Il Consiglio di Stato esclude la disparità di trattamento, posto che tali certificati promuovono gli uni il conseguimento di risparmi di energia primaria attraverso una riduzione dei consumi e gli altri la produzione di energia da fonte rinnovabile.
Il GSE rideterminava l'incentivo spettante ad un impianto, ingiungendo ad un srl la restituzione di più di 10mila certificati verdi, quantificando il valore economico di quest'ultimi in 920mila euro circa.
La società propone appello sostenendo l'applicabilità anche alla fattispecie in questione, e non solo ai “certificati bianchi” espressamente contemplati dal Legislatore, della novella introdotta dalla
Nella stessa sede, ha riproposti la questione di legittimità costituzionale di tale normativa, nella parte in cui essa non poteva applicarsi anche ai certificati verdi. Le due tipologie di incentivi, spiega il Consiglio, «obbedendo alla medesima ratio di promozione degli interventi di efficienza energetica e, dunque, del risparmio di energia elettrica primaria, non potrebbero essere assoggettati ad una diversa disciplina in tema di irretroattività dei provvedimenti di segno negativo adottati dal GSE se non in violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di disparità di trattamento di cui all'art. 3 della Costituzione».
Per il Consiglio, la questione di legittimità costituzionale della disciplina di cui all'
Infatti, certificati bianchi e certificati verdi rappresentano meccanismi incentivanti di fenomeni sensibilmente diversi, essendo volti «a promuovere gli uni il conseguimento di risparmi di energia primaria attraverso una riduzione dei consumi e gli altri la produzione di energia da fonte rinnovabile, attraverso l'introduzione dell'obbligo a carico dei produttori e degli importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili di immettere annualmente nel sistema elettrico nazionale una quota di elettricità proveniente da impianti alimentati da fonti rinnovabili».
Ne consegue che non può configurarsi nessuna disparità di trattamento, atteso che qualsiasi violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di ragionevolezza, presuppone una identità delle situazioni che risultino ingiustamente disciplinate in modo differente dal legislatore.
Con sentenza n. 5802 del 13 giugno 2023, il Consiglio di Stato rigetta l'appello.
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza (ud. 20 aprile 2023) 13 giugno 2023, n. 5802
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. L’oggetto del presente giudizio è costituito:
a) dal provvedimento GSE/P20160076621 del 23 settembre 2016, avente ad oggetto “Attività di controllo mediante verifica e sopralluogo ai sensi dell’art. 42 del D.Lgs. 28/2011 per l’impianto di cogenerazione abbinato alla rete di teleriscaldamento denominato “A.”, sito in Via (omissis), nel comune di (omissis) e identificato con il numero IAFR 3557. Comunicazione di esito”, con cui GSE – Gestore Servizi Energetici s.p.a., ha rideterminato l’incentivo spettante al suddetto impianto, ingiungendo alla C. s.r.l. la restituzione di n. 10.902 certificati verdi;
b) dalla nota GSE/P20170001041 del 9 gennaio 2017 con la quale GSE ha ingiunto alla C. s.r.l. il pagamento di euro 919.474,68 per la restituzione di n. 10.902 certificati verdi;
c) dalla nota GSE/P20160080349 dell’11 ottobre 2016 con la quale GSE ha quantificato in euro 919.474,68 il valore economico dei 10.902 certificati verdi che sarebbero stati percepiti in modo indebito e ne ha richiesto il pagamento entro 30 giorni;
d) dalla nota GSE/P20160056965 del 1° giugno 2016 con la quale GSE ha sospeso il procedimento di controllo per richiedere alla C. s.r.l. integrazioni ed osservazioni;
e) dal verbale di sopralluogo redatto dal GSE in data 18 febbraio 2016,
f) dalla nota GSE/P20160014441 del 12 febbraio 2016 con la quale GSE ha comunicato l’avvio del procedimento di controllo mediante sopralluogo.
2. Tali atti sono stati impugnati - inizialmente con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e poi, a seguito di opposizione ex art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, con giudizio trasposto dinanzi al Ta.r. per il Lazio - dalla C. s.r.l., società che gestisce una rete di teleriscaldamento denominata “Anaconda” sita nel comune di B. Torinese ed alimentata, in via prioritaria, da un impianto di cogenerazione entrato in esercizio il 15 ottobre 2008 e, in via sussidiaria, da tre caldaie a gas metano.
3. Essendosi vista richiedere dal GSE, a seguito di una serie di controlli, la somma suindicata, corrispondente ai certificati verdi percepiti - ma ritenuti dall’amministrazione non dovuti, perché relativi ad utenze termiche connesse non alla rete di teleriscaldamento così come originariamente costruita, ma ad estensioni della rete stessa, realizzate in data successiva al 31 dicembre 2009 (che, quindi, non avrebbero potuto concorrere alla determinazione della quota di energia termica per la quale il produttore ha diritto a richiedere tale tipologia di certificati) - la C. s.r.l. ha affidato la propria impugnazione a tre motivi (estesi da pagina 6 a pagina 24 del ricorso di primo grado) così rubricati:
I – violazione e falsa applicazione del d.m. 24 ottobre 2005 e del d.m. 21 dicembre 2007, eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria;
II - violazione e falsa applicazione del d.m. 24 ottobre 2005 e del d.m. 21 dicembre 2007 sotto altro profilo, eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria sotto altro profilo;
III – violazione degli artt. 7 ed 8 del d.m. 31 gennaio 2014, violazione dell’art. 10 della l. n. 241 del 1990, difetto di motivazione.
4. Il T.a.r. per il Lazio, con la sentenza n. 5010 del 4 maggio 2018, ha respinto il ricorso, corredato anche di motivi aggiunti, ritenendo che GSE avesse "correttamente sottratto dal valore HCT tutto il calore erogato alle utenze allacciate dopo il 31 dicembre 2009” ed ha compensato tra le parti le spese.
5. Avverso tale pronuncia la C. - divenuta nelle more C. B. s.r.l. in seguito all’acquisto del compendio aziendale da parte di tale società – ha proposto appello al Consiglio di Stato, formulando i seguenti motivi (estesi da pagina 5 a pagina 22 del ricorso):
I – erroneità, difetto ed illogicità della motivazione della sentenza, errore sui presupposti di diritto e travisamento dei fatti in relazione alla denunciata violazione e falsa applicazione del d.m. 24 ottobre 2005 e del d.m. 21 dicembre 2007;
II – erroneità difetto ed illogicità della motivazione della sentenza, travisamento dei fatti in relazione alla denunciata violazione e falsa applicazione del d.m. 24 ottobre 2005 e del d.m. 21 dicembre 2007 sotto altri profili;
III – erroneità, difetto ed illogicità della motivazione della sentenza in relazione alla denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 del d.m. 31 gennaio 2014, violazione dell’art. 10 della l.n. 241 del 1990;
IV – erroneità, difetto ed illogicità della motivazione della sentenza in relazione alla denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 89 della l.n. 124 del 2017 e dell’art. 42 commi 3 bis e 3 ter del d.lgs. n. 28 del 2011:
V – erroneità della sentenza in relazione alla richiesta sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 42 commi 3 bis e 3 ter del d.lgs.n. 28 del 2011 per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo del principio di parità di trattamento e non discriminazione.
6. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dello sviluppo economico e GSE – Gestore Servizi Energetici s.p.a., eccependo l’inammissibilità e, in ogni caso, l’infondatezza nel merito dell’impugnazione.
7. In data 11 novembre 2020 l’appellante ha depositato motivi aggiunti, così formulati:
i) illegittimità sopravvenuta/nullità per violazione e falsa applicazione dell’art. 56 comma 7 del d.l. 16 luglio 2020 n. 76, convertito in l. 11 settembre 2020 n.120 e dell’art. 42 commi 3 bis e 3 ter del d.lgs. n. 28 del 2011;
ii) in via subordinata, illegittimità costituzionale dell’art. 56 comma 7 del d.l. n. 76 del 2020 conv. in l.n. 120 del 2020 e dell’art. 42 commi 3 bis e 3 ter del d.lgs. n. 28 del 2011 per violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione sotto il profilo del principio di parità di trattamento e non discriminazione.
8. Con memorie depositate nelle date del 20 marzo 2023 e del 30 marzo 2023 il GSE e l’appellante hanno articolato ulteriormente le loro deduzioni e replicato alle argomentazioni avversarie.
9. All’udienza pubblica del 20 aprile 2023 la causa è stata, infine, trattenuta in decisione.
10. Con il primo motivo di impugnazione l’appellante ha lamentato l’errata interpretazione da parte del giudice di primo grado dei concetti di “estensione della rete di teleriscaldamento” e di “producibilità aggiuntiva” dettati dalla normativa di riferimento. In particolare, secondo la C. B., ai fini del calcolo dei certificati verdi spettanti, il T.a.r. avrebbe finito per travisare il concetto di “potenziamento” di cui al d.m. 24 ottobre 2005, non considerando “la grave carenza istruttoria del GSE e di fatto il sostanziale inadempimento della (sua stessa) ordinanza”.
11. Con il secondo motivo l’appellante ha, inoltre, dedotto che il giudice del primo grado non avrebbe correttamente inteso le caratteristiche di funzionamento della centrale e di alimentazione della connessa rete di teleriscaldamento, valutando non adeguatamente il fatto che la “preferenza” e la “priorità” dichiarate nell’utilizzo della fonte di cogenerazione ricadevano non sulle utenze cui destinare il calore cogenerato, ma sullo sfruttamento dell’impianto a fonte rinnovabile rispetto alle caldaie ausiliarie a fonte convenzionale; il T.a.r. avrebbe, poi, immotivatamente aderito alle metodologie di calcolo indicate da GSE, non prendendo in considerazione né la distribuzione stagionale, né le variazioni della domanda, fattori sicuramente influenti sulla “producibilità aggiuntiva” dell’impianto.
12. Tali censure si rivelano infondate e non possono essere accolte.
12.1. Il T.a.r., nella sentenza appellata, ha rigettato con dovizia di argomenti le corrispondenti doglianze già svolte in primo grado, sottolineando l’erroneità della diversa modalità di calcolo proposta dall’appellante, volta a determinare la quantità di certificati verdi spettanti attraverso un conteggio – sia pure parziale - anche dell’energia delle “nuove utenze”, nonostante la chiarezza della normativa vigente, per la quale gli impianti e le reti (e le loro estensioni) realizzati dopo il 31 dicembre 2009 non potevano essere ricompresi nell’incentivo in questione.
12.2. L’osservazione per la quale l’energia termica prodotta dalla sezione di cogenerazione non può che essere diretta indistintamente a tutte le utenze della rete, con conseguente impraticabilità di una distribuzione preferenziale della stessa alle utenze ricomprese nella rete originaria, come esistente prima del 31 dicembre 2009, appare, in verità, difficilmente contestabile ed i calcoli di GSE risultano esenti dalle dedotte manifeste criticità, non potendosi considerare le 16 utenze “nuove” - in quanto allacciate alla (successiva) estensione della rete preesistente - come ricomprese nel campo di applicazione dell’incentivo.
13. Parimenti non condivisibili sono le doglianze espresse dalla C. B. nel terzo motivo di appello in rapporto alla pretesa violazione del d.m. 31 gennaio 2014 e delle garanzie partecipative sancite dalla legge n. 241 del 1990, poiché da tutti gli atti di causa emerge che l’attività di controllo dell’impianto si è svolta nel rispetto della disciplina prevista in materia senza alcuna lesione del diritto di partecipazione dell’interessata (tempestivamente informata dell’avvio del procedimento) e con attenta valutazione delle osservazioni presentate (in parte anche accolte da GSE, che risulta aver modificato le proprie conclusioni e la determinazione finale proprio in base all’apporto ed alle informazioni ricevute dall’interessata). In ogni caso, la giurisprudenza prevalente anche di questo Consiglio ha sottolineato come, ferma restando l’importanza della partecipazione al procedimento e di una compiuta motivazione della determinazione assunta, non sussista per l’amministrazione uno stringente onere di analitica confutazione nel provvedimento finale di tutti gli argomenti impiegati nell’ambito delle osservazioni formulate ai sensi del 10 bis della l.n. 241 del 1990 (cfr. ex multis Cons. Stato sez. IV, 20 luglio 2016 n. 3293).
14. Con il quarto motivo l’appellante, riproponendo le censure già esposte nei motivi aggiunti al ricorso di primo grado, ha sostenuto l’applicabilità anche alla fattispecie in questione, e non solo ai “certificati bianchi” espressamente contemplati dal legislatore, “della novella introdotta dalla l.n. 124 del 2017”, secondo la quale il GSE non può pretendere la restituzione dei titoli corrisposti sulla base delle richieste di rilascio già approvate quando le difformità tra l’intervento di efficienza energetica proposto e la normativa vigente all’epoca di presentazione dell’iniziativa non dipendano da discordanze tra quanto dichiarato e quanto realizzato, ovvero da documenti non veritieri o dichiarazioni mendaci rese dal proponente.
14.1. Per il caso in cui l’interpretazione estensiva dell’art. 42 commi 3 bis e 3 ter del d.lgs. n. 28 del 2011, come modificato dalla l.n. 124 del 2017 non fosse stata accolta, con il quinto motivo di appello la C. ha riproposto la questione di legittimità costituzionale di tale normativa, nella parte in cui essa non poteva applicarsi anche ai certificati verdi. Le due tipologie di incentivi, obbedendo alla medesima ratio di promozione degli interventi di efficienza energetica e, dunque, del risparmio di energia elettrica primaria, non potrebbero essere assoggettati ad una diversa disciplina in tema di irretroattività dei provvedimenti di segno negativo adottati dal GSE se non in violazione del principio di ragionevolezza e del divieto di disparità di trattamento di cui all’art. 3 della Costituzione.
14.2. Neppure tali argomentazioni colgono nel segno, né possono condurre ad una riforma della pronuncia impugnata alla luce delle differenze sostanziali tra i due incentivi (certificati verdi e certificati bianchi) e, soprattutto, della generale preclusione di qualsiasi integrazione analogica o interpretazione estensiva delle disposizioni normative, necessariamente speciali, che introducono finanziamenti e benefici economici, sempre soggette ad un’esegesi rigorosa (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 dicembre 2020 n. 8422; nel senso della necessità di una esegesi rigorosa della disciplina relativa agli impianti di cogenerazione, v. Corte di giustizia UE, 29 aprile 2021, C-617/19, Granital).
14.3. Deve, poi, escludersi che la suddetta lettura restrittiva e letterale dell’art. 42 del d.lgs. n. 28 del 2011 (come modificato dalla l.n. 124 del 2017), possa dar luogo a dubbi di legittimità costituzionale. Certificati bianchi e certificati verdi rappresentano, in verità, meccanismi incentivanti di fenomeni sensibilmente diversi, essendo volti a promuovere gli uni il conseguimento di risparmi di energia primaria attraverso una riduzione dei consumi e gli altri la produzione di energia da fonte rinnovabile attraverso l’introduzione dell’obbligo a carico dei produttori e degli importatori di energia elettrica prodotta da fonti non rinnovabili di immettere annualmente nel sistema elettrico nazionale una quota di elettricità proveniente da impianti alimentati da fonti rinnovabili.
14.4. Stante la differenza sostanziale tra le caratteristiche e le finalità dei due istituti, nessuna disparità di trattamento può, dunque, configurarsi, presupponendo, qualsiasi violazione dell’art. 3 della Costituzione sotto il profilo del principio di ragionevolezza, una identità delle situazioni che risultino ingiustamente disciplinate in modo differente dal legislatore. A conferma dell’esclusione di qualunque contrasto con l’art. 3 della Costituzione, può, inoltre, osservarsi come il legislatore, in occasione dell’intervento del 2017, abbia inteso introdurre alcune importanti novità in tema di incentivi non solo con riguardo ai certificati bianchi, ma anche per gli impianti fotovoltaici di piccole dimensioni e per la produzione di energia elettrica da bioliquidi, indicando, quindi, con precisione i settori da valorizzare, secondo una scelta che non può che appartenere alla sua piena discrezionalità.
15. Per quanto riguarda, infine, i motivi aggiunti proposti direttamente in appello, essi sono palesemente inammissibili in quanto proposti in violazione delle eccezionali condizioni stabilite dall’art. 104 comma 3 c.p.a. (da ultimo sez. IV, nn. 2551 del 2022, 1276 del 2021, sez. V, n. 6534 del 2020, n. 398 del 2014; C.g.a. n. 996 del 2022), perché non scaturiscono dall’esame di documenti <<non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati>>.
15.1 I suddetti motivi aggiunti risultano, inoltre, infondati, come del resto evidenziato dal medesimo GSE con il provvedimento prot. n. GSE/P20210022861 dell’8 settembre 2021, anch’esso impugnato dall’appellante con separato ricorso dinanzi al T.a.r., secondo il quale:
- <<dalla lettura dell’art. 56 commi 7, lett. a) e 8 del D.L. 76/2020 conv. in L. n. 120/2020, non si rinvengono elementi tali da giustificare l’applicazione del nuovo inciso nel caso in esame, in quanto la novella normativa si riferisce alle sole violazioni rilevanti che comportino la decadenza dal diritto all’ottenimento dell’incentivo, mentre nella presente fattispecie il provvedimento del GSE ha appurato difformità che hanno comportato non la decadenza ma una rideterminazione dell’incentivo;
- nell’attività di controllo in oggetto è stato appurato che la Società per gli anni dal 2010 al 2015, ha utilizzato dei metodi di calcolo … non corrispondenti alla reale situazione dell’impianto;
- nella ponderazione fra l’interesse pubblico concreto e attuale sotteso ai provvedimenti adottati dal GSE nel caso di specie e l’interesse della Società … deve essere accordata prevalenza al primo, altrimenti dovendosi ab absurdo arrivare ad ammettere che le modifiche apportate all’art. 42 comma 3 del D.L. n. 28/2011 dall’art. 56 commi 7 e 8 del D.L. 76/2020 siano volte a creare un “irrazionale” e indiscriminato sistema di generalizzato ripristino di incentivi pubblici non spettanti>>.
16. L’inammissibilità dei motivi aggiunti proposti in appello concernenti la pretesa “illegittimità sopravvenuta” dei provvedimenti impugnati in primo grado per effetto dello ius superveniens costituito dall’art. 56, commi 7 e 8, del d.l. n. 76 del 2020 determina l’irrilevanza della questione di costituzionalità prospettata da ultimo dall’appellante con riguardo a tale nuova disciplina normativa, ferma restando, in ogni caso, la manifesta infondatezza della stessa per la profonda differenza tra certificati bianchi e verdi già illustrata nell’esame dei motivi dell’originario appello.
In conclusione, l’appello deve essere, dunque, rigettato, mentre i motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili.
Le spese tra l’appellante e GSE s.p.a. seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, mentre quelle nei confronti del Ministero dello sviluppo economico possono essere compensate in ragione della sostanziale assenza di attività difensiva svolta da tale amministrazione in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara inammissibili i motivi aggiunti depositati l’11 novembre 2020.
Condanna l’appellante alla rifusione in favore del GSE delle spese di lite, liquidate in € 10.000,00 oltre accessori di legge.
Compensa le spese tra l’appellante e il Ministero dello sviluppo economico.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.