La pretesa indirizzata processualmente solo nei confronti di uno dei proprietari dei fondi intercludenti, ovvero i fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via, è da rigettare nel merito, senza possibilità di integrare il contraddittorio.
Svolgimento del processo
S. M. conveniva L. T. dinanzi al Tribunale di Catania (Sezione distaccata di Giarre), esercitando azione negatoria di servitù di passaggio. Il convenuto chiamava in garanzia i propri danti causa (C. S. F., F. T. e S. V. T.) e agiva in riconvenzionale per usucapione e servitù coattiva di passaggio. Il giudice di primo grado accertava l’inesistenza di un varco utile a dimostrare il possesso ultraventennale al fine dell’usucapione e l’esistenza di un accesso alla pubblica via attraverso terreni in proprietà di terzi, alternativo e meno gravoso; per l’effetto, accoglieva la domanda dell’attore, rigettava le domande del convenuto, ometteva di pronunciarsi sulla domanda di garanzia. La pronuncia di primo grado è stata confermata in secondo grado, ove si è aggiunto il rigetto della domanda di garanzia.
Ricorre in cassazione il convenuto con cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste l’attore con controricorso, illustrato da memoria. Resistono i chiamati in garanzia con controricorso e ricorso incidentale con tre motivi, illustrati da memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale, nonché con il secondo motivo del ricorso incidentale, si lamenta che la sentenza abbia escluso che sia stata raggiunta la prova del possesso ultraventennale della servitù di passaggio al fine dell’usucapione (nel ricorso principale si deduce la violazione degli artt. 61, 115, 116 c.p.c., 2697 c.c., 111 Cost., 47 Carta di Nizza, 6 Carta EDU; nel ricorso incidentale si deduce la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 c.c.).
La parte censurata della sentenza è la seguente: «Correttamente il tribunale [ha] escluso che sia stata raggiunta la prova del possesso ultraventennale della servitù di passaggio sul fondo del M.; possesso che non può con certezza evincersi dalla espletata prova per testi, i quali solo genericamente hanno riferito di passaggi attraverso il fondo confinante, senza tuttavia che emerga una puntuale collocazione temporale e senza una specificazione delle modalità di intensità degli stessi nell'arco del tempo, facendosi peraltro riferimento a soli mezzi agricoli; inoltre il dato temporale rimane contraddetto dalla recente epoca di realizzazione dei varchi d'accesso sul muro a confine con la stradella del M., muro a secco sormontato da una tubazione che correva sino alla vasca di raccolta delle acque irrigue; ed ancora non rimane chiaro come fosse possibile l'accesso alla strada comunale S. Biagio attraverso la stradella interpoderale de quo, esistendo fondi intermedi (C. e G.) sui quali avrebbe dovuto necessariamente passarsi».
Dei due motivi è da dichiarare l’inammissibilità.
La struttura dell’argomentazione di entrambi i motivi è la seguente: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito. In altri termini, in entrambi i motivi i ricorrenti sovrappongono il loro apprezzamento delle prove all’accertamento che due giudici di merito hanno concordemente espresso in una motivazione che non si espone a censure di legittimità.
In conclusione, sono inammissibili il primo motivo del ricorso principale e il secondo motivo del ricorso incidentale.
2. – Con il secondo motivo del ricorso principale si lamenta che sentenza abbia accolto l’azione negatoria di servitù di passaggio nonostante che l’attore avesse mancato di provare il suo diritto di proprietà sulla stradella, né il pregiudizio subito a cagione del passaggio (si deduce violazione degli artt. 949 e 2697 c.c.).
Del secondo motivo è da dichiarare l’inammissibilità per le stesse ragioni che sorreggono l’inammissibilità del primo (si rinvia pertanto al penultimo capoverso del paragrafo precedente). A ciò si aggiunge che – come ha osservato anche il P.M. il pregiudizio di cui si denuncia la mancata prova è in re ipsa e non è sminuito da una pratica di passaggio consentita a molti. Infine, tale ultima circostanza (che oltretutto si fonda su una valutazione di fatto ad opera della parte) è logicamente compatibile con l’interesse ad agire in negatoria di una specifica servitù di passaggio.
In conclusione, il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.
3. – Con il terzo motivo del ricorso principale si lamenta che la sentenza abbia statuito che la domanda riconvenzionale di costituzione di servitù coattiva di passaggio debba essere contestualmente proposta nei confronti di tutti i proprietari dei fondi che si frappongono all’accesso alla pubblica via. In via subordinata, ammesso l’onere di agire in giudizio nei confronti di tutti i proprietari, si lamenta ancora che non si sia ordinata l’integrazione del contraddittorio (si deduce violazione degli artt. 1079 c.c. e 102 c.p.c.).
Il terzo motivo è infondato.
Il Collegio esclude di dover investire di nuovo le Sezioni Unite ex art. 374 co. 3 c.p.c. affinché si riesamini il principio di diritto enunciato da Cass. SU 9685/2013, ma si limita a puntualizzare un presupposto implicito che sorregge l’impianto accolto da tale pronuncia, a cui si ricollegherà un corollario normativo parimenti da enunciare esplicitamente.
Nel 2013 le Sezioni Unite venivano di nuovo chiamate a comporre un contrasto giurisprudenziale sulla questione se, nel caso in cui il proprietario di un fondo intercluso possa procurarsi l’accesso alla via pubblica unicamente attraversando più fondi di più proprietari (ovvero possa procurarselo solo con eccessivo dispendio o disagio), la relativa costituzione di servitù coattiva di passaggio ex art. 1051
c.c. non possa pronunciarsi che in confronto di tutti i proprietari de quibus ed integri quindi una fattispecie di litisconsorzio necessario ex art. 102 c.p.c.
Fondamentalmente due erano le tesi che allora si contendevano il campo (al netto di varianti riconducibili all’una o all’altra).
La prima tesi era tributaria dell’idea che il litisconsorzio necessario presuppone sul piano sostanziale un rapporto giuridico unico con pluralità di parti ed escludeva quindi la necessità che tutti i proprietari dei fondi intercludenti partecipassero ad un unico giudizio, in quanto il proprietario del fondo intercluso avrebbe potuto procurarsi l’uscita sulla pubblica via negoziando (e/o agendo in giudizio) separatamente nei confronti di ogni proprietario. In estrema sintesi, colto da una prospettiva processuale, il caso rifluiva nella disciplina del litisconsorzio facoltativo ex art. 103 c.p.c.
La tesi contrapposta riteneva invece che il caso non potesse sottarsi alla disciplina del litisconsorzio necessario, poiché la sentenza emessa non nei confronti di tutti i proprietari sarebbe stata inutiliter data, cioè non avrebbe potuto far conseguire all’attore il bene della vita che l’ordinamento riconosce ex art. 1051 c.c.: l’uscita sulla via pubblica. Tale orientamento poté giovarsi nel 1989 dell’avallo delle Sezioni Unite (cfr. Cass. SU 670 e 671/1989), ma successivamente non riuscì ad accreditarsi in modo incontestato, cosicché nel 2013 le Sezioni Unite furono appunto investite di nuovo della questione.
Le SU 9685/2013 hanno aperto una terza via.
Da un lato, mostrano di confermare che la costituzione di una servitù coattiva di passaggio debba pronunciarsi in giudizio contestualmente nei confronti di ogni proprietario di ciascun fondo intercludente. Dall’altro, ritengono che l’attore che non ha proposto la domanda ex art. 1051 c.c. nei confronti di ogni proprietario dei fondi intercludenti non possa usufruire di un ordine d’integrazione del contraddittorio ex art. 102 co. 2 c.p.c., ma debba andare incontro a una sentenza di rigetto nel merito della propria domanda, a cagione di una «incongruità del petitum» a lui imputabile, cioè perché la pretesa – così come profilata concretamente in giudizio non è idonea a fargli conseguire il bene della vita (accesso alla via pubblica) riconosciuto dall’art. 1051 c.c. «In questi casi – argomentano le SU 9685/2013 non deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio, ma […] la domanda va rigettata, perché diretta a far valere un diritto inesistente».
Orbene, nel dare continuità a quest’orientamento, il Collegio reputa (come anticipato) di doverne esplicitare un presupposto fondamentale, cui segue un corollario.
Ove più fondi si frappongano all’accesso alla via pubblica, il bene della vita ex art. 1051 c.c. può essere procurato in via giudiziale unicamente convenendo in giudizio tutti i proprietari dei fondi intercludenti. Se questa è la premessa, si tratta di dissuadere il proprietario del fondo intercluso dallo speculare sull’idea di poter evitare di chiamare fin dall’inizio in giudizio tutti i proprietari de quibus.
L’orientamento inaugurato da Cass. SU 9685/2013 (e seguito dalla giurisprudenza successiva, cfr. tra le altre Cass. 1646/2017) reputa che tale funzione dissuasiva possa esercitarsi incisivamente solo ove il proprietario del fondo intercluso sappia in anticipo che egli non può eventualmente giovarsi dell’integrazione del contraddittorio in corso di causa ex art. 102 co. 2 c.p.c. e che quindi va incontro ad un’alternativa insoddisfacente nell’uno e nell’altro dei suoi corni: se il difetto di integrità del contraddittorio è rilevato, la sentenza è di rigetto nel merito; se non è rilevato, la sentenza è inutiliter data. Si scarta così la seguente terza soluzione, pur adottata da altri ordinamenti: pur resa inter pauciores, la sentenza costituisce formalmente la servitù coattiva di passaggio, ma l’attore può dover imputare a sé che la pronuncia costitutiva non gli procuri l’accesso alla via pubblica, infrangendosi eventualmente contro il diniego dei proprietari non chiamati a partecipare al giudizio, né disposti a negoziare il passaggio dell’attore sul loro fondo.
Se questo è vero, si deve esplicitare un corollario, virtualmente contenuto nel dictum dispositivo di Cass. SU 9685/2013. Si tratta della aggiunta in corsivo, collocata di seguito alla rinnovata citazione del passo saliente delle Sezioni Unite: «in questi casi non deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio, ma […] la domanda va rigettata, perché diretta a far valere un diritto inesistente …» nei confronti della parte convenuta in giudizio. In altre parole, il giudicato di rigetto nel merito della domanda proposta e coltivata inter pauciores preclude (ad instar della efficacia panprocessuale o di preclusione esterna) la riproposizione della stessa domanda nei confronti del proprietario di uno dei più fondi intercludenti già convenuto in giudizio, ma non può impedire che il proprietario del fondo intercluso continui a perseguire l’accesso alla pubblica via che l’ordinamento gli riconosce ex art. 1051 c.c. con una nuova iniziativa processuale che veda coinvolti ogni proprietario di ogni fondo intercludente.
A tal proposito, in continuità con le SU 9685/2013, si enuncia, ex art. 384 co. 1 c.p.c., il seguente principio di diritto: «la domanda di costituzione di servitù coattiva di passaggio è da proporre nei confronti di ogni proprietario dei fondi che si frappongono all'accesso alla pubblica via, potendosi conseguire il bene della vita riconosciuto ex art. 1051 c.c. unicamente con la costituzione per intero del passaggio verso la via pubblica, mentre la pretesa indirizzata processualmente solo nei confronti di uno e non di tutti i proprietari dei fondi intercludenti è da rigettare nel merito, senza possibilità di integrare il contraddittorio, poiché essa è diretta a fare valere un diritto inesistente nei confronti del solo proprietario convenuto».
Su questa base, è rigettato il terzo motivo del ricorso principale.
4. – Con il quarto motivo del ricorso principale si denuncia che la sentenza abbia omesso di rilevare che il fondo del convenuto è intercluso e lo abbia condannato alla chiusura dei tre varchi aperti sul suo muro di confine (si deduce violazione degli artt. 832 e 1051 c.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo).
Del quarto motivo è da dichiarare l’inammissibilità.
Quanto alla denuncia di violazione di norme di diritto, valgono le ragioni a base dell’inammissibilità del primo e del secondo motivo, che si richiamano integralmente a questo punto. Quanto alla censura di omesso esame circa fatto decisivo, essa non risponde ai criteri concretizzati da Cass. SU 8053/2014 (come, d’altra parte, ha osservato anche il P.M.).
Il quarto motivo è inammissibile.
5. – Con il quinto motivo del ricorso principale si denuncia ex art. 112 c.p.c. l’omessa pronuncia sulla domanda di garanzia proposta dal convenuto nei confronti dei propri aventi causa.
Il quinto motivo è infondato.
La parte censurata della sentenza è questa: «quanto alla domanda di manleva avanzata dall’avente causa T., non esaminata dal primo giudice, la stessa non può essere accolta per genericità, non specificandosi se viene richiesto un risarcimento del danno da deprezzamento per la vendita di un fondo rivelatosi intercluso o il rimborso per l'eventuale somma occorrente a creare una servitù coattiva di passaggio».
Ne segue che la domanda di garanzia è stata rigettata, così come quindi è rigettato il quinto motivo. A ciò si collega anche l’inammissibilità per difetto di interesse del terzo motivo del ricorso incidentale, con cui si fa valere una ragione aggiuntiva di rigetto della domanda di garanzia.
6. – Passando a completare l’esame del ricorso incidentale, dei suoi tre motivi rimane da scrutinare il primo (per la dichiarazione d’inammissibilità del secondo motivo, cfr. indietro paragrafo n. 1; per quella del terzo motivo, cfr. indietro paragrafo precedente).
Con il quinto motivo del ricorso incidentale si censura che sia stata disposta d’ufficio una c.t.u. cosiddetta percipiente e che, anche sulla sua base, la sentenza sia pervenuta ad una ricostruzione del fatto erronea e viziata nel procedimento logico (si deduce violazione degli artt. 2697 c.c., 61, 115 e 116 c.p.c.).
Del primo motivo del ricorso incidentale è da dichiarare l’inammissibilità per le stesse ragioni a base dell’inammissibilità del primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale, nonché del secondo motivo del ricorso incidentale. Essi sono caratterizzati da una medesima impostazione, ispirata dall’idea che: (a) si possa dischiudere la prospettiva di un accoglimento del ricorso se si prospettano come errori di diritto quelli che in realtà sono (pretesi) errori commessi nella ricostruzione e apprezzamento della situazione di fatto rilevante in causa; (b) di conseguenza, una corte di legittimità possa essere sollecitata a sovrapporre il proprio apprezzamento dei fatti rilevanti alla valutazione delle corti di merito, ove questa sia attestata da una motivazione effettiva, resoluta e riducibile a coerenza.
A ciò si aggiunge, con specifico riferimento all’argomentazione che specificamente innerva il primo motivo del ricorso incidentale che essa vale sostanzialmente quanto sostenere che la c.t.u. non è un mezzo di prova.
Pertanto, il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.
In sintesi, il ricorso principale è rigettato, il ricorso incidentale è inammissibile. Le spese si liquidano come in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater d.p.r. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di ciascuna delle due parti ricorrenti, di un'ulteriore somma pari al contributo unificato previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; compensa le spese tra le due parti ricorrenti; condanna queste ultime, in solido, al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte controricorrente, M. M., che liquida in € 3.000, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera di ciascuna delle due parti ricorrenti, di un ulteriore importo del contributo unificato previsto per il ricorso, se dovuto.