Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Roma con sentenza dell’11 luglio 2019 ha rigettato l’impugnazione avverso la sentenza del Tribunale della stessa città del 28 giugno 2017, che aveva respinto tutte le domande proposte da G. G. P. contro i fratelli M., M. e A., nonché contro la S., quale ulteriore interposta di M. P., domande così articolate, secondo quanto riportato in ricorso: «a) accertare e dichiarare che G. G. P. D. è titolare a far data dal gennaio 2006 del 25% delle quote della società E. s.r.l. (…) e per l’effetto condannare i convenuti, ciascuno pro quota, a consegnare il 25% delle quote della società E. all’attrice, disponendo ogni più opportuno provvedimento, anche in ordine alla iscrizione della sentenza nel registro delle imprese; b) condannare conseguentemente i convenuti pro quota a restituire all’attrice la quota parte degli utili percepiti dalla società E. a far data dal gennaio 2006, oltre interessi e rivalutazione; c) in via subordinata, condannare A., M. e M. P. D. in solido al risarcimento del danno in favore di G. P. nella misura di € 20.000.00,00, ovvero in quella anche maggiore che sarà accertata in corso di causa oltre interessi e rivalutazioni».
L’azione mirava, pertanto, all’accertamento della previa intestazione fiduciaria delle quote di partecipazione nella E. s.r.l. ad una pluralità di soggetti interposti e alla declaratoria della titolarità del 25% della stessa in capo alla fiduciante, con la condanna dei convenuti alla consegna della partecipazione e alla restituzione degli utili conseguiti dal 2006, nonché, in via subordinata, al risarcimento del danno.
La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che:
a) la domanda principale di accertamento dell’intestazione fiduciaria della quota di partecipazione nella E. s.r.l., con la declaratoria della titolarità del 25% in capo alla fiduciante e la condanna dei convenuti alla restituzione sia della quota, sia degli utili proporzionali conseguiti dal 2006, meritava il rigetto, sulla base dei seguenti argomenti: i) l’attrice aveva sempre dedotto la sussistenza di un’intestazione fiduciaria dell’intero capitale sociale della E. s.r.l., di cui erano fiducianti i quattro fratelli, alla B. Ltd.: dal momento che l’intestazione fiduciaria comporta un’interposizione reale nella titolarità delle quote, la P. non era essa stessa socia di E. s.r.l., come invece pretendeva, e ciò sino al 12 gennaio 2006, sin a quando cioè la B. Ltd. aveva detenuto fiduciariamente le partecipazioni sociali; neppure l’alienazione delle quote da questa società in tale data agli altri tre fiducianti poteva determinare il trasferimento del 25% del capitale alla quarta sorella; da ciò, la Corte territoriale ha tratto la conseguenza del rigetto della domanda principale; ii) è vero che la condotta della fiduciaria B. Ltd. poteva in astratto integrare violazione del pactum fiduciae, in concorso con gli altri tre fratelli: ma la violazione del patto fiduciario nel gennaio 2006, quando la fiduciante aveva trasferito soltanto a questi ultimi e non alla P. la sua quota, non poteva valere comunque a renderla titolare della quota medesima;
b) la domanda subordinata di risarcimento del danno andava, del pari, disattesa: infatti, era emerso che il capitale sociale di E. s.r.l., attraverso una catena di società interposte, era detenuto da vari soggetti (ossia dalla D. s.r.l., interamente partecipata da W.H., a sua volta nella intera titolarità di M.F., dante causa dei figli); che il 22 giugno 2004 la D. s.r.l. aveva ceduto l’intera partecipazione alla B. Ltd., il cui capitale apparteneva formalmente ad A. J. S., come risultava dalla denuncia penale sporta dal dante causa contro i tre figli; emergeva, inoltre, da molti documenti in atti che pure G. P. era fiduciante delle partecipazioni, insieme agli altri tre fratelli, essendo interposto fiduciario finale lo S.. Pertanto, non essendo fiduciaria la B. Ltd., ma lo S., ha ritenuto il decidente non accoglibile la domanda di risarcimento del danno, proposta dalla predetta contro i fratelli, per la condotta in sostanza posta in essere dalla società allorché questa fraudolentemente aveva trasferito loro l’intera partecipazione in E. s.r.l.; semmai, la vicenda avrebbe potuto fondare una domanda di risarcimento del danno contro gli amministratori di B. Ltd., anche in concorso con i tre fratelli, ma tale domanda non era stata proposta;
c) ogni altra questione era assorbita, ivi compresa la doglianza sulla mancata ammissione della prova per interrogatorio formale e per testimoni, essendo diretta a provare solo che il capitale sociale di B. Ltd. apparteneva, in misura paritaria, ai quattro fratelli, circostanza già dimostrata in giudizio a mezzo di documenti.
Contro questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dalla soccombente, affidato a tre motivi, illustrati anche dalla memoria.
Si difendono con controricorso M. P. e la S. LLC, del pari depositando memoria, mentre gli altri sono rimasti intimati.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché dei principî di buona fede e del divieto di abuso del diritto, avendo la Corte del merito esposto una motivazione contraddittoria e mancato di cogliere il significato del complessivo negozio, posto in essere tra le parti, fino a giungere in tal modo ad una sostanziale omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della intestazione fiduciaria plurima proposta.
Ha ribadito di avere dedotto, già dal proprio atto introduttivo, l’esistenza di un’intestazione fiduciaria delle quote della E. s.r.l., società titolare di un ingente patrimonio e in titolarità paritaria tra i quattro fratelli, ad una serie di altre società, sino alla intestazione delle quote ad una società inglese, la B. Ltd., del cui capitale, appartenente formalmente ad una persona fisica (lo S.), i quattro fratelli erano gli effettivi proprietari; peraltro nel 2006, illecitamente, tre di loro avevano ottenuto l’intestazione a proprio favore dell’intero capitale sociale della E. s.r.l., estromettendone la quarta sorella. Sulla base di tali fatti, essa aveva dunque chiesto l’accertamento dell’esistenza della pluralità di intestazioni fiduciarie e della finale violazione degli accordi intercorsi ad opera dei tre fratelli, con l’accertamento della propria titolarità sostanziale di un quarto del capitale sociale della E.
s.r.l. e la condanna dei fratelli alla restituzione. Ma tali domande non erano state nella sostanza decise.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 2384 c.c., 112 e 115 c.p.c., nonché omesso esame di fatti decisivi, per avere la Corte del merito mancato di decidere anche la domanda risarcitoria proposta ed esposto una motivazione contraddittoria. Invero la Corte, dopo avere accertato e ricostruito la sussistenza dell’intestazione fiduciaria di tutto il capitale sociale di E. s.r.l. alla B. Ltd., di cui era unico socio A. J. S., e accertato l’esistenza di un ulteriore incarico fiduciario da questi svolto per conto di tutti e quattro i fratelli, allorché fu reso unico socio di B. Ltd., tuttavia, nel seguito del suo ragionamento ed esponendo una motivazione intrinsecamente contraddittoria, aveva poi affermato che non sarebbe stata proposta la corretta domanda di risarcimento del danno verso i fratelli e ciò per il solo fatto dell’ulteriore interposizione dello S.: la quale non avrebbe, tuttavia, dovuto distogliere dalla sostanza del fenomeno, avendo pur sempre i fratelli illecitamente violato gli accordi fra di loro intercorsi. In sostanza, aveva errato la sentenza impugnata nel ritenere ostativa all’accoglimento della domanda risarcitoria proposta l’intestazione ulteriore del capitale sociale di B. Ltd. allo S.: fiducianti erano sempre i fratelli, ivi compresa la ricorrente, e tale avrebbe dovuto essere dichiarata o, in subordine, essa avrebbe dovuto essere da quelli risarcita in relazione alla perdita della quota spettantele. In tal modo, la Corte territoriale aveva altresì violato i canoni ermeneutici circa il significato degli accordi che, a monte, avevano riguardato pur sempre la partecipazione sociale in E. s.r.l., posto che tali accordi, avendo ad oggetto quote societarie, non richiedevano forma scritta ad substantiam e risultavano comunque dai molti documenti in atti. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., laddove la Corte territoriale non aveva voluto neanche ammettere le prove orali, dedotte sin dal primo grado di giudizio, con l’argomento che sarebbero state irrilevanti, mirando a provare l’intestazione fiduciaria in capo a B. Ltd., da essa ritenuta già dimostrata,
ma non di rilievo per la causa.
2. – I primi due motivi, da trattare insieme in quanto volti ad esporre le medesime sostanziali censure, sono fondati, nei limiti di seguito esplicitati, con assorbimento del terzo.
La Corte territoriale ha redatto una motivazione intrinsecamente contraddittoria, nello svolgere le argomentazioni sopra sintetizzate: vizio nel contesto dei motivi denunziato, nonostante il mancato richiamo formale in epigrafe al disposto dell’art. 132 c.p.c.
In sostanza – a fronte di una domanda mirante ad ottenere l’accertamento di un’interposizione reale di persona mediante intestazioni fiduciarie plurime, aventi ad oggetto le quote rappresentative del capitale sociale di E. s.r.l. e, in particolare, la quota pari al 25% del capitale, in thesi appartenente a G. P., con le conseguenti domande di restituzione della partecipazione medesima nonché degli utili, oppure, in subordine, di condanna al risarcimento di tutti i danni così patiti – la Corte territoriale ha affermato, sì, di avere accertato, in base ai documenti in atti (che essa ha enumerato partitamente), la titolarità delle partecipazioni di E. s.r.l. in capo ai quattro fratelli – e dunque, anche alla ricorrente per il 25% del capitale sociale – ma, poi, ha omesso di trarre le conseguenze giuridiche da tale pur comprovata situazione, incomprensibilmente focalizzando e deviando la sua attenzione sullo “schermo” finale, costituito sia dalla intestazione del capitale sociale di E. s.r.l. alla B. Ltd., sia dalla partecipazione in tale società (non direttamente dei quattro fratelli, ma) di un ulteriore soggetto interposto, tale sig. S., quale unico socio, e considerando infine tale ultima interposizione preclusiva dell’accoglimento di tutte le domande proposte.
3. – Tuttavia, l’interposizione reale mediante ripetuti passaggi fiduciari ai soggetti più disparati, siano essi persone fisiche o giuridiche, è ammissibile e si inquadra nell’istituto dell’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali, non escludendo invero certamente la riconducibilità pur sempre al medesimo interponente della titolarità della quota o del pacchetto azionario di riferimento, l’esistenza di ulteriori passaggi e titolarità indirette dello stesso, purché, naturalmente, adeguatamente dimostrati.
Questa Corte ha già chiarito plurimi profili, rilevanti nel caso di specie, in ordine al tema dell’intestazione fiduciaria delle partecipazioni sociali.
Invero, come in ambito civilistico, anche per l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie vale quanto osservato in modo sintetico e descrittivo in dottrina, secondo cui la posizione del fiduciario è caratterizzata da un potere giuridico eccedente il suo scopo, dato il divario tra ciò che a lui è “giuridicamente possibile” e ciò che invece è “giuridicamente consentito”. Ciò perché l’intestazione delle partecipazioni al fiduciario è strumentale ai fini esclusivi perseguiti dal fiduciante, tipica dell’istituto essendo, inoltre, non una conflittualità ricomposta degli interessi, ma la convergenza di questi, ogni decisione venendo, di necessità, assunta nell’interesse essenziale del fiduciante (Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656).
Sulla struttura e sulla causa del negozio – superata la tesi del collegamento negoziale tra due contratti, l’uno ad effetti reali e l’altro ad effetti obbligatori diretto a modificare il risultato finale del primo – la qualificazione è come contratto unitario avente una causa propria, species del genus agire per conto altrui, in cui la causa non risiede né nel trasferimento del bene, né nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma nella combinazione dei due momenti, in vista dell’obiettivo della
c.d. spersonalizzazione della proprietà (cfr. Cass. 9 maggio 2023, n. 12353; Cass. 28 aprile 2021, n. 11226, in tema di arbitrato societario; Cass. 14 febbraio 2018, n. 3656; mentre Cass. civ sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459, pur ricordando le diverse ricostruzioni causali, afferma, al riguardo, di non prendere posizione sul punto, perché non rilevante nella soluzione della questione posta), cui non osta, del resto, neppure la remora di una proprietà temporanea, attese le numerose indicazioni in argomento emerse nel sistema (cfr. art. 2645-ter c.c. o le vendite sotto condizione o con riscatto, e così via).
Tutto ciò, grazie al supporto dogmatico offerto da un duplice ordine di considerazioni.
Da un lato, la comprensione del particolare bene “partecipazione sociale”: diversa sia dalla res oggetto del diritto di proprietà, sia dal diritto di credito, ma, piuttosto, posizione complessa costituita da un insieme di situazioni soggettive attive e passive.
Dall’altro lato, la teoria della causa concreta, la quale ha reso probabilmente superflue le figure del negozio indiretto e del collegamento negoziale, destinate a divenire non più necessarie o utili, se non sul piano puramente descrittivo: dopo che – superata la visuale atomistica della funzione economico-sociale, accolta dal codice civile del 1942 in un intento di controllo della meritevolezza degli atti di autonomia privata, e venuta meno quella matrice ideologica, anche in forza di una vorticosamente accresciuta articolazione della realtà economica e sociale – la nozione di causa ha subìto una sensibile evoluzione, onde la “realtà viva” ed individuale del contratto ha riconquistato importanza anche teorica, permettendo a tutti gli interessi rilevanti di entrare nel contratto, cosicché l’intero regolamento descrive l’operazione negoziale realizzata come unitaria, perché appunto così voluta dalle parti. Proprio la capacità di guardare alla complessiva operazione economica realizzata rende gli interpreti in grado di cogliere la rilevanza delle ragioni concrete poste a base dei comportamenti giuridici, cioè il significato pratico dell’operazione, ivi comprese tutte le finalità esplicitamente o tacitamente penetrate nel contratto.
Si aggiunga come, in materia, questa Corte ha già chiarito che:
a) varie sono, nella prassi, le modalità tecniche per realizzare l’interposizione reale: con riguardo al diritto comune dei contratti, le Sezioni unite (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459) ricordano che il negozio fiduciario «si presenta non come una fattispecie, ma come una casistica: all’unicità del nome corrispondono operazioni diverse per struttura, per funzione e per pratici effetti». Può darsi, infatti, un atto di alienazione dal fiduciante al fiduciario; un acquisto compiuto dal fiduciario in nome proprio con denaro del fiduciante; o se un soggetto, già investito ad altro titolo di un determinato diritto, si impegna ad esercitarlo da un dato momento nell’interesse altrui, in conformità a quanto previsto dal pactum fiduciae;
b) nell’intestazione fiduciaria ordinaria, titolare della quota è solo il fiduciario, ai più vari fini: è suo il diritto di sottoscrivere le azioni in occasione dell’aumento del capitale; la legittimazione a impugnare le deliberazioni assembleari; la legittimazione a far valere il diritto di prelazione ai sensi di statuto, o a percepire i dividendi erogati dalla società; la legittimazione attiva ex art. 2476 c.c. e passiva nel giudizio intrapreso ai sensi dell’art. 2495, comma 2, c.c., dai creditori rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese (cfr., per qualche profilo, Cass. 8 maggio 2009, n. 10590; Cass. 23 giugno 1998, n. 6246);
c) il fiduciario è, peraltro, obbligato a riversare al fiduciante i dividendi maturati sulla quota o sulle azioni, onde la sua inesecuzione costituisce inadempimento, con tutte le conseguenze dettate per tale fattispecie dal diritto delle obbligazioni e l’irrilevanza di situazioni di buona fede o mala fede proprie del possesso ex art. 1147 e 1148 c.c. (Cass. 9 maggio 2023, n. 12353);
d) la forma del negozio fiduciario su partecipazioni sociali è libera: il patto fiduciario, al pari dei negozi traslativi delle azioni o quote che lo realizzano, è sempre a forma libera, non rilevando affatto se la società abbia, nel suo patrimonio, beni immobili; in tal senso, dopo qualche incertezza (Cass. 17 settembre 2019, n. 23093, non massimata; Cass. 26 maggio 2014, n. 11757; non riconducibile alla tesi invece Cass. 9 dicembre 2019, n. 32108, posto che si trattava del trasferimento di un alloggio), l’esatto principio, riconfermato da plurime decisioni, per l’insussistenza di un vincolo formale ad substantiam o ad probationem vuoi del trasferimento azionario, vuoi del trasferimento fiduciario (Cass. 28 aprile 2021, n. 11226; Cass. 19 maggio 2020, n. 9139; Cass. 27 ottobre 2017, n. 25626; Cass. 11 ottobre 2013, n. 23203; Cass. 16 dicembre 2010, n. 25468; Cass. 2 maggio 2007, n. 10121; e, con riferimento alla società di persone, es. Cass. 17 aprile 2013, n. 9334; Cass. 10 maggio 2010, n. 11314; Cass. 28 febbraio 1998, n. 2252). Né la conclusione muta, ove si voglia qualificare il patto fiduciario come contratto preliminare, per il quale l’art. 1351 c.c. prescrive la stessa forma del contratto definitivo, in quanto allora il patto fiduciario di trasferimento su quote sociali è, al pari di questo, a forma libera, ove pure la società sia proprietaria di immobili, oppure ove si ripudi la ricostruzione del negozio fiduciario come contratto preliminare, così come stabilito dalle S.U. (Cass., sez. un., 6 marzo 2020, n. 6459), perché in tal modo si negherà “a monte” che esso, ove abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, sia soggetto all’obbligo della forma scritta.
4. – Sulla base di tali principî, la conclusione della Corte del merito, che li richiama solo in parte e sùbito li contraddice senza rendere comprensibile il suo esito decisorio, si espone a censure.
Invero:
i) come premessa minore, essa ha ricostruito le variegate intestazioni a catena del capitale sociale di E. s.r.l., schermanti la titolarità dei quattro soci sotto l’intestazione a società interposte reali (capitale di E. s.r.l. detenuto da D. s.r.l., interamente partecipata da W.H., interamente partecipata dal capostipite M.F.; nonché il passaggio dalla D. s.r.l. alla B. Ltd. nel 2004) e ha accertato l’intestazione fiduciaria della quota del 25% in E. s.r.l., in titolarità della odierna ricorrente, ad altri soggetti interposti, con il ritrasferimento finale, senza corrispettivo, non alla fiduciante originaria, ma a terzi (i fratelli e la sorella di lei, e anzi per uno di essi, M. P., dietro lo schermo della S., di diritto statunitense); dunque, ha reputato integrata la violazione del pactum fiduciae, in concorso con gli altri tre fratelli, nella condotta tenuta dalla fiduciaria B. Ltd., allorché fu disposto il ritrasferimento delle quote solo ai predetti, ma non alla ricorrente;
ii) in premessa maggiore, ha condiviso l’inquadramento teorico del negozio fiduciario come volto alla realizzazione degli interessi esclusivi del fiduciante;
iii) nelle conclusioni: a) ha negato l’accoglimento della domanda di accertamento e ritrasferimento della quota, per il fatto che la P. non era socia reale di E. s.r.l. né di B. Ltd., e neppure le fu alla fine reintestata la quota pari al 25% del capitale sociale; b) ha respinto pure l’azione risarcitoria, essendo l’interposto fiduciario finale lo S..
Orbene, se la conclusione decisoria sub a) si lega coerentemente alle premesse, non così quella sub b).
5. – Quanto all’esito decisorio di rigetto della domanda di ritrasferimento della partecipazione, occorre invero ricordare che la ricorrente richiese, come essa riferisce in ricorso in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c.: «a) accertare e dichiarare che G. G. P. D.è titolare a far data dal gennaio 2006 del 25% delle quote della società E. s.r.l. (…) e per l’effetto condannare i convenuti, ciascuno pro quota, a consegnare il 25% delle quote della società E. all’attrice, disponendo ogni più opportuno provvedimento, anche in ordine alla iscrizione della sentenza nel registro delle imprese».
La Corte territoriale ha interpretato tali domande come volte al mero accertamento della titolarità finale delle azioni, avendo invece l’attrice omesso di proporre qualsiasi azioni caducatoria di quel contratto di trasferimento finale ai tre fratelli: onde perdurante è il titolo che fonda il trasferimento, in mancanza di qualsiasi domanda della socia, volta ad impostare giuridicamente e a domandare la caducazione del titolo, in modo che il trasferimento finale – che, si ricorda, proviene dal titolare effettivo, in virtù della interposizione reale di persona – potesse essere efficacemente posto nel nulla.
Tale interpretazione della domanda, come emerge dalla sentenza impugnata, non è stata in alcun modo censurata dalla ricorrente. Al riguardo, occorre ricordare che, secondo principio consolidato, l’interpretazione degli atti di autonomia privata, mirando a determinare una realtà storica e obiettiva, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito ed è censurabile soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, nei limiti in cui ancora rileva, qualora sia appunto, però, espressamente censurata proprio l’interpretazione operata: il sindacato di questa Corte non può, dunque, investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito del giudizio di fatto riservato al giudice di merito. Pertanto, onde far valere una violazione di legge, il ricorrente per cassazione non solo deve fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e ai principi in esse contenuti, ma è tenuto altresì a precisare – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, riportando, per il principio di specificità e autosufficienza del ricorso, il testo integrale dell’atto (Cass. 24 giugno 2008, n. 17088, che cita a sua volta Cass. nn. 16132/2005, 8296/2005, 4063/2005, 2394/2004, 4948/2003, 4905/2003), oppure lamentare fondatamente un vizio di motivazione, nei limiti in cui esso è tuttora proponibile (cfr. Cass. 3 dicembre 2019, n. 31546).
Analogamente, non è ammissibile la critica della ricostruzione della volontà della parte, operata dal giudice di merito che, dedotta sotto il profilo della violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione, si risolva in realtà nella proposta di un’interpretazione diversa (cfr. Cass. 17 ottobre 2018, n. 26038; Cass. 1° dicembre 2015, n. 24427; Cass. 24 giugno 2008, n. 17088; Cass. 13 giugno 2008, n. 16036; Cass. 12 giugno 2008, n. 15795; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; ed altre ivi citate).
Nel quadro di detti principi, la semplice deduzione della ricorrente, secondo cui la sentenza impugnata avrebbe ingiustamente omesso di cogliere l’altrui condotta genericamente ascritta alla violazione della “buona fede” e all’“abuso del diritto”, respingendo la domanda volta alla tutela reale – senza, tuttavia, in nessun modo dimostrare di avere impostato giuridicamente, sin dall’atto di citazione, una domanda caducatoria o restitutoria, a fronte di un trasferimento di quota sociale tuttora sorretto dalla valida causa dell’attribuzione mediante negozio traslativo – non riesce a palesare un vizio della detta pronuncia e finisce per consistere in una mera riproposizione del giudizio sul fatto.
6. – Diverse considerazioni vanno svolte, invece, quanto all’esito decisorio di rigetto della domanda risarcitoria, avendo la ricorrente chiesto anche, «in via subordinata, condannare A., M. e M. P. D. in solido al risarcimento del danno in favore di G. P. nella misura di € 20.000.00,00, ovvero in quella anche maggiore che sarà accertata in corso di causa oltre interessi e rivalutazioni».
Invero, una volta accertata sia l’originaria titolarità della quota in capo a G. P., pari ad un quarto della E. s.r.l., sia il ritrasferimento operato dalla B. Ltd. delle quote societarie solo agli altri tre fiducianti, ed emerso altresì che tale atto rappresentò l’indebita cessione parziale di quella partecipazione a soggetti non titolari della originaria proprietà, in violazione del diritto della socia, la Corte territoriale non ha poi delibato la domanda risarcitoria formulata.
Non è condivisibile l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la mancata proposizione di un’azione (o comunque di una valida azione) di risarcimento del danno contro i tre fratelli, motivata con la circostanza che unicamente questi siano stati chiamati a rispondere della violazione del soggettivamente complesso patto fiduciario, invece che in concorso con il fiduciario finale stesso o con i suoi amministratori.
Invero, a tale riguardo, i condebitori solidali non sono litisconsorti necessari, potendo il creditore agire soltanto contro uno o più di essi (Cass. 4 giugno 2020, n. 10596, fra le tante).
L’unicità del fatto dannoso, richiesta dall’art. 2055 c.c., ai fini della configurabilità della responsabilità solidale, deriva dall’intento di rafforzare la garanzia del danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni od omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi (e multis, Cass. 28 gennaio 2021, n. 1842; Cass. 15 gennaio 2020, n. 542; Cass. 5 settembre 2019, n. 22164).
Il vincolo di responsabilità solidale lega, pertanto, tutti coloro che abbiano concorso in modo efficiente a produrre il danno, ai sensi dell’art. 2055 c.c., il quale, anche se dettato in tema di responsabilità extracontrattuale, si estende all’ipotesi in cui taluno degli autori del danno debba rispondere a titolo di responsabilità contrattuale (ex plurimis, Cass. 3 settembre 2020, n. 18289; Cass. 12 marzo 2020, n. 7044; Cass. 11 marzo 2020, n. 7016; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29218).
Ne deriva che, nonostante la mancata prospettazione di una valida azione recuperatoria, la domanda di risarcimento del danno doveva, invece, essere esaminata dalla Corte territoriale.
7. – Deve, in conclusione, essere enunciato il seguente principio di diritto:
«In caso d’intestazione fiduciaria di partecipazione sociale, sia pure attuata mediante una “catena” di diversi soggetti interposti reali, persone fisiche o giuridiche, la violazione del pactum fiduciae da parte dell’ultimo fiduciario, in concorso con altri soggetti cui questi abbia ritrasferito il bene in luogo del fiduciante, comporta il sorgere dell’obbligo in capo ai medesimi di risarcire il danno, in tal modo cagionato al socio originario che abbia visto leso il suo diritto al ritrasferimento del bene, non ostando alla condanna dei concorrenti nell’illecito, i quali abbiano ottenuto il ritrasferimento indebito in loro favore, la mancata evocazione in giudizio dell’ultimo fiduciario inadempiente, trattandosi di un litisconsorzio facoltativo, in cui il creditore ha facoltà di convenire in giudizio anche solo uno o taluno dei condebitori responsabili».
8. – La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perché riesamini l’intero materiale istruttorio, alla luce dei concetti e del principio di diritto sopra esposto.
Ad essa si demanda la liquidazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.