nella versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: il «codice civile»), enuncia quanto segue:
«Un diritto non può essere esercitato in modo contrario al suo scopo sociale ed economico o ai principi di ordine pubblico. Una siffatta azione od omissione del titolare del diritto non costituisce esercizio del diritto e non è meritevole di tutela».
7 L’articolo 222, paragrafo 1, di tale codice prevede quanto segue:
«Un proprietario può esigere che la persona che detiene di fatto un bene che gli appartiene glielo restituisca, a meno che tale persona non disponga di un diritto di detenere il bene opponibile al proprietario».
8 Ai sensi dell’articolo 3581, paragrafi da 1 a 4, di tale codice:
«1. Fatte salve disposizioni specifiche, qualora l’obbligazione riguardi, sin dall’inizio, un importo di denaro, la prestazione è eseguita attraverso il pagamento del suo valore nominale.
2. Le parti possono stipulare nel contratto che l’importo della prestazione in contanti sia determinato in funzione di un’unità di valore diversa dalla monetaria.
3. In caso di modifica sostanziale del potere d’acquisto della valuta successivamente al sorgere dell’obbligazione, il tribunale può modificare, dopo avere preso in considerazione gli interessi delle parti conformemente ai principi della convenienza civile, l’importo o le modalità di esecuzione della prestazione in contanti, anche qualora essa sia stata fissata in una decisione giudiziaria o nel contratto.
4. Il professionista non può esigere la modifica dell’importo né delle modalità di esecuzione della prestazione in contanti, se essa è collegata all’esercizio della sua impresa».
9 L’articolo 361, paragrafi 1 e 2, del medesimo codice così recita:
«1. La persona tenuta al risarcimento è responsabile solo delle conseguenze normali dell’atto o dell’omissione all’origine del danno.
2. Nei limiti definiti al primo paragrafo, fatte salve disposizioni di legge o clausole contrattuali contrarie, il risarcimento del danno copre le perdite subite dalla parte lesa e i guadagni che essa avrebbe ottenuto in assenza del danno».
10 L’articolo 3851, paragrafi 1 e 2, del codice civile così recita:
«1. Le clausole dei contratti stipulati con i consumatori che non sono state negoziate individualmente non sono per essi vincolanti qualora configurino i loro diritti e obblighi in modo contrario al buon costume, con grave violazione dei loro interessi (clausole illecite). La presente disposizione non si applica alle clausole che determinano le prestazioni principali delle parti, compreso il prezzo o la remunerazione, purché siano formulate in modo univoco.
2. Qualora una clausola contrattuale non sia vincolante per il consumatore ai sensi del paragrafo 1, la restante parte del contratto rimane vincolante tra le parti».
11 L’articolo 405 di tale codice prevede quanto segue:
«Chiunque abbia conseguito un arricchimento patrimoniale senza causa a danno di un’altra persona è obbligato a restituire tale arricchimento in natura o, se questo non è possibile, a restituirne il valore».
12 L’articolo 410, paragrafi 1 e 2, di detto codice così recita:
«1. Le disposizioni precedenti si applicano in particolare alla prestazione indebita.
2. Una prestazione è indebita se colui che l’ha eseguita non era obbligato o non era obbligato nei confronti della persona a favore della quale l’ha eseguita, o se la causa della prestazione è venuta meno o se lo scopo previsto della prestazione non è stato raggiunto, o se l’atto giuridico su cui si basava l’obbligo di eseguire la prestazione era invalido e non ha acquistato validità dopo l’esecuzione della prestazione».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
13 Il 25 luglio 2008, A.S. e sua moglie E.S. hanno concluso con la Bank M. un contratto di mutuo ipotecario della durata di 336 mesi, avente ad oggetto un importo di 329 707,24 zloty polacchi (PLN) (circa EUR 73 000), maggiorato di interessi a tasso variabile (in prosieguo: il «contratto di mutuo ipotecario»). Le clausole di tale contratto non sono state negoziate individualmente. Il mutuo era indicizzato in franchi svizzeri (CHF), in quanto il contratto prevedeva che le rate mensili del mutuo dovessero essere pagate in zloty polacchi previa conversione in applicazione del tasso di cambio di vendita del franco svizzero, conformemente alla tabella dei tassi di cambio di valuta estera applicati dalla Bank M. il giorno del pagamento di ogni rata mensile. In seguito alla conclusione di un addendum a detto contratto, il 6 settembre 2011, A.S. e E.S. hanno ottenuto la possibilità di pagare le rate mensili di detto mutuo direttamente in franchi svizzeri.
14 Con ricorso proposto il 31 maggio 2021, A.S. ha chiesto alla Bank M il pagamento della somma di PLN 3 660,76 (circa EUR 800), oltre agli interessi legali di mora, con decorrenza dall’8 giugno 2021 fino alla data del pagamento. A sostegno del suo ricorso, A.S. ha dedotto che il contratto di mutuo ipotecario conterrebbe clausole abusive che lo rendevano invalido, cosicché la Bank M. avrebbe percepito senza fondamento giuridico le rate mensili del mutuo.
15 Secondo A.S., utilizzando, dal 1º ottobre 2011 al 31 dicembre 2020, PLN 7 769,06 (circa EUR 1 700), corrispondenti alle rate mensili versate nel periodo compreso tra il mese di giugno 2011 e il mese di settembre 2011, la Bank M. avrebbe realizzato un profitto pari a PLN 7 321,51 (circa EUR 1 600). Di conseguenza, A.S. ha chiesto alla Banca M. il pagamento della metà di tale importo, ossia PLN 3 660,76 (circa EUR 800), spettando l’altra metà alla moglie E.S., che non è parte nel procedimento principale.
16 Nel suo controricorso, depositato il 1º luglio 2021, la Bank M. chiede che il ricorso di A.S. sia respinto, affermando che il contratto di mutuo ipotecario non dovrebbe essere dichiarato nullo in quanto esso non conterrebbe clausole abusive e che, in ogni caso, qualora detto contratto dovesse essere dichiarato nullo, esclusivamente la Bank M. e non A.S. avrebbe il diritto di chiedere il pagamento di un credito a titolo di utilizzo del capitale senza fondamento giuridico.
17 Il Sad Rejonowy dla Warszawy – Sródmiescia w Warszawie (tribunale circondariale di Varsavia centro, Varsavia, Polonia), giudice del rinvio, osserva che A.S. contesta le clausole contenute nell’articolo 2, paragrafo 2, e nell’articolo 7, paragrafo 1, del contratto di mutuo ipotecario, secondo le quali la conversione dei franchi svizzeri in zloty polacchi e degli zloty polacchi in franchi svizzeri, per quanto riguarda il capitale e le rate mensili del mutuo, è effettuata utilizzando il tasso di cambio determinato dalla Bank M. (clausole dette di «conversione»).
18 Tale giudice spiega, da un lato, che le clausole di conversione come quelle di cui trattasi nel procedimento principale sono uniformemente considerate, dai giudici polacchi, come clausole contrattuali illecite e che esse sono state iscritte nel registro delle clausole illecite presso il presidente dell’Urzad Ochrony Konkurencji i Konsumentów (Ufficio per la tutela della concorrenza e dei consumatori, Polonia).
19 Dall’altro lato, il giudice del rinvio rileva che la giurisprudenza nazionale non è ancora unanime sulla questione degli effetti della presenza di siffatte clausole di conversione abusive in un contratto di mutuo ipotecario. Tuttavia, a partire dalla sentenza Dziubak (C-260/18, EU:C:2019:819), pronunciata il 3 ottobre 2019, la tesi secondo cui l’inserimento di clausole di questo tipo in un contratto di mutuo rende invalido tale contratto prevale chiaramente nella giurisprudenza nazionale.
20 Per quanto riguarda le conseguenze dell’annullamento di un contratto nel diritto nazionale, il giudice del rinvio precisa che un contratto dichiarato invalido è considerato come mai concluso (invalidità ex tunc). Una volta che le parti hanno eseguito determinate prestazioni sulla base di tale contratto, esse possono chiederne il rimborso in quanto si tratta di prestazioni indebite.
21 Più precisamente, il giudice del rinvio spiega che, da un lato, la banca può pretendere dal mutuatario il rimborso dell’equivalente del capitale del prestito concessole e, dall’altro, il mutuatario può chiedere alla banca il rimborso dell’equivalente delle rate mensili del mutuo versate nonché delle spese percepite dalla banca. Tale giudice precisa che ciascuna parte può altresì esigere il pagamento di interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla data della richiesta formale.
22 Tuttavia, il giudice del rinvio sottolinea che la giurisprudenza nazionale non è uniforme per quanto riguarda la questione se le parti di un contratto di mutuo invalido possano chiedere, oltre al pagamento degli importi elencati al punto 21 della presente sentenza, il pagamento di altri importi in ragione dell’utilizzo di fondi per un certo periodo privo di fondamento giuridico. Le basi giuridiche più spesso dedotte dalle parti a sostegno di tali pretese sarebbero l’arricchimento senza causa e il rimborso di una prestazione indebita.
23 Secondo tale giudice, la Corte non si è ancora pronunciata, alla luce della direttiva 93/13, sulla facoltà per le parti di un contratto di mutuo dichiarato invalido di chiedere il rimborso di importi eccedenti gli importi da esse rispettivamente versati in esecuzione di tale contratto.
24 Il giudice del rinvio ritiene che non possa essere ammessa alcuna pretesa della banca ulteriore rispetto al rimborso del capitale del mutuo versato al consumatore (nonché, se del caso, gli interessi legali di mora a decorrere dalla domanda formale), salvo compromettere gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 93/13. Secondo tale giudice, poiché la nullità del contratto di mutuo deriva dal comportamento della banca, che si è avvalsa di clausole abusive, è necessario impedire che essa tragga vantaggio dal suo comportamento, che è contrario non solo alla direttiva 93/13 ma, altresì, alla buona fede e al buon costume. La concessione di un profitto ai professionisti che si siano avvalsi di clausole abusive contrasterebbe altresì con la necessità di preservare l’effetto dissuasivo del divieto di siffatte clausole previsto dalla direttiva 93/13.
25 Pertanto, secondo il giudice del rinvio, ammettere una soluzione del genere comporterebbe che un consumatore, che ha preso conoscenza dell’esistenza di una clausola abusiva, preferisca proseguire l’esecuzione del contratto piuttosto che far valere i propri diritti, in quanto la nullità del contratto potrebbe esporlo a conseguenze finanziarie negative, come il pagamento di un corrispettivo per l’utilizzo del capitale.
26 Per contro, per quanto riguarda il consumatore, il giudice del rinvio osserva che la possibilità per quest’ultimo di esigere il pagamento di importi superiori alle rate mensili che egli ha versato alla banca e, eventualmente, di interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla richiesta formale, spese, commissioni e premi assicurativi non sembra contraria al principio di effettività.
27 Tuttavia, secondo tale giudice, consentire ai consumatori di esigere dai professionisti il pagamento di tali importi, a titolo dell’utilizzo senza fondamento giuridico dell’importo delle rate mensili, equivarrebbe ad imporre una sanzione sproporzionata ai professionisti.
28 Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che i possibili fondamenti giuridici di tali domande da parte dei consumatori abbiano natura molto simile, con la conseguenza che non sarebbe giustificato creare la possibilità di pretendere contemporaneamente tanti crediti, pena la violazione del principio di proporzionalità. Secondo tale giudice, concedere una siffatta facoltà contrasterebbe altresì con il principio della certezza del diritto, che deve essere inteso nel senso che, se un contratto di mutuo è dichiarato invalido nella sua interezza, le due parti sono obbligate a rimborsare tutte le prestazioni in denaro fornite in esecuzione di tale contratto, esclusa qualsiasi altra pretesa.
29 In tali circostanze, il Sad Rejonowy dla Warszawy – Sródmiescia w Warszawie (tribunale circondariale di Varsavia centro, Varsavia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 (...) nonché i principi di efficacia, certezza del diritto e proporzionalità, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad un’interpretazione giurisprudenziale della normativa nazionale secondo la quale, nel caso in cui un contratto di mutuo concluso tra una banca e un consumatore sia dichiarato nullo fin dall’inizio per il fatto di contenere clausole abusive, le parti, oltre al rimborso del denaro versato in sede di esecuzione di tale contratto (la banca – il capitale accreditato, il consumatore – le rate, le spese, le commissioni ed i premi assicurativi) e agli interessi legali di mora dovuti dal momento della richiesta di pagamento, possono chiedere qualsiasi altro corrispettivo (compresi, in particolare, la remunerazione, il risarcimento, il rimborso delle spese o l’indicizzazione della prestazione) dovuto per il fatto che:
1. il soggetto che ha eseguito la prestazione pecuniaria è stato temporaneamente privato della possibilità di utilizzare il proprio denaro, perdendo in questo modo la possibilità di investirlo e di trarne profitto;
2. il soggetto che ha eseguito la prestazione pecuniaria ha sostenuto costi di gestione del contratto di mutuo e di trasferimento del denaro all’altra parte;
3. il soggetto che ha ricevuto la prestazione pecuniaria ha beneficiato del fatto che poteva utilizzare temporaneamente il denaro altrui, compresa la possibilità di investirlo e quindi trarne profitto;
4. il soggetto che ha ricevuto la prestazione pecuniaria ha avuto la possibilità di utilizzare temporaneamente il denaro altrui a titolo gratuito, il che, in condizioni di mercato, non sarebbe stato possibile;
5. il potere d’acquisto del denaro è diminuito col passare del tempo, il che implica una perdita effettiva per il soggetto che ha eseguito la prestazione pecuniaria;
6. la messa a disposizione temporanea del denaro può essere considerata come fornitura di un servizio per il quale il soggetto che ha eseguito la prestazione pecuniaria non ha percepito una remunerazione».
Sulla domanda di riapertura della fase orale del procedimento
30 In seguito alla presentazione delle conclusioni dell’avvocato generale, la Bank M. ha chiesto, con atti depositati presso la cancelleria della Corte il 10 marzo 2023 e il 26 aprile 2023, che fosse disposta la riapertura della fase orale del procedimento, in applicazione dell’articolo 83 del regolamento di procedura della Corte.
31 A sostegno della sua domanda, la Bank M. afferma che, in primo luogo, le conclusioni dell’avvocato generale e, in particolare, le sue osservazioni di cui ai paragrafi 17, 19, 28, 29, 61, 62 e 66, non consentirebbero di comprendere la portata delle pretese del professionista e del consumatore, il che impedirebbe di applicare correttamente i principi di proporzionalità ed effettività.
32 In secondo luogo, la Bank M. si interroga sulla possibilità che i consumatori che hanno contratto un mutuo ipotecario in Polonia siano posti in una situazione più favorevole rispetto a quelli che hanno contratto un siffatto mutuo in un altro Stato membro, nell’ipotesi in cui essi ottengano il diritto di reclamare, oltre al rimborso delle rate mensili e delle spese, altri diritti nei confronti della banca.
33 In terzo luogo, la Bank M. critica talune osservazioni contenute nelle conclusioni dell’avvocato generale.
34 In quarto e ultimo luogo, la Bank M. sostiene che la fase orale dovrebbe essere riaperta per consentire alla Corte di chiarire l’impatto della sentenza del 21 marzo 2023 Mercedes-Benz Group (Responsabilità dei produttori di veicoli muniti di impianti di manipolazione) (100/21, EU:C:2023:229), sulla controversia di cui al procedimento principale.
35 A tale riguardo occorre ricordare, da un lato, che lo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e il regolamento di procedura non prevedono la facoltà, per gli interessati di cui all’articolo 23 di tale Statuto, di formulare osservazioni in risposta alle conclusioni presentate dall’avvocato generale [sentenza del 21 marzo 2023 Mercedes-Benz Group (Responsabilità dei produttori di veicoli muniti di impianti di manipolazione) C-100/21, EU:C:2023:229, punto 43 e giurisprudenza ivi citata].
36 Dall’altro, ai sensi dell’articolo 252, secondo comma, TFUE, l’avvocato generale presenta pubblicamente, con assoluta imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, richiedono il suo intervento. La Corte non è vincolata né a tali conclusioni né alle motivazioni attraverso le quali l’avvocato generale giunge a formularle. Di conseguenza, il disaccordo di una parte con le conclusioni dell’avvocato generale, qualunque siano le questioni da esso ivi esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la riapertura della fase orale del procedimento [sentenza del 21 marzo 2023, Mercedes-Benz Group (Responsabilità dei produttori di veicoli muniti di impianti di manipolazione), C-100/21, EU:C:2023:229, punto 44 e giurisprudenza ivi citata].
37 È vero che, conformemente all’articolo 83 del regolamento di procedura, la Corte, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, può disporre la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa deve essere decisa sulla base di un argomento che non è stato oggetto di discussione tra gli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.
38 Tuttavia, nel caso di specie, la Corte rileva che essa dispone di tutti gli elementi necessari per statuire e che la presente causa non deve essere decisa sulla base di argomenti che non siano stati oggetto di discussione tra gli interessati. Infine, la domanda di riapertura della fase orale del procedimento, di cui al punto 30 della presente sentenza, non rivela alcun fatto nuovo che possa avere un’influenza decisiva sulla decisione che la Corte è chiamata ad adottare in tale causa.
39 Ciò considerato, la Corte giudica, sentito l’avvocato generale, che non occorre disporre la riapertura della fase orale del procedimento.
Sulla questione pregiudiziale
Sulla ricevibilità della questione sollevata e sulla competenza della Corte a risolverla
40 Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio ha evocato la ricevibilità della questione da esso sottoposta alla Corte, dal momento che tale questione riguarda tanto le pretese del consumatore quanto quelle della banca, nell’ipotesi in cui un contratto di mutuo ipotecario sia dichiarato invalido, mentre tale giudice è investito unicamente di una domanda proposta dal consumatore.
41 Occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della futura sentenza, valutare, alla luce delle particolari circostanze della controversia, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale affinché possa rendere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, qualora le questioni sollevate riguardino l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte è, in linea di principio, tenuta a pronunciarsi (sentenza del 13 ottobre 2022, Baltijas Starptautiska Akademija e Stockholm School of Economics in Riga, C-164/21 e C-318/21, EU:C:2022:785, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).
42 Ne consegue che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione godono di una presunzione di rilevanza. La Corte si può astenere dal pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale soltanto qualora risulti manifestamente che l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione non presenta alcun nesso con la realtà o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte oppure qualora il problema sia di natura teorica (sentenza del 13 ottobre 2022, Baltijas Starptautiska Akademija e Stockholm School of Economics in Riga, C-164/21 e C-318/21, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
43 Nel caso di specie, nei limiti in cui una parte della questione pregiudiziale verte sulle pretese del professionista nei confronti del consumatore mentre, nel caso di specie, nessuna domanda in tal senso era stata formulata dalla Bank M. alla data in cui la domanda di pronuncia pregiudiziale è stata formulata, il giudice del rinvio ritiene che la ricevibilità di tale parte della questione pregiudiziale sia giustificata, in primo luogo, dalla circostanza che l’annullamento di un contratto ex tunc implica la restituzione di prestazioni indebite fornite da ciascuno dei due contraenti, cosicché la risposta all’intera questione pregiudiziale gli è necessaria per statuire sulle eventuali eccezioni che il professionista potrebbe sollevare al fine di opporsi alla domanda del consumatore.
44 In secondo luogo, tale giudice informa la Corte che, secondo l’interpretazione prevalente nella giurisprudenza nazionale, se le due controparti contrattuali hanno fornito prestazioni indebite della stessa natura e le loro prestazioni derivano dallo stesso rapporto giuridico, solo la parte che ha percepito la prestazione più importante può essere considerata arricchitasi in modo ingiustificato. Di conseguenza, nel procedimento principale detto giudice sarebbe, in ogni caso, obbligato ad analizzare la fondatezza delle pretese delle due controparti contrattuali.
45 In terzo e ultimo luogo, questo stesso giudice ritiene che la mancata soluzione della questione pregiudiziale nel suo complesso pregiudicherebbe l’effetto dissuasivo della direttiva 93/13, in quanto le banche operanti in Polonia minacciano pubblicamente i consumatori di gravi conseguenze nel caso in cui scelgano di far valere l’invalidità del loro contratto di mutuo ipotecario, per il fatto che tali professionisti farebbero valere nei confronti dei consumatori pretese relative all’utilizzo extracontrattuale del capitale da parte di questi ultimi.
46 Inoltre, all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 12 ottobre 2022, la Bank M. ha informato la Corte di aver avviato un procedimento separato per chiedere un risarcimento ad A.S. per l’utilizzo extracontrattuale del capitale prestato. Tale procedimento sarebbe, tuttavia, sospeso fino alla conclusione del presente procedimento dinanzi alla Corte.
47 Nella fattispecie, come rilevato dall’Avvocato generale ai paragrafi da 31 a 33 delle sue conclusioni, il caso di specie non rientra in nessuna delle situazioni elencate al punto 42 della presente sentenza, in cui la presunzione di rilevanza di una questione pregiudiziale può essere ribaltata. Infatti, dalle spiegazioni fornite alla Corte, riassunte ai punti da 43 a 46 della presente sentenza, emerge chiaramente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta, nella misura in cui riguarda le domande di risarcimento della banca che vanno oltre la restituzione del capitale in caso di invalidità di un contratto di mutuo ipotecario presentano un nesso con l’oggetto del procedimento principale, in quanto il giudice nazionale potrà essere chiamato a esaminare, eventualmente d’ufficio, tali domande. Inoltre, la Corte dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari per rispondere in modo utile alla questione sollevata. Di conseguenza, la questione sollevata è ricevibile.
48 Inoltre, occorre ricordare che spetta al giudice nazionale indicare alle parti, nell’ambito delle norme processuali nazionali e alla luce del principio di equità nei procedimenti civili, in modo oggettivo ed esaustivo, le conseguenze giuridiche che può comportare l’eliminazione della clausola abusiva, e ciò indipendentemente dal fatto che esse siano o meno rappresentate da un professionista (sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C-19/20, EU:C:2021:341, punto 97).
49 Una siffatta informativa è, in particolare, ancora più importante, quando la disapplicazione della clausola abusiva può comportare l’annullamento dell’intero contratto, esponendo eventualmente il consumatore a domande di restituzione (v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2021, Bank BPH, C-19/20, EU:C:2021:341, punto 98).
50 Nel caso di specie, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che la controversia dinanzi al giudice del rinvio riguarda precisamente le conseguenze giuridiche che può comportare l’annullamento integrale del contratto di mutuo ipotecario, in ragione del fatto che quest’ultimo non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive, cosicché la risposta alla parte della questione pregiudiziale che riguarda le pretese del professionista nei confronti del consumatore è necessaria al fine di consentire al giudice del rinvio di adempiere il suo obbligo di informare A.S. di siffatte conseguenze.
51 Inoltre, la Bank M. ha sostenuto che la Corte non è competente a rispondere a tale questione in quanto essa riguarda gli effetti dell’annullamento di un contratto, che sono disciplinati non dalla direttiva 93/13, ma da varie disposizioni di diritto nazionale, la cui interpretazione rientra nella competenza esclusiva dei giudici nazionali.
52 A tale proposito, sebbene sia pacifico che, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale, non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione delle disposizioni di diritto nazionale o decidere se la loro interpretazione da parte del giudice del rinvio sia corretta, poiché tale interpretazione ricade nella competenza esclusiva dei giudici nazionali (v., in tal senso, sentenza del 3 luglio 2019, UniCredit Leasing, C-242/18, EU:C:2019:558, punto 47 e giurisprudenza ivi citata), è pur vero che, come ha constatato l’avvocato generale, al paragrafo 35 delle sue conclusioni, la questione pregiudiziale non riguarda l’interpretazione del diritto polacco, bensì l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, nonché dei principi di effettività, certezza del diritto e proporzionalità.
53 Di conseguenza, la Corte è competente a rispondere alla questione sollevata ed essa è ricevibile.
Nel merito
Osservazioni preliminari
54 Secondo costante giurisprudenza, il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C-70/17 e C-179/17, EU:C:2019:250, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
55 In considerazione di tale situazione di inferiorità, la direttiva 93/13 obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di una trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale natura abusiva. In tale contesto, spetta al giudice nazionale accertare, alla luce dei criteri enunciati all’articolo 3, paragrafo 1, e all’articolo 5 della direttiva 93/13, se, date le circostanze proprie del caso di specie, una clausola di tal genere soddisfi i requisiti di buona fede, equilibrio e trasparenza posti dalla direttiva medesima (sentenza del 26 marzo 2019, Abanca Corporación Bancaria e Bankia, C-70/17 e C-179/17, EU:C:2019:250, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
56 Data la natura e l’importanza dell’interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima direttiva, di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori. A tal fine, spetta ai giudici nazionali escludere l’applicazione delle clausole abusive affinché non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore, tranne nel caso in cui quest’ultimo vi si opponga [sentenza del 10 giugno 2021, BNP Paribas Personal Finance, da C-776/19 a C-782/19, EU:C:2021:470, punto 36 e giurisprudenza ivi citata, nonché, in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2022, D.B.P. e a. (Credito ipotecario espresso in valute estere), da C-80/21 a C-82/21, EU:C:2022:646, punto 58 e giurisprudenza ivi citata].
57 Una clausola contrattuale dichiarata abusiva deve, pertanto, essere considerata, in linea di principio, come se non fosse mai esistita, cosicché non può produrre effetti nei confronti del consumatore. Pertanto, l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola del genere, in linea di massima, deve produrre la conseguenza di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza di detta clausola (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 61).
58 A tale proposito, la Corte ha precisato che l’obbligo in capo al giudice nazionale di disapplicare una clausola contrattuale abusiva che prescriva il pagamento di importi che si rivelino indebiti implica, in linea di principio, un corrispondente effetto restitutorio per quanto riguarda gli importi in parola, in quanto l’assenza di un tale effetto potrebbe compromettere l’effetto dissuasivo che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, intende collegare alla constatazione del carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti conclusi con i consumatori da un professionista (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punti 62 e 63).
59 Occorre altresì ricordare che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 esige che gli Stati membri prevedano che le clausole abusive non vincolino i consumatori «alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali» (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).
60 Cionondimeno, la circostanza che la tutela garantita dalla direttiva 93/13 ai consumatori sia regolata dal diritto nazionale non può modificare la portata né, di riflesso, la sostanza di tale tutela, rimettendo in questione il rafforzamento dell’efficacia di detta tutela tramite adozione di norme uniformi in merito alle clausole abusive, che è stato voluto dal legislatore dell’Unione, come emerge dal decimo considerando della direttiva 93/13 (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 65).
61 Di conseguenza, per quanto spetti agli Stati membri, mediante le loro legislazioni nazionali, definire le modalità per dichiarare il carattere abusivo di una clausola contenuta in un contratto, nonché le modalità con cui si realizzano i concreti effetti giuridici di tale dichiarazione, quest’ultima deve tuttavia consentire di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato se tale clausola abusiva non fosse esistita, fondando, in particolare, un diritto alla restituzione dei benefici che il professionista abbia indebitamente acquisito a discapito del consumatore avvalendosi di tale clausola abusiva (sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a., C-154/15, C-307/15 e C-308/15, EU:C:2016:980, punto 66).
62 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare la questione pregiudiziale.
Sulla questione pregiudiziale
63 Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se, nel contesto dell’annullamento di un contratto di mutuo ipotecario nella sua interezza per il motivo che quest’ultimo non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive, l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 debbano essere interpretati nel senso che:
– essi ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo la quale il consumatore ha il diritto di chiedere all’istituto di credito una compensazione che vada oltre il rimborso delle rate mensili versate e delle spese pagate per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento; e,
– essi ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo la quale l’istituto di credito ha il diritto di chiedere al consumatore una compensazione che vada oltre il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domnada di pagamento.
64 Occorre constatare che la direttiva 93/13 non disciplina espressamente le conseguenze derivanti dall’invalidità di un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore dopo l’eliminazione delle clausole abusive in esso contenute, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 44 delle sue conclusioni. Pertanto, spetta agli Stati membri determinare le conseguenze che comporta una siffatta constatazione, fermo restando che le norme da essi stabilite al riguardo devono essere compatibili con il diritto dell’Unione e, in particolare, con gli obiettivi perseguiti da tale direttiva.
65 Inoltre, come osservato al punto 57 della presente sentenza, una clausola contrattuale dichiarata «abusiva» deve essere considerata, in linea di principio, come se non fosse mai esistita, in modo che essa non possa avere alcun effetto sul consumatore. Pertanto, l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una siffatta clausola deve, in linea di principio, avere come conseguenza il ripristino della situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato in mancanza di tale clausola, dando, in particolare, fondamento alla restituzione dei benefici che il professionista abbia indebitamente acquisito a discapito del consumatore, avvalendosi di tale clausola abusiva. (v., in tal senso, sentenza del 31 marzo 2022, Lombard Lízing, C-472/20, EU:C:2022:242, punti 50 e 55 e giurisprudenza ivi citata).
66 Nei limiti in cui, come risulta dalla giurisprudenza citata al punto 58 della presente sentenza, l’assenza di un tale effetto potrebbe compromettere l’effetto dissuasivo che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva, intende ricollegare all’accertamento del carattere abusivo delle clausole contenute nei contratti conclusi con i consumatori da un professionista, si deve riconoscere un siffatto effetto restitutorio qualora il carattere abusivo di clausole di un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista comporti non solo la nullità di tali clausole, ma anche l’invalidità di tale contratto nella sua interezza.
67 Inoltre, dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando di quest’ultima, risulta che tale direttiva ha altresì l’obiettivo di dissuadere i professionisti dall’utilizzare clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
68 Ne consegue che la compatibilità con il diritto dell’Unione di norme nazionali che disciplinano le conseguenze pratiche della dichiarazione di nullità di un contratto di mutuo ipotecario in ragione della presenza di clausole abusive dipende dalla questione se tali norme, da un lato, consentano di ripristinare in diritto e in fatto la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale contratto e, dall’altro, non compromettano l’effetto dissuasivo perseguito dalla direttiva 93/13.
69 Nel caso di specie, per quanto riguarda, in primo luogo, la facoltà, per un consumatore, di reclamare, in caso di annullamento di un contratto di mutuo ipotecario, crediti che eccedono il rimborso delle rate mensili versate e delle spese pagate per l’esecuzione di tale contratto nonché, se del caso, il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento, non risulta, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, che una siffatta facoltà comprometta gli obiettivi menzionati al punto 68 della presente sentenza.
70 A tale proposito, spetta al giudice del rinvio esaminare, alla luce di tutte le circostanze della controversia di cui è investito, se le norme nazionali pertinenti consentano il ripristino, in diritto e in fatto, della situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale contratto.
71 Per quanto riguarda l’effetto dissuasivo perseguito dall’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, occorre rilevare che la facoltà menzionata al punto 69 della presente sentenza può contribuire a dissuadere i professionisti dall’inserire clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in quanto l’inserimento di siffatte clausole comportanti la nullità di un contratto nella sua interezza potrebbe causare conseguenze finanziarie superiori alla restituzione degli importi versati dal consumatore e, se del caso, al pagamento di interessi di mora.
72 Occorre aggiungere che l’adozione, da parte del giudice competente, di provvedimenti come quelli di cui al punto 69 della presente sentenza non può essere considerata contraria al principio di certezza del diritto, in quanto costituisce l’attuazione concreta del divieto di clausole abusive previsto dalla direttiva 93/13.
73 Peraltro, il principio di proporzionalità, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, esige che la normativa nazionale che attua tale diritto non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi perseguiti (v., in tal senso, sentenze del 14 marzo 2013, Aziz, C-415/11, EU:C:2013:164, punto 74, e dell’8 dicembre 2022, BTA Baltic Insurance Company, C-769/21, EU:C:2022:973, punto 34). Di conseguenza, spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia principale, se, e in quale misura, il fatto di accogliere le pretese del consumatore, come quelle di cui al punto 69 della presente sentenza, ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi menzionati al punto 68 della presente sentenza.
74 Ne consegue che, nel contesto dell’annullamento di un contratto di mutuo ipotecario nella sua interezza per il motivo che quest’ultimo non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive ivi contenute, la direttiva 93/13 non osta a un’interpretazione del diritto nazionale, secondo la quale il consumatore ha il diritto di chiedere all’istituto di credito una compensazione eccedente il rimborso delle rate mensili versate e delle spese pagate a titolo dell’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento, purché gli obiettivi della direttiva 93/13 e il principio di proporzionalità siano rispettati.
75 In secondo luogo, per quanto riguarda le pretese del professionista nei confronti del consumatore, occorre rilevare che, al pari della facoltà, per un consumatore, di reclamare crediti derivanti dalla dichiarazione di nullità del contratto di mutuo ipotecario, siffatte pretese potrebbero essere ammesse solo qualora non compromettano gli obiettivi evocati al punto 68 della presente sentenza.
76 Orbene, concedere a un istituto di credito il diritto di chiedere al consumatore un compenso che superi il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto nonché, eventualmente, il pagamento di interessi di mora potrebbe rimettere in discussione l’effetto dissuasivo perseguito dalla direttiva 93/13, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 60 delle sue conclusioni.
77 La Corte ha già avuto l’opportunità di precisare, in un altro contesto, che se il giudice nazionale avesse il potere di revisionare il contenuto delle clausole abusive contenute in un simile contratto, una facoltà del genere potrebbe compromettere la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della direttiva 93/13. Difatti, tale facoltà contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dalla pura e semplice disapplicazione, nei confronti del consumatore, di siffatte clausole abusive, dal momento che essi rimarrebbero tentati di utilizzare dette clausole, consapevoli che, quand’anche fossero invalidate, il contratto potrebbe nondimeno essere integrato, per quanto necessario, dal giudice nazionale, in modo tale, quindi, da garantire l’interesse dei suddetti professionisti (sentenza del 14 giugno 2012, Banco Español de Crédito, C-618/10, EU:C:2012:349, punto 69).
78 Analogamente, un’interpretazione del diritto nazionale secondo la quale l’istituto di credito avrebbe il diritto di chiedere al consumatore una compensazione che ecceda il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto e, pertanto, di ricevere una remunerazione per l’utilizzo di tale capitale da parte del consumatore, contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti dall’annullamento di detto contratto.
79 Peraltro, l’effettività della tutela conferita ai consumatori dalla direttiva 93/13 sarebbe compromessa se questi ultimi, quando reclamano i loro diritti derivanti da tale direttiva, fossero esposti al rischio di dover pagare un siffatto compenso. Come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 61 delle sue conclusioni, una tale interpretazione rischierebbe di creare situazioni in cui sarebbe più vantaggioso, per il consumatore, proseguire l’esecuzione del contratto contenente una clausola abusiva piuttosto che esercitare i diritti che trae dalla suddetta direttiva.
80 Tale ragionamento non può essere messo in discussione dall’argomento della Bank M. secondo cui, in assenza della facoltà per i professionisti di chiedere una compensazione eccedente il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto nonché, eventualmente, il pagamento di interessi di mora, i consumatori otterrebbero un prestito «gratuito». Esso non può essere messo in discussione neppure dall’argomento della Bank M. e della Przewodniczacy Komisji Nadzoru Finansowego (presidente della Commissione di vigilanza finanziaria, Polonia), secondo cui la stabilità dei mercati finanziari sarebbe minacciata se non fosse consentito alle banche di chiedere ai consumatori una siffatta compensazione.
81 A tale proposito. in primo luogo, conformemente al principio nemo auditur propriam turpitudinem allegans (nessuno può trarre vantaggio dal proprio comportamento illecito), non si può ammettere né che una parte tragga vantaggi economici dal suo comportamento illecito, né che quest’ultima sia risarcita per gli svantaggi provocati da un siffatto comportamento.
82 Nel caso di specie, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 58 delle sue conclusioni, l’eventuale annullamento del contratto di mutuo ipotecario è una conseguenza dell’impiego di clausole abusive da parte della Bank M. Pertanto, essa non può essere risarcita per la perdita di un profitto analogo a quello che sperava di trarre da detto contratto.
83 In secondo luogo, come sostenuto dall’avvocato generale al paragrafo 63 delle sue conclusioni, l’argomento relativo alla stabilità dei mercati finanziari non è rilevante nell’ambito dell’interpretazione della direttiva 93/13, che mira a tutelare i consumatori. Peraltro, non si può ammettere che i professionisti possano eludere gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 93/13 per un motivo di salvaguardia della stabilità dei mercati finanziari. Infatti, spetta agli istituti bancari organizzare le loro attività in modo conforme a tale direttiva.
84 Di conseguenza, nel contesto dell’annullamento di un contratto di mutuo ipotecario nella sua interezza per il motivo che quest’ultimo non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive in esso contenute, la direttiva 93/13 osta ad un’interpretazione del diritto nazionale secondo la quale l’istituto di credito ha il diritto di chiedere al consumatore una compensazione eccedente il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento.
85 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla questione posta dichiarando che nel contesto dell’annullamento di un contratto di mutuo ipotecario nella sua interezza per il motivo che quest’ultimo non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive, l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che:
– essi non ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo la quale il consumatore ha il diritto di chiedere all’istituto di credito una compensazione che vada oltre il rimborso delle rate mensili versate e delle spese pagate per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento, purché gli obiettivi della direttiva 93/13 e il principio di proporzionalità siano rispettati; e
– essi ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo la quale l’istituto di credito ha il diritto di chiedere al consumatore una compensazione che vada oltre il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento.
Sulle spese
86 Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
Nel contesto dell’annullamento di un contratto di mutuo ipotecario nella sua interezza per il motivo che quest’ultimo non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive,
l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori,
devono essere interpretati nel senso che:
– essi non ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo la quale il consumatore ha il diritto di chiedere all’istituto di credito una compensazione che vada oltre il rimborso delle rate mensili versate e delle spese pagate per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento, purché gli obiettivi della direttiva 93/13 e il principio di proporzionalità siano rispettati; e
– essi ostano a un’interpretazione giurisprudenziale del diritto nazionale secondo la quale l’istituto di credito ha il diritto di chiedere al consumatore una compensazione che vada oltre il rimborso del capitale versato per l’esecuzione di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda di pagamento.