Per giungere alla risoluzione del contratto di patrocinio, infatti, il cliente deve provare non solo di aver subito un danno, ma anche che esso sia stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del legale.
L'avvocato chiedeva al cliente il pagamento dei compensi a lui spettanti per l'attività difensiva svolta nella procedura monitoria e nel giudizio di opposizione definito con sentenza dal Tribunale di Potenza. Dal canto suo, il cliente eccepiva il grave inadempimento dell'avvocato per non averlo compiutamente informato del deposito da parte della controparte di un prospetto...
Svolgimento del processo
- con ricorso dell’8 febbraio 2021 proposto ex art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, l’avvocato G. D. chiedeva la condanna di P.L. al pagamento dei compensi, quantificati in euro 2.738,00 oltre spese generali ed accessori di legge, con parcella vidimata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, a lui spettanti per l’attività difensiva svolta nella procedura monitoria e nel giudizio di opposizione definito con sentenza n. 292/2020 dal Tribunale di Potenza;
- instaurato il contraddittorio, P. L. resisteva ed eccepiva il grave inadempimento dell’avvocato, per non avere questi svolto la propria attività professionale con la diligenza necessaria. Deduceva, in particolare, che l’avvocato D. non lo aveva compiutamente informato del deposito, ad opera della controparte nel giudizio presupposto, di un prospetto di pagamenti asseritamente effettuato da quest’ultima, privandolo, così, della possibilità di eccepirne la falsità nonché di svolgere un’adeguata attività difensiva. Pertanto, proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto d’opera intellettuale per grave inadempimento e, in via subordinata, la riduzione del compenso preteso. Il Tribunale di Potenza, con ordinanza n. 1595 del 2021, accoglieva integralmente la domanda principale e rigettava la domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto d’opera intellettuale, liquidando il compenso secondo i minimi tariffari di cui al D.M. 55/2014.
In particolare, il giudice adito riteneva che l’inadempimento del professionista non fosse di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto di patrocinio, riconducendo la fattispecie all’ipotesi di cui all’art. 1455 c.c., avendo riguardo al criterio di proporzionalità, alla parzialità dell’inadempimento e alle conseguenze prodotte sulla quantificazione del credito, ritenendo, al più, sussistenti le condizioni per la proposizione di una domanda risarcitoria, non formulata dal L.;
- per la cassazione dell’ordinanza del Tribunale di Potenza ricorre il L. sulla base di un unico motivo, cui l’avvocato D. resiste con controricorso;
- in prossimità dell’adunanza camerale parte controricorrente ha curato il deposito di memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
- il ricorrente, con un unico motivo, lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto il comportamento professionale dell’Avvocato D. non costituente grave inadempimento. In particolare, il ricorrente si duole del fatto che il Tribunale, nel valutare la consistenza dell’inadempimento, non avrebbe tenuto in debita considerazione il principio di affidamento nei confronti del professionista, dovendo ritenere applicabile all’ipotesi dell’omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il proprio cliente, «la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”». Il ricorrente ritiene, quindi, che il Tribunale non avrebbe correttamente applicato l’art. 1455 c.c. non avendo comparato l’interesse della parte con l’eccepito inadempimento, che avrebbe alterato in misura apprezzabile il diritto dell’odierno ricorrente.
La doglianza che nella sostanza si risolve nella denuncia di omesso esame di fatti decisivi è, almeno in parte, affetta da profili di inammissibilità, in quanto non rispondente appieno al canone prescritto da Cass., Sez. Un., Sentenza n. 8053 del 2014, a mente del quale, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), c.p.c., il ricorrente deve indicare: 1) il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso; 2) il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente; 3) il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti; 4) la sua "decisività".
Il motivo di ricorso articolato dal ricorrente, invece, da un lato, enumera una serie di circostanze fattuali relative al giudizio nel quale è stato difeso dal controricorrente, senza però in alcun modo puntualizzare né da dove esse risultino né quando e dove siano state oggetto di discussione e, dall’altro lato, viene ad addurre profili (quali la responsabilità del professionista per la mancata presa di specifica posizione nel merito delle eccezioni e delle contestazioni mosse dalla opponente, il mancato disconoscimento del documento in cui era riportato il riepilogo dei pagamenti, non sottoscritto dal ricorrente) che non costituiscono “fatti”, bensì questioni o argomentazioni, in tal modo venendo ad estendere in modo inammissibile il paradigma normativo dell’art. 360, n. 5), c.p.c. (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
Né il ricorrente ricostruisce i fatti decisivi sulla base dei quali il Tribunale avrebbe dovuto ritenere grave l’inadempimento del professionista.
Ulteriormente, l’insieme di circostanze dedotte -laddove esse non trasmodino in mere argomentazioni giuridiche- appaiono del tutto prive del carattere della “decisività”, sol che si consideri che l’omessa informazione dell’assistito sulla documentazione prodotta dalla parte avversa nel giudizio presupposto ovvero circa le difese dalla medesima assunte con necessità di prendere posizione non tiene conto che si tratta di fatti dei quali non è stato comunque chiarito se siano stati assunti dal giudice ad quem a fondamento del proprio convincimento, dovendosi rammentare che il giudice non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 16034 del 2002).
D’altra parte, per principio consolidato di questa Corte in materia di responsabilità del professionista, il cliente è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dalla insufficiente o inadeguata attività del professionista e cioè dalla difettosa prestazione professionale. Pertanto l'inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira il cliente, ma soltanto dalla violazione del dovere di diligenza adeguato alla natura dell'attività esercitata, ragion per cui l'affermazione della responsabilità dell'avvocato implica la prova - sulla scorta degli elementi che il cliente ha l'onere di fornire - che se il professionista avesse compiuto l'attività omessa il cliente avrebbe conseguito vantaggi economicamente valutabili (ex multis, Cass. n. 20828 del 2009).
In applicazione di tale principio è stato ritenuto, quindi, che l'inadempimento del professionista nei riguardi del cliente non può essere desunto dal mancato raggiungimento del risultato utile cui mira quest'ultimo, ma soltanto dalla violazione da parte del professionista del dovere di diligenza inerente ed adeguato alla natura dell'attività esercitata; nel senso che l'affermazione della sua responsabilità implica l'indagine - positivamente svolta sulla base degli elementi di prova che il cliente ha l'onere di fornire - circa il sicuro e chiaro fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata, e, in definitiva, la certezza morale che gli effetti di una diversa sua attività sarebbero stati più vantaggiosi per il cliente (Cass. n. 5364 del 1977 e Cass. n. 1831 del 1977).
Rammentato il principio, il Tribunale ha evidenziato che l’inadempimento del professionista – sicuramente da riferire alla mancata contestazione di due pagamenti per complessivi euro 1.000,00 – non integrava la gravità necessaria per pronunciare la risoluzione del contratto, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte, trattandosi nella specie di ipotesi da ricondurre ad inesatto adempimento della prestazione.
La denuncia di violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c. è dunque priva di consistenza, perché le critiche rivolte dal ricorrente consistono, in realtà, nell'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta dovuta alla inesatta valutazione del materiale istruttorio (ex plurimis, Cass., Sez. Un., n. 20867 del 2020).
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore di G. D. che si liquidano in complessivi euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario (15%), iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.