
Il rapporto fra l'ente pubblico economico e il dipendente ha natura privatistica. Pertanto, in difetto di specifiche disposizioni di legge derogatorie, valgono il Codice civile e le leggi sul rapporto subordinato di lavoro alle dipendenze delle imprese private.
L'attuale ricorrente presentava ricorso nei confronti dell'Azienda Territoriale per l'Edilizia Residenziale (ATER) volto ad ottenere l'attribuzione della qualifica superiore di dirigente e la dichiarazione di illegittimità del provvedimento commissariale con il quale era stata disposta la cessazione, dal successivo mese di dicembre,...
Svolgimento del processo
1. La Corte d’Appello di L’Aquila ha respinto l’appello di M.M. avverso la sentenza del Tribunale di Teramo che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti dell’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale della Provincia di Teramo, volto ad ottenere: l’attribuzione della qualifica superiore di dirigente, con decorrenza dal 9 aprile 2003, e la dichiarazione di illegittimità del provvedimento commissariale n. 3 del 30 settembre 2009 con il quale era stata disposta la cessazione, dal successivo mese di dicembre, dell’incarico dirigenziale in precedenza conferito; la condanna dell’ATER al pagamento delle differenze retributive maturate a far tempo dal dicembre 2009; l’accertamento, chiesto in via subordinata, della nullità del termine apposto all’incarico dirigenziale e la conseguente condanna dell’Azienda al risarcimento del danno.
2. L’originario ricorrente aveva agito in giudizio allegando, in punto di fatto, che con delibera del Consiglio di Amministrazione dell’8 aprile 2003 gli era stato conferito l’incarico di dirigente del settore Tecnico Costruzioni e Manutenzioni, ricoperto ininterrottamente sino all’adozione del provvedimento commissariale sopra citato, che allo stesso aveva posto termine sebbene la struttura organizzativa dell’azienda prevedesse espressamente che al settore dovesse essere preposto un dirigente.
2. La Corte territoriale non ha condiviso le conclusioni alle quali il Tribunale era pervenuto quanto alla formazione del giudicato esterno sull’applicabilità al rapporto di lavoro del CCNL per il personale del Comparto Regioni ed Autonomie Locali, giusta sentenza n. 373 del 2009, resa tra le stesse parti e divenuta definitiva. Ha osservato al riguardo che il giudicato si era limitato a verificare se l’ATER avesse eseguito correttamente la delibera n. 22 del 2003, con la quale, nel disporre l’applicazione dall’anno 2003 del contratto collettivo dirigenti/Confservizi, era stata prevista la garanzia della conservazione solo quale parametro di riferimento della giusta retribuzione, al solo fine di individuare il trattamento di miglior favore, che doveva tenere conto di tutte le voci retributive, ivi compresa la retribuzione di posizione.
2. Per il resto la Corte distrettuale ha ritenuto corretti gli argomenti sulla base dei quali il primo giudice aveva escluso la fondatezza della domanda ed ha rilevato che:
a) la sola qualificazione di ente pubblico economico dell’ATER non è sufficiente a sottrarre i rapporti di lavoro dall’applicazione della disciplina dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001, perché, come si ricava anche dalla l. r. Abruzzo n. 44 del 1999, l’ATER è ente strumentale della Regione, che esercita poteri di indirizzo e di controllo, ed opera in una materia attribuita all’esclusiva competenza regionale;
b) l’esercizio di mansioni superiori, pertanto, non può comportare l’acquisizione definitiva della qualifica dirigenziale, stante il divieto contenuto nell’art. 52 del richiamato d.lgs. n. 165 del 2001;
c) il diritto non può essere fondato sull’art. 21 del CCNL Confservizi, che, come si desume dalla lettura congiunta dei primi due commi, si riferisce alla diversa fattispecie del dirigente assegnato alle funzioni proprie di un dirigente di rango superiore;
d) il provvedimento commissariale n. 3 del 30 settembre 2009 aveva legittimamente disposto la cessazione dell’incarico, che non poteva essere ritenuto ormai intangibile, stante l’operatività del divieto di promozione automatica;
e) il d.lgs. n. 368 del 2001 è applicabile al solo rapporto di lavoro a termine, al quale non è assimilabile il conferimento di un incarico temporaneo a dipendente assunto con contratto a tempo indeterminato.
3. Per la cassazione della sentenza M.M. ha proposto ricorso, articolato in tre motivi di censura, ai quali ha opposto difese ATER con controricorso.
4. In prossimità dell’adunanza camerale del 30 marzo 2022 entrambe le parti hanno depositato memoria. Per ATER la memoria è stata depositata, tanto dai difensori originari, che dai difensori avvocati E. e F., costituiti in data 17 marzo 2022.
5. La causa è stata poi fissata in pubblica udienza in ragione dell’importanza delle questioni giuridiche coinvolte.
6. La Procura Generale ha depositato conclusioni scritte ex art. 23, comma 8 bis del d.l. n. 137/2020, convertito in legge n. 176/2020, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
7. L’ATER ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 4 l. r. Abruzzo 21 luglio 1999 n. 44, dell’art.1 dello Statuto dell’ATER di Teramo nonché dell’art.1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e del CCNL richiamato dall’art.26 l.r. Abruzzo 21 luglio 1999 n. 44.
Il ricorrente deduce che, alla stregua della legge regionale istitutiva (l.r. Abruzzo 21 luglio 1999 n. 44, art.4, comma 1) e dello Statuto (art.1) ATER Teramo è ente pubblico economico, come tale estraneo all’ambito di applicazione del d.lgs n. 165/2001, delimitato dall’art.1 dello stesso decreto.
Aggiunge, a conferma della natura privatistica del rapporto di lavoro, che l’art.26 della l.r. Abruzzo n. 44/1999 stabiliva l’applicazione, entro un anno dalla data di approvazione delle dotazioni organiche, dei contratti collettivi di lavoro del personale della Confederazione Italiana Servizi Pubblici Enti Locali - CISPEL FEDERCASA, effettivamente applicato da ATER Teramo dal gennaio 2003, in forza di delibera del Consiglio di Amministrazione del 24 giugno 2003 n. 18.
2. La seconda critica, ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 l.r. Abruzzo 21 luglio 1999 nr. 44 e dell’art. 1 dello Statuto dell’ATER nonché dell’art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001 nr. 165 e del CCNL richiamato dall’art. 26 l.r. Abruzzo 21 luglio 1999 nr. 44, del R.D. 16 giugno 1938 nr. 1303 e di ogni altra norma in materia di ente pubblico economico.
Il ricorrente deduce che ha errato la Corte distrettuale nel ritenere che la regolamentazione privatistica sia incompatibile con la finalità istituzionale di ATER e con i poteri di indirizzo e di controllo della Regione. Evidenzia che gli enti pubblici economici sono enti che perseguono un fine pubblico con criteri di economicità e, pertanto, ben poteva la Regione Abruzzo avvalersi di un modello imprenditoriale di carattere privatistico, atteso che per la qualificazione dell’ente pubblico come economico rilevano, non il fine pubblico perseguito o l’oggetto dell’attività, bensì le modalità concrete attraverso le quali tale ente opera sul mercato.
3. La terza critica è proposta, sempre ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ., sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ., nel testo applicabile ratione temporis.
Si assume che dalla corretta qualificazione di ATER come ente pubblico economico deriva l’applicazione dell’art. 2103 cod.civ., in luogo dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, con conseguente diritto all’inquadramento nella qualifica dirigenziale, posto che, come accertato nella sentenza impugnata e provato dai documenti di causa, le mansioni dirigenziali erano state svolte dal 9 aprile 2003 al 1° dicembre 2009.
4. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro connessione logica e giuridica, è fondato.
Deve essere respinta l’eccezione, preliminarmente opposta dal controricorrente, di inammissibilità del gravame, per non essere stato impugnato il capo della decisione inerente all’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 21 CCNL Confservizi.
Invero, tale ratio non è autonomamente decisiva, giacché il diritto alla promozione automatica deriverebbe, secondo quanto dedotto con il terzo motivo di ricorso, direttamente dall’art. 2103 cod. civ., nella formulazione vigente ratione temporis, che prevede, all’ultimo comma, la nullità di ogni patto contrario.
La deroga all’art. 2103 cod. civ. disposta dall’art. 6 L. 13 maggio 1985 nr. 190 in ipotesi di passaggio alla qualifica di quadro o di dirigente riguarda soltanto il periodo di esercizio delle mansioni superiori (fissato in un minimo di tre mesi o nel periodo superiore determinato dalla contrattazione collettiva), ma non anche la possibilità della contrattazione collettiva di escludere la promozione automatica. Sotto questo profilo, l’applicabilità o inapplicabilità dell’art. 21 CCNL Conferservizi resterebbe del tutto irrilevante rispetto al diritto alla qualifica superiore.
Neppure rileva, per escludere l’interesse del ricorrente all’impugnazione, la circostanza dell’intervenuta soppressione della posizione dirigenziale già assegnata allo stesso nel periodo di causa, giacché la controversia in discussione verte sul diritto alla qualifica e non sul diritto ad un determinato incarico dirigenziale.
5. Venendo all’esame delle censure, occorre muovere dal rilievo che la l.r. Abruzzo 21 luglio 1999 nr. 44, agli articoli 2 e 3, ha trasformato gli Istituti Autonomi Case Popolari (I.A.C.P.) della stessa Regione ed ha istituito una Azienda Regionale per l’Edilizia e il Territorio (ARET), con sede nel capoluogo di Regione, e cinque Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale Pubblica, tra le quali ATER Teramo.
5.1. La competenza legislativa della Regione in materia di edilizia residenziale pubblica, già prima della riforma costituzionale del 2001, era riconducibile al previgente art. 117 Cost., comma 1, in quanto gli Istituti Autonomi delle Case Popolari dovevano essere considerati come enti regionali (Corte Cost. n. 1115 del 1988).
Allo Stato era riservata, dunque, nel previgente assetto costituzionale, la regolazione dei principi fondamentali della materia, dettati dalla Legge Quadro 27 ottobre 1971 n. 865. In quel contesto gli I.A.C.P. avevano prevalente natura pubblico-assistenziale e, dunque, costituivano enti pubblici non economici.
5.2. Dopo la riforma costituzionale del 2001 la Corte Costituzionale (Corte Cost. n. 94 del 2007) ha ricondotto la materia dell'edilizia residenziale pubblica a tre livelli normativi, di cui il primo riguarda la determinazione dell'offerta minima di alloggi destinati a soddisfare le esigenze dei ceti meno abbienti che, qualora esercitata, rientra nella competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117 Cost., comma 2, lett. m). In essa si inserisce la fissazione di principi finalizzati a garantire l'uniformità dei criteri di assegnazione su tutto il territorio nazionale.
Il secondo livello normativo è quello attinente alla programmazione degli insediamenti di edilizia residenziale pubblica, che ricade nella materia «governo del territorio», oggetto di legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117 Cost., comma 3.
Infine il terzo livello normativo, rientrante nell'art. 117 Cost., comma 4, ovvero nella competenza esclusiva residuale delle Regioni, riguarda la gestione del patrimonio immobiliare di edilizia residenziale pubblica di proprietà degli Istituti Autonomi per le Case Popolari o degli altri enti che a questi sono stati sostituiti ad opera della legislazione regionale.
L’organizzazione degli enti che gestiscono il patrimonio di edilizia residenziale pubblica è, dunque, materia di competenza legislativa esclusiva residuale della Regione (cfr. in motivazione Cass. n. 18013/2022 e Cass. n. 29617/2019).
5.3. All’esito della riforma costituzionale, la legislazione regionale ha provveduto all’istituzione di enti variamente denominati (Aziende, Agenzie, e simili), accomunati dall’adozione di un nuovo modello, di tipo imprenditoriale.
In tale contesto, la l.r. Abruzzo del 21 luglio 1999 nr. 44 all’art. 4, comma 1, ha definito l’ARET e le ATER come enti pubblici economici, dotati di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, amministrativa e contabile e di proprio statuto approvato dal Consiglio Regionale, ed ha aggiunto, al comma 2, che tali enti «informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l’obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi».
In conformità a tale natura di ente economico, sono disciplinate: dall’art. 22, la contabilità delle ATER¿ «strutturata in maniera da garantire le stesse informazioni fornite dalle società private seguendo, nella redazione dei bilanci, i medesimi principi contabili»¿ e dall’art. 23 le fonti di finanziamento, consistenti nei canoni di locazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, nei rimborsi da parte della Regione delle spese tecniche relative a programmi di edilizia residenziale pubblica, nelle somme incamerate a seguito dell’alienazione del patrimonio immobiliare, negli ulteriori proventi delle loro attività.
In coerenza con la nuova organizzazione degli enti, l’art. 26, comma 1, come sostituito dall’art. 3 l.r. 23 febbraio 2000 nr. 19, ha previsto che la disciplina giuridica ed il trattamento economico del personale delle ATER è quella risultante dai vigenti CCNL del personale della Confederazione Italiana Servizi Pubblici Enti Locali (Cispel)- Federcasa. Pertanto, la natura di ente pubblico economico di ATER Teramo non può essere posta in discussione, sia in ragione della qualificazione ex lege, sia per la coerenza dell’impianto normativo alla suddetta definizione.
6. Di conseguenza la disciplina dei rapporti di lavoro instaurati dalle ATER abruzzesi non può essere tratta dal d.lgs. n. 165/2001 perché, da un lato, l’art. 1, comma 2, dello stesso decreto, nel definire le «amministrazioni pubbliche», include nelle stesse solo gli enti pubblici non economici; dall’altro l’art. 2093 cod. civ., tuttora vigente pur all’esito dell’abrogazione dell’ordinamento corporativo, estende ai dipendenti degli enti pubblici economici lo stato giuridico degli impiegati privati, salva espressa deroga di legge.
Hanno osservato al riguardo le Sezioni Unite di questa Corte che «funzionale ad un efficace e produttivo esercizio dell'impresa risulta sovente, segnatamente nell'area dei servizi pubblici, una organizzazione incentrata su rapporti di impiego privato per risultare utile che l'ente dispieghi la sua attività a parità di condizioni e che si avvalga, pure, dei medesimi mezzi e strumenti adoperati dai privati imprenditori» ( Cass. S.U. n. 14672/2003).
La natura privatistica dei rapporti che si instaurano con gli enti pubblici economici e la non assimilabilità degli stessi a quelli di impiego pubblico, è stata ribadita dall’art. 37 della legge n. 300/1970, che, al pari dell’art. 409 nn. 4 e 5 cod. proc. civ., significativamente ha differenziato il lavoro alle dipendenze degli enti che svolgono attività economica da quello instaurato con gli altri enti pubblici, ed è stata riaffermata, anche all’esito della contrattualizzazione dell’impiego pubblico, dalla Corte Costituzionale la quale, in recente decisione (cfr. Corte Cost. n. 100/2019), ha escluso che il legislatore regionale possa intervenire nella materia dell’ordinamento civile e sottrarre all’applicazione della disciplina dettata dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa i rapporti di impiego instaurati con enti pubblici economici regionali.
6.1. L’applicabilità ai dipendenti delle ATER delle disposizioni dettate dal d.lgs. n. 165/2001 non può neppure essere affermata facendo leva sul fatto che nell’elencazione dettata dal già richiamato art. 1 figurino tuttora gli Istituti Autonomi Case Popolari, atteso che, si è già detto, quegli enti avevano prevalente natura pubblico-assistenziale e, in quanto tali, si inscrivevano a pieno titolo fra gli enti pubblici non economici.
Va, pertanto, ribadito il principio, già enunciato da Cass. n. 24375/2019, secondo cui l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 non può essere interpretato «in senso dinamico», ossia considerando incluse nelle pubbliche amministrazioni anche le Aziende per l'edilizia residenziale pubblica, solo perché subentrate nelle competenze in passato attribuite agli Istituti Autonomi Case Popolari, occorrendo, invece, tener conto dell’assetto che ai nuovi enti è stato dato dal legislatore regionale, la cui potestà non è limitata nelle scelte organizzative, dalle quali deriva, solo come effetto indiretto, l’incidenza sulla disciplina del rapporto di lavoro (cfr. Corte Cost. n. 25/2021).
6.2. Né per escludere l’applicazione della disciplina dettata dal codice civile ai rapporti di lavoro instaurati con enti pubblici economici, affermata dal legislatore, si può fare leva, nel singolo contesto, sul carattere strumentale dell’ente che viene in rilievo, sulle finalità pubbliche che lo stesso persegue, sui controlli ai quali il medesimo è assoggettato.
L’ente pubblico economico si caratterizza perché ha lo scopo di svolgere in via esclusiva o prevalente un’attività di impresa secondo il criterio dell’economicità della gestione, ossia del tendenziale equilibrio fra costi e ricavi, e l’assoggettamento alle regole del diritto privato si giustifica perché l’attività medesima, non dissimile da quella svolta dal privato, richiede procedure snelle, non compatibili con i vincoli posti dalle regole dell’agire amministrativo.
Nondimeno, al pari di ogni altro ente pubblico, quello economico, in tanto viene istituito, in quanto la sua attività sia posta al servizio di interessi generali che, nel settore di competenza dell’ente, lo Stato o le Regioni intendono perseguire. Ed è proprio la presenza di detta finalità che giustifica, non solo l’attribuzione della natura pubblica, ma anche il riconoscimento, sia pure a limitati fini, di poteri autoritativi esercitati secondo le regole del diritto amministrativo (cfr. in motivazione le citate Cass. S.U. n. 14672/2003 e Cass. n. 24375/2019) nonché il rapporto di strumentalità che si instaura con l’amministrazione di riferimento, che è anch’esso retto dalle regole del diritto pubblico.
Gli elementi sui quali ha fatto leva la Corte territoriale per giustificare l’estensione all’ATER della disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001 sono, in realtà, connaturati all’ente pubblico economico e, quindi, non possono essere valorizzati per affermare, in contrasto con la chiara disciplina normativa statale e regionale, la natura pubblica dei rapporti di impiego instaurati con il personale dell’ente e la sottrazione degli stessi all’applicazione delle disposizioni del libro V del codice civile.
7. Chiarito, dunque, che l’indiscussa natura di ente pubblico economico rende applicabile alla fattispecie l’art. 2093 cod. civ., va detto ancora che il sistema delle fonti non è dissimile da quello disegnato dal legislatore per le società a partecipazione pubblica, perché è al diritto privato che occorre fare riferimento, in difetto di una specifica norma derogatoria dettata dal legislatore statale.
Quanto al tema che qui ci occupa, pertanto, valgono, mutatis mutandis, le medesime considerazioni sulla base delle quali Cass. n. 35421/2022 e Cass. n. 35422/2022, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ., hanno ritenuto applicabile allo svolgimento di mansioni superiori da parte di dipendenti delle società controllate dall’ente pubblico l’art. 2103 cod. civ., nel testo vigente ratione temporis, e non l’art. 52 del d.lgs. n. 165/2001, la cui applicazione resta circoscritta ai rapporti di impiego che si instaurano con le amministrazioni pubbliche indicate nell’art. 1 dello stesso decreto.
8. Né si può fare leva, per escludere l’applicazione dell’art. 2103 cod. civ. ed affermare la nullità dell’assegnazione a mansioni superiori, sul percorso argomentativo sulla base del quale Cass. n. 9565/2021 è pervenuta ad escludere che si possano convertire in rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato i contratti di lavoro flessibili illegittimamente instaurati dalle ATER della Regione Abruzzo.
Quel principio è stato affermato valorizzando la legislazione regionale che, pur nella pacifica natura di ente pubblico economico delle menzionate ATER, impone per l’accesso all’impiego la previa selezione concorsuale, selezione che, fatta salva un’espressa disposizione di legge o statutaria, non è richiesta per l’assunzione da parte degli enti pubblici economici, anche in questo equiparati ai datori di lavoro privati (cfr. art. 4 bis del d.lgs. n. 181/2000).
La selezione concorsuale prevista dalla legislazione regionale ai fini dell’instaurazione del rapporto, però, non può venire in rilievo allorquando, come nella fattispecie, si discuta dell’acquisizione della qualifica per effetto dello svolgimento di mansioni superiori, perché, con riferimento ai rapporti di impiego privato, qual è quello che intercorre con l’ente pubblico economico, da tempo questa Corte ha affermato, senza che il principio sia mai stato rimesso in discussione, che il mutamento delle mansioni e della qualifica non comporta novazione oggettiva. L’art. 2103 cod. civ., infatti, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, prevedendo la possibilità di assegnazione del lavoratore a mansioni diverse, considera il mutamento delle mansioni originarie come semplice modificazione della prestazione, anche nell’ipotesi in cui ad esso consegua, con l'attribuzione di un'altra qualifica, l'applicazione di una diversa normativa collettiva (cfr. Cass. n. 11/1988).
9. In via conclusiva il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’Appello indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame attenendosi al principio di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enuncia: « Il rapporto di lavoro che intercorre con l’ente pubblico economico ha natura privatistica ed allo stesso si applica, in difetto di specifiche disposizioni di legge derogatorie, la disciplina dettata dal codice civile e dalle leggi sul rapporto subordinato di lavoro alle dipendenze delle imprese private. L’assegnazione a mansioni superiori è, quindi, disciplinata dall’art. 2103 cod. civ. e non dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001».
Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
10. Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione.