Tale momento coincide con la data della richiesta stragiudiziale di pagamento oppure della proposizione della domanda giudiziale, non essendo necessaria la liquidazione giudiziale.
Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda dell'avvocato che chiedeva il pagamento del suo compenso professionale a una nota Casa di moda. A seguito di gravame, la Corte territoriale accoglieva parzialmente l'appello della convenuta fissando la decorrenza degli interessi dal deposito della sentenza. L'avvocato impugna tale decisione mediante ricorso...
Svolgimento del processo
Nel 2007 l’avv. M. G. S. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la C. D. C. con una domanda di pagamento della somma di € 348.262,84 a titolo di onorario di avvocato (nonché accessori), proposta in rito ordinario di cognizione. In primo grado la domanda veniva accolta in parte (per circa € 191.000,00. In secondo grado è stato accolto parzialmente l’appello principale della convenuta, con fissazione della decorrenza degli interessi dal deposito della sentenza.
Ricorre in cassazione l’attore con un unico motivo, illustrato da memoria. Resiste la convenuta con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
1. - Con l’unico motivo si censura che la Corte di appello di Roma abbia fissato la decorrenza degli interessi legali sulla somma dovuta dal giorno del deposito della sentenza di primo grado (09/06/2011) e non già dal giorno della costituzione in mora (16/11/2006). Si deduce violazione degli artt. 1219, 1224, 1229, 1282 c.c.
Il motivo è fondato.
L’orientamento giurisprudenziale applicato dalla corte territoriale attraverso il richiamo a Cass. 2954/2016 è superato. Richiesto il cliente del pagamento di compensi per prestazioni professionali da parte dell’avvocato, gli interessi ex art. 1224 c.c. competono dal giorno della messa in mora, cioè dalla data della richiesta stragiudiziale di pagamento oppure della proposizione della domanda giudiziale, cioè senza che sia necessaria la liquidazione giudiziale (né che rilevi il rito prescelto).
Si rinvia a Cass. 24973/2022 per la compiuta argomentazione delle ragioni, che fluiscono dalla considerazione che nell’ordinamento italiano non ha trovato riconoscimento il principio romanistico in illiquidis non fit mora; quindi: (a) la liquidità del debito non è necessaria alla messa in mora; (b) se è vero che la mora presuppone la colpa del debitore, è vero anche che la colpa è esclusa dalla impossibilità di quantificare assolutamente l’entità della prestazione, non già quando il debitore possa ragionevolmente compierne una stima, in questo caso sulla base della quantificazione operata dall’avvocato con la richiesta di pagamento, restando salva la commisurazione concreta degli interessi alla cifra accertata all’esito dell’eventuale processo giurisdizionale.
In conclusione, il motivo è accolto. Nel caso di specie, il 16/11/2006 è la data di costituzione in mora, così come accertata dalla sentenza di primo grado ex d. lgs. 231/2002; pertanto, decorrono da tale data gli interessi ex art. 1224 c.c., commisurati all’importo poi liquidato giudizialmente. Poiché ulteriori accertamenti di fatto non si rendono necessari, la causa è da decidere nel merito in questo senso, in questa sede.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, decide la causa nel merito fissando la decorrenza degli intessi alla data del 16/11/2006, conferma la statuizione sulle spese di lite della Corte di appello di Roma, condanna la parte contro- ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della parte ricorrente, che liquida in € 5.250, oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.