La convivenza familiare non può ritenersi esclusa dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare. Pertanto, anche in una siffatta ipotesi, non si può omettere di indicare, nell'istanza di ammissione, il reddito dei familiari conviventi.
In un giudizio avente ad oggetto la revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio, il beneficiario ricorre in Cassazione lamentando, tra i motivi di doglianza, la violazione degli
Svolgimento del processo
Con due distinti provvedimenti emessi, rispettivamente, il 2 e il 23 gennaio 2017, il Tribunale di Varese revocava l’ammissione di W.B. al beneficio del gratuito patrocinio, disposta in via anticipata e provvisoria dal locale Consiglio dell’Ordine Forense in relazione ai giudizi civili distinti dai numeri 3049/2010 e 2867/2012 R.G., svoltisi dinanzi al medesimo ufficio giudiziario; nel contempo, respingeva l’istanza di liquidazione dei compensi formulata dal suo procuratore, avv. A.V., con riferimento all’attività difensiva espletata nell’àmbito dei suddetti procedimenti.
L’opposizione ex art. 170 D.P.R. n. 115 del 2002 successivamente spiegata dal B. e dall’avv. V. veniva respinta dallo stesso Tribunale varesino con ordinanza del 18 gennaio 2018.
Avverso tale ordinanza i soccombenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Il Ministero della Giustizia, unico soggetto passivamente legittimato, è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, e 380-bis.1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la nullità dell’ordinanza impugnata per essere stata emessa da un magistrato diverso dal Presidente del Tribunale, in violazione dell’art. 15, comma 2, D. Lgs. n. 150 del 2011, norma che attribuisce al capo dell’ufficio giudiziario adìto la competenza funzionale a pronunciare sull’opposizione ex art. 170 D.P.R. n. 115 del 2002.
Con il secondo motivo sono dedotte la violazione e la falsa applicazione degli artt. 76 e 136, comma 2, D.P.R. cit..
Si sostiene che, ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, i redditi del B. non andavano sommati a quelli prodotti dalla sua ex compagna di vita S.P., emergendo ex actis che il rapporto di convivenza fra i due era già cessato da tempo e che il loro legame affettivo <risultava chiaramente venuto meno anche de facto> sin da quando l’odierno ricorrente era stato sottoposto a detenzione carceraria per aver riportato una condanna penale definitiva.
La censura viene ripresa nella parte finale del quarto motivo, ove leggesi che <ciò che normativamente rileva ai fini dell’ammissione al beneficio non è l’esistenza o meno di un rapporto affettivo o la relativa affettività tra due persone…, bensì la coabitazione materiale, fisica, che, per tabulas, è unicamente dimostrabile attraverso il certificato a ciò redatto, ovvero quello di stato di famiglia>.
Con il terzo motivo, rubricato <violazione e falsa applicazione degli artt. 116 e 134 c.p.c.>, si rimprovera al Tribunale di non aver correttamente valutato la documentazione sottoposta al suo esame, e in particolare la certificazione anagrafica e fiscale pretesamente dimostrativa della sussistenza dei presupposti di legge per l’ammissione del B. al gratuito patrocinio, nonché di aver adottato, con riguardo all’opposizione relativa alla revoca del beneficio nel giudizio n. 2867/2012 R.G., un provvedimento del tutto carente di motivazione.
Con il quarto e ultimo motivo viene, infine, lamentata la violazione dell’art. 15, comma 5, D. Lgs. n. 150 del 2011 per avere il Tribunale omesso di chiedere d’ufficio le informazioni ritenute necessarie ai fini della decisione, nell’esercizio del potere-dovere espressamente attribuitogli dalla citata norma.
Il primo motivo è infondato.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, tra il Presidente di un ufficio giudiziario e i giudici da lui delegati non sono configurabili questioni di competenza in senso tecnico, bensì soltanto di distribuzione interna degli affari giurisdizionali in base alle tabelle di organizzazione dello stesso ufficio.
Non costituisce, pertanto, ragione di invalidità dell’ordinanza adottata all’esito del giudizio di opposizione ex artt. 170 D.P.R. n. 115 del 2002 e 15 D. Lgs. n. 150 del 2011 il fatto che questa sia stata pronunciata da un giudice diverso dal Presidente del Tribunale (cfr., in tal senso, Cass. n. 22292/2020, Cass. n. 164/2018, Cass. n. 18080/2013, Cass. n. 9879/2012).
La censura sviluppata nel secondo motivo e nella parte conclusiva del quarto è priva di fondamento, non sussistendo, nel caso di specie, la dedotta violazione delle norme di diritto evocate dai ricorrenti.
Ai sensi dell’art. 76, comma 2, D.P.R. n. 115 del 2002, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito da tenere in considerazione ai fini dell’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che nella materia di cui si discetta la locuzione ”componente della famiglia“ ha una sua specifica pregnanza, avendo il legislatore voluto tenere conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque concorrono a formare il reddito familiare del soggetto richiedente il beneficio; e ciò in quanto non sarebbe conforme ai princìpi costituzionali di solidarietà, di equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale il fatto di gravare i contribuenti del costo della difesa di chi può fruire dell’apporto economico dei vari componenti il nucleo familiare, ancorchè il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio.
Deve, pertanto, ritenersi costituzionalmente orientata l’interpretazione della norma che considera ”familiari“ non soltanto coloro i quali sono legati all’istante da vincoli di consanguineità o comunque giuridici, ma anche quanti convivono con lui e contribuiscono al menage familiare.
Coerente con tale impostazione è l’ormai consolidato orientamento di legittimità che ritiene vadano computati anche i redditi del convivente more uxorio (Cass. Civ. n. 4975/2022, Cass. Pen. n. 109/2005, Cass. Pen. n. 19349/2005, Cass. Pen. n. 13265/2004), in linea con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale che ha portato al riconoscimento della famiglia di fatto“ quale situazione avente rilevanza giuridica.
È stato, inoltre, precisato che, in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il rapporto di convivenza familiare, essendo caratterizzato da continuativi rapporti di affetto, da costante comunanza di interessi e responsabilità, e dunque da un legame stabile e duraturo, prescinde dalla coabitazione fisica e non può ritenersi escluso dallo stato di detenzione, pur protratto nel tempo, di uno dei componenti del nucleo familiare, il quale, pertanto, anche in una siffatta ipotesi, non può omettere di indicare, nell’istanza di ammissione, il reddito dei familiari conviventi (cfr. Cass. Pen. n. 15715/2015, Cass. Pen. n. 17374/2006).
Proprio perchè la convivenza realizza una situazione di fatto e non di diritto, la sua prova non può scaturire, del tutto formalisticamente, dalle sole risultanze anagrafiche, essendo invece ricavabile da ogni accertata evenienza fattuale che, nella sostanza e nella realtà, dia contezza della sussistenza di un simile rapporto (cfr. Cass. Pen. n. 37207/2022, Cass. Pen. n. 36559/2021, Cass. Pen. n. 11470/2017, Cass. Pen. n. 19349/2005).
Alla stregua delle suenunciate regulae juris, una volta appurato, sulla scorta delle informazioni fornite dall’Ufficio Finanziario di Varese, che la Panizza conviveva con il B. durante la pendenza dei giudizi civili di cui trattasi, rettamente il Tribunale ha tenuto conto anche dei redditi prodotti dalla donna in sede di verifica del non avvenuto superamento della soglia fissata dall’art. 76, comma 1, D.P.R. n. 115 del 2002, in mancanza di prova della cessazione del rapporto di convivenza.
Peraltro, a ben vedere, i ricorrenti non contestano che nel compiere un siffatto accertamento il giudice debba tenere conto anche dei redditi del convivente more uxorio della parte che richiede il beneficio.
Essi, invece, rimproverano al Tribunale varesino di non aver adeguatamente valutato la documentazione acquisita al processo, dalla quale emergerebbe che il rapporto di convivenza fra il B. e la P. era già cessato, <anche de facto>, all’epoca della presentazione dell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio.
Sicchè, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, il motivo degrada, in realtà, verso l’inammissibile richiesta di una rivalutazione dei fatti, così travalicando i limiti del modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360, comma 1, c.p.c., in quanto presuppongono una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti (cfr. Cass. n. 4247/2023, Cass. n. 17702/2022, Cass. n. 36754/2021, Cass. Sez. Un. n. 34476/2019).
Il terzo motivo è infondato.
Una censura relativa alla violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. può essere formulata in sede di legittimità soltanto ove si alleghi che il giudice di merito abbia disatteso delle prove legali, facendone oggetto di libero apprezzamento, o per contro abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza alcun vaglio critico, elementi soggetti a valutazione (cfr., ex multis, Cass. n. 6774/2022, Cass. n. 4727/2022, Cass. n. 40227/2021).
La descritta situazione non ricorre, in tutta evidenza, nel caso in esame, avendo il Tribunale fondato la decisione sul prudente apprezzamento della documentazione versata in atti, senza disattendere eventuali prove legali acquisite al processo.
Anche la doglianza in esame, quindi, in sostanza si traduce in un’inammissibile richiesta di rivisitazione del merito.
Per il resto, deve escludersi che l’impugnata ordinanza sia del tutto immotivata nella parte in cui ha respinto l’opposizione avverso la revoca dell’ammissione al gratuito patrocinio nel giudizio civile iscritto al n. 2867/2012 R.G., risultando evidente dalla lettura del provvedimento che le argomentazioni svolte dal Tribunale a supporto del decisum si riferiscono anche a tale giudizio, e non unicamente a quello distinto dal n. 3049/2010 R.G., nell’àmbito del quale era stata trasmessa dall’Ufficio Finanziario di Varese una relazione informativa sulla situazione reddituale e patrimoniale del B..
Né la circostanza che detta relazione fosse stata richiesta soltanto in uno dei due procedimenti innanzi indicati impediva di utilizzarla, nel susseguente giudizio di opposizione in cui essa era confluita, anche al fine di verificare la correttezza del decreto di revoca adottato con riguardo all’altro procedimento.
L’ultimo motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 15, comma 5, D. Lgs. n. 150 del 2011, il Presidente investito dell’opposizione a decreto di pagamento di spese di giustizia può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione.
Nell’interpretare la citata disposizione normativa questa Corte ha statuito che il termine «può», in essa contenuto, va inteso non già come espressione di mera discrezionalità, bensì come potere- dovere del giudice di decidere «causa cognita», senza limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova (cfr. Cass. n. 23710/2022, Cass. n. 23133/2021, Cass. n. 2206/2020, Cass. n. 4194/2017).
Sennonchè, l’anzidetto principio di diritto è stato affermato con riferimento a fattispecie in cui l’opposizione era stata in tutto o in parte respinta unicamente a causa della mancata produzione ad opera dell’opponente di atti o documenti di cui il giudice aveva la disponibilità, in quanto contenuti nel fascicolo del procedimento presupposto (trattavasi, a seconda dei casi, del provvedimento opposto, della delibera di ammissione al beneficio, dell’istanza di liquidazione dei compensi, della nota specifica o della documentazione relativa all’attività professionale svolta dal difensore richiedente, et similia).
Esso, pertanto, non si attaglia alla presente fattispecie, dovendo escludersi che nei fascicoli relativi ai giudizi civili in cui il B. era stato ammesso al gratuito patrocinio fossero rinvenibili atti, documenti o informazioni necessari per colmare le lacune assertive e probatorie rilevate dall’ordinanza gravata.
Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto.
Nulla va statuito in ordine alle spese del presente giudizio, essendo il Ministero della Giustizia rimasto intimato.
Stante l’esito del ricorso, deve essere resa nei confronti degli impugnanti l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo, se dovuto.