Secondo il CGA Sicilia, l'evasione fiscale non rappresenta una ragione sufficiente per negare il rinnovo del permesso di soggiorno, dovendo in tal caso essere l'Amministrazione fiscale ad adottare i provvedimenti utili a contrastare l'illecito.
Il Questore di Palermo rigettava l'istanza presentata dall'attuale appellante con la quale era stato chiesto il rinnovo per motivi di “Lavoro Autonomo” del permesso di soggiorno concesso per motivi di lavoro subordinato, in quanto ella aveva adempiuto all'obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi solo fino al 2015, non risultando da quel momento in poi il percepimento di redditi sufficienti ai sensi dell'art. 26 TUI.
Il TAR Sicilia confermava il provvedimento di diniego, dunque l'appellante si rivolge al CGA Sicilia.
Con la sentenza n. 379 del 5 giugno 2023, il CGA dichiara fondato il ricorso, rilevando come il TAR non si sia conformato ai principi di diritto fissati in materia dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Innanzitutto, era già stato chiarito che l'evasione fiscale e contributiva non costituisce una ragione sufficiente per negare il rinnovo del permesso di soggiorno perché il Legislatore non ha previsto la stessa quale causa ostativa in tal senso, per cui un'eventuale situazione di evasione in capo all'immigrato deve essere oggetto di provvedimenti tipici assunti dall'Amministrazione fiscale e dagli Enti previdenziali competenti che vadano a contrastare l'evasione attraverso il recupero del credito e la sanzione dell'inosservanza della legislazione fiscale e contributiva. Peraltro, il Questore non può dedurre in via automatica dagli illeciti anche l'insussistenza del reddito dichiarato dall'immigrato e la cui esistenza non sia stata contestata dall'Amministrazione finanziaria.
Come osserva il CGA, infatti, la mancata dichiarazione dei redditi negli anni successivi al 2015 (sempre che ne sussistesse l'obbligo di presentazione) non porta a ritenere che l'interessata non abbia percepito redditi ovvero dei redditi sufficienti. Nel caso di specie l'appellante aveva dimostrato attraverso apposita certificazione dell'Agenzia delle Entrate il possesso di redditi superiori all'assegno sociale per alcuni anni e ciò doveva essere tenuto in considerazione solo come criterio orientativo di valutazione e non come parametro rigido comportante l'esclusione del rinnovo del permesso di soggiorno.
Come osserva il CGA, il TAR non ha tenuto conto dell'orientamento secondo cui
|
«ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, la valutazione della Pubblica amministrazione circa il possesso del requisito di un reddito minimo per il sostentamento non può limitarsi ad una mera ricognizione della sussistenza di redditi adeguati nei periodi pregressi, ma deve risolversi in un giudizio prognostico, che tenga conto anche delle occasioni lavorative favorevoli sopravvenute nelle more dell'adozione del rigetto e delle prospettive di integrazione del lavoratore straniero nel tessuto socio economico dell'area in cui risiede». |
Segue dunque l'accoglimento dell'appello.
CGA Sicilia, sez. Giurisdizionale, sentenza (ud. 31 maggio 2023) 5 giugno 2023, n. 379
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. L’odierna parte appellante impugnava in prime cure il provvedimento cat. A 12/2023 Cont. Cit del 23.01.2023, con il quale il Questore di Palermo ha rigettato l’istanza presentata il 14.11.2021 con cui si chiedeva il rinnovo per motivi di “Lavoro Autonomo” del permesso di soggiorno rilasciatole per motivi di lavoro subordinato in data 23.11.2019 e valido fino al 30.11.2021.
Il provvedimento impugnato motivava il rigetto in quanto l’istante “ha adempiuto all’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi solo fino al 2015 e che, da allora, non risulta percepire redditi sufficienti” ai sensi dell’art. 26 TUI.
2. Il giudice di prime cure, con la sentenza breve in epigrafe indicata, respingeva il ricorso in sintesi per le seguenti motivazioni:
-“che, secondo condivisibile giurisprudenza, l'infedeltà fiscale unitamente alle irregolarità contabili contestate costituiscono congrua motivazione a sostegno del provvedimento impugnato (Tar Sicilia, Sez. II, n. 97/2022; Sez. III, n. 2313/2022)”;
-“che, come si evince dal provvedimento impugnato, la ricorrente ha fatto la dichiarazione dei redditi per l’ultima volta nel 2015 e che da allora non risulta disporre di un reddito sufficiente”;
-“che è infondata” l’asserita “violazione dell’art. 10 bis l. n. 241/1990”.
Condannava alle spese il ricorrente.
3. Con l’odierno appello, unitamente ad argomentate censure alla pronuncia gravata, si riproponevano sostanzialmente i motivi di prime cure (illegittimità ex artt. 4, c. 3, 26, c. 2 e 3 dlgs n. 286/98 per violazione di legge ed eccesso di potere; violazione dell’art. 10 bis L. 241/90).
Si costituiva l’Amministrazione appellata per resistere all’appello.
L’appellante produceva in appello –produzione da ritenere pienamente ammissibile- anche la pronuncia del Giudice di pace di Palermo (ord. 08.05.2023 n. 335), intervenuta successivamente alla sentenza appellata, con la quale, vagliando i medesimi presupposti di cui al diniego oggetto del presente giudizio, veniva annullato il decreto prefettizio di espulsione.
Nell’odierna camera di consiglio, avvertire le parti della possibile definizione con sentenza breve, la causa è trattenuta in decisione.
4. L’appello è fondato.
Il provvedimento impugnato e la pronuncia appellata che lo ha asseverato non tengono conto dei condivisibili principi fissati in materia dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
L’appellante lamenta anzitutto che il giudice di prime cure avrebbe inammissibilmente integrato la motivazione del provvedimento impugnato, attribuendo autonomo rilievo alle asserite mancate dichiarazioni di reddito. La doglianza è fondata, atteso che nella parte motiva del provvedimento tale riferimento appare invece collegarsi all’asserita insussistenza del reddito sufficiente.
In ogni caso, anche a voler ritenere diversamente, l’assunto del Tar, e in ipotesi del provvedimento impugnato, rimane in punto di diritto errato. La giurisprudenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, ha non da ora chiarito che “la evasione fiscale e contributiva, in conformità con il principio di legalità, non può essere una ragione, neanche indiretta, di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto il legislatore non ha previsto che la evasione fiscale sia causa ostativa, in se stessa considerata, per cui una eventuale situazione di evasione in capo all'immigrato, regolarmente accertata, deve essere oggetto di provvedimenti tipici, adottati dai organi competenti dell'Amministrazione fiscale e dagli enti previdenziali, diretti al contrasto all'evasione mediante sia il recupero del credito sia la sanzione dell'inosservanza della fiscale e tributaria” (CdS sez. III 14.06.2017 n.2931; 21.03.2019 n. 1862; 02.03.2021 n.1789; 02.07.2021 n.5086). Lo stesso Tar del resto, in altra occasione e poggiando anche su pronunciamenti cautelari di questo Consiglio, ha avuto modo di ritenere che “con riferimento alle irregolarità delle dichiarazioni ed all'omesso pagamento dei tributi, l'evasione fiscale non può essere una ragione neanche indiretta di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto il Legislatore non ha previsto che l'evasione fiscale, in sé stessa considerata, sia causa ostativa al rilascio del permesso di soggiorno (cfr. Cons. Stato, sez. III, 21 marzo 2019, n. 1862; Cons. Stato, sez. III, 14 giugno 2017, n. 2931); l'illecito tributario, regolarmente accertato, può e deve condurre all'adozione dei provvedimenti tipici, adottati dagli organi competenti dell'Amministrazione fiscale e diretti al contrasto all'evasione mediante il recupero del credito e l'applicazione delle sanzioni, anche penali, previste dall'ordinamento; da tali illeciti non può, però, la Questura dedurre, in via automatica, anche l'insussistenza del reddito dichiarato e la cui esistenza non sia stata contestata dall'amministrazione finanziaria. Ed invero, come statuito anche dal Giudice d'Appello, "laddove dalla irregolarità fiscale si intenda potersi ricavare l'inattendibilità della dichiarazione reddituale e quindi la mancata dimostrazione di un reddito sufficiente ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, tale conseguenza deve essere oggetto di (un più) specifico e motivato accertamento" (così C.G.A., ord. n. 407/2017; ord. n. 357/2017; ord. n. 306/2017); accertamento che deve essere effettuato dagli organi competenti” (Tar Sicilia Palermo sez. II 06.05.2019 n. 1263).
Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie, ove non risulta alcuna evasione fiscale, né è stato previamente accertato se in effetti nel corso degli anni sussistesse un obbligo di effettuare la dichiarazione dei redditi, se non ricorressero cioè, pur in presenza di un ipotetico reddito, fattispecie di esenzione dal suddetto obbligo.
Il provvedimento è comunque viziato sotto almeno due profili.
In primo luogo, nella parte motiva si afferma che è stato effettuato un accertamento d’ufficio presso i sistemi informativi dell’Agenzia delle Entrate e che si è “rilevato che la richiedente, la quale risulta titolare di attività di lavoro autonomo dal 2013, ha adempiuto all’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi solo fino al 2015 e che, da allora, non risulta percepire redditi sufficienti”.
Non erra l’appellante a dolersi dell’errore nel quale è incorsa l’Amministrazione. La mancata dichiarazione dei redditi negli anni successivi al 2015, ammesso che ce ne fosse stato l’obbligo, non significa necessariamente che l’interessata non abbia percepito dei redditi o dei redditi sufficienti. Ed è quanto diversamente e inconfutabilmente ha dimostrato l’appellante con una certificazione dell’Agenzia delle Entrate (anno d’imposta 2017 nessun reddito; 2018 euro 8.063.63; 2019 euro 6.222,90; 2020 nessun reddito; 2021 euro 11.330,66): dunque redditi superiori all’assegno sociale per il 2018, il 2019 e il 2021. Non va peraltro dimenticato che secondo la giurisprudenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, "il possesso di un reddito minimo corrispondente all'assegno sociale (al di fuori delle ipotesi in cui sia richiesto espressamente dalla legge, e cioè i casi del permesso di soggiorno CE e i casi di ricongiungimento familiare) rappresenta un criterio orientativo di valutazione e non un parametro rigido la cui mancanza sia automaticamente ostativa al rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, dovendosi tener conto delle varie circostanze che di fatto concorrono a consentire il sostentamento dell'immigrato" (CdS sez. III 18.10.2016 n. 4352; 29.09.2022 n.8378). Né l’alternarsi tra disoccupazione, peraltro nell’anno 2020 probabilmente causata dalla emergenza pandemica, e occupazione inficia di per sé le capacità reddituali, anzi, nei limiti del periodo consentito di attesa di una rioccupazione, “chi ha dimostrato in passato di poter ottenere una legittima occupazione, può ritenersi di regola in grado di reperirne una nuova” (CdS sez. III 30.01.2019 n. 749).
In secondo luogo, e in ogni caso, l’Amministrazione non ha tenuto nel dovuto conto sia l’integrazione documentale, acquisita nel corso del procedimento, della Certificazione Unica 2022 nella quale si indicava per l’anno 2021 il reddito di euro 11.330,66, sia le potenzialità dell’attività lavorativa avviata. Secondo la giurisprudenza infatti “ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, la valutazione della Pubblica amministrazione circa il possesso del requisito di un reddito minimo per il sostentamento non può limitarsi ad una mera ricognizione della sussistenza di redditi adeguati nei periodi pregressi, ma deve risolversi in un giudizio prognostico, che tenga conto anche delle occasioni lavorative favorevoli sopravvenute nelle more dell'adozione del rigetto e delle prospettive di integrazione del lavoratore straniero nel tessuto socio economico dell'area in cui risiede (cfr. Consiglio di Stato sez. III 10 ottobre 2017 n. 4694; 14 settembre 2018, n. 5409)” (CdS n. 749/2019 cit.).
E’ opportuno al riguardo rilevare, pur trattandosi di un dato sopravvenuto al diniego impugnato, che con Certificazione Unica 2023, relativa all’anno 2022, l’appellante ha realizzato un reddito di euro 9.548,73.
Quanto sopra evidenziato è già sufficiente ad acclarare l’illegittimità del provvedimento, consentendo di assorbire il motivo attinente all’asserita violazione dell’art. 10 bis l. 241/1990 dalla cui disamina le parti non trarrebbero alcun vantaggio.
5. L’appello va dunque accolto, ma sussistono giusti motivi per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza gravata, accoglie il ricorso di prime cure e annulla gli atti ivi impugnati, salvi ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Spese di entrambi i gradi di giudizio compensate.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.