Home
Network ALL-IN
Quotidiano
Specializzazioni
Rubriche
Strumenti
Fonti
16 agosto 2023
La distinzione tra appalto e vendita di cosa futura ai fini contributivi

La responsabilità quale coobbligato solidale ex art. 29 D.Lgs. n. 276/2003 trova applicazione solo in relazione allo schema contrattuale tipico previsto dalla disposizione, ossia al contratto di appalto, e dunque nei confronti del “committente”.

di La Redazione

La Corte d'Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale con la quale era stata accolta l'opposizione di una società al decreto ingiuntivo richiesto ai fini del pagamento di obblighi contributivi previdenziali nelle vesti di coobbligato solidale ai sensi dell'art. 29 D.Lgs. n. 276/2003.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione l'INPS, lamentando il fatto che i Giudici avessero escluso l'applicabilità della suddetta disposizione alla vendita di cosa futura, non avendo ritenuto provati i presupposti del credito azionato.

Con l'ordinanza n. 16283 dell'8 giugno 2023, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso, chiarendo innanzitutto la distinzione tra appalto e vendita di cosa futura.
Con riferimento al contratto avente ad oggetto la costruzione e installazione di un impianto, gli Ermellini evidenziano che si configura una vendita di cosa futura, e non un appalto, laddove le parti abbiano considerato l'attività produttiva come mero strumento per ottenere il bene da trasferire e ciò deve essere riconosciuto quando detto impianto configura un prodotto strettamente di serie del venditore e quando, pur rientrando nella normale attività e non richiedendo alcuna modifica in termini di organizzazione imprenditoriale, l'impianto presenta caratteristiche e qualità specifiche con riferimento al compratore e siano promesse espressamente dal venditore stesso, così da giustificare la risoluzione del contratto in caso di mancanza.
Al contrario, si configura un appalto allorché il contratto con il quale il venditore si obbliga a fornire ad altro soggetto manufatti rientranti nella sua normale attività produttiva apportando modifiche tali da dar luogo ad un prodotto diverso rispetto a quello realizzato normalmente, richiedente altresì un cambiamento dei mezzi di produzione predisposti per la lavorazione in serie e incidendo sul costo del lavoro e sull'assunzione di responsabilità da parte del fornitore in relazione all'esecuzione delle opere lui affidate.
Più di recente, la Cassazione ha aggiunto che 

giurisprudenza

«ai fini della differenziazione tra vendita ed appalto, quando alla prestazione di fare, caratterizzante l'appalto, si affianchi quella di dare, tipica della vendita, deve aversi riguardo alla prevalenza o meno del lavoro sulla materia, con riguardo alla volontà dei contraenti oltre che al senso oggettivo del negozio, al fine di accertare se la somministrazione della materia sia un semplice mezzo per la produzione dell'opera ed il lavoro lo scopo del contratto (appalto), oppure se il lavoro sia il mezzo per la trasformazione della materia ed il conseguimento della cosa l'effettiva finalità del contratto (vendita)».

Con riguardo al caso concreto, la società acquistava beni su catalogo non dando istruzioni al venditore in termini di realizzazione del bene, dunque non può dubitarsi dell'inquadramento della fattispecie nella vendita di cosa futura.
Di conseguenza, gli Ermellini rigettano il ricorso e pronunciano il principio di diritto secondo cui:

ildiritto

«in tema di pagamento dei contributi previdenziali dovuti per i dipendenti dell'appaltatore, la responsabilità quale coobbligato solidale ex articolo 29 decreto legislativo n. 276 del 2003 –in quanto responsabilità di carattere eccezionale in relazione a debiti altrui- trova applicazione solo in relazione allo schema contrattuale tipico previsto dalla disposizione, ossia al contratto di appalto, e dunque nei confronti del “committente” (avente i caratteri ulteriori indicati dalla norma), restando invece esclusa la detta responsabilità in relazione ad altri schemi contrattuali, quale ad esempio la vendita di cosa futura».