Tra le altre cose, la Cassazione ha considerato che la condotta del medico non fosse del tutto incongrua, visto che aveva sollecitato l'intervento del collega (in riposo e non reperibile) che aveva seguito proprio la paziente per quell'aborto, il quale poi era andato a buon fine.
La Corte d'Appello di Napoli riformava la sentenza del Tribunale rigettando l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato al medico dalla ASL per avere omesso di soccorrere una paziente giunta in reparto in procinto di portare a termine un
La Corte aveva infatti ritenuto che la gravità della condotta e il suo disvalore fossero tali da giustificare la massima sanzione per la violazione dei doveri di sorveglianza e di intervento, non essendo rilevante in tal caso né la qualità del medico di obiettore di coscienza, né il fatto che la paziente avesse raggiunto il reparto prima di passare dal pronto soccorso, in quanto tali elementi non fanno venir meno l'obbligo di intervento terapeutico.
Il medico impugna la suddetta pronuncia mediante ricorso per cassazione.
Con la sentenza n. 16551 del 12 giugno 2023, la Corte di Cassazione accoglie in parte il ricorso. Il Collegio ritiene infatti che la Corte territoriale non abbia errato nell'individuare nella condotta del ricorrente i tratti di un inadempimento rispetto ai suoi obblighi lavorativi, essendo suo dovere farsi carico della paziente anche perché il medico che aveva seguito precedentemente la stessa non era di turno, né era reperibile (anche se poi nei fatti fu costretto a recarsi sul posto per intervenire).
Tuttavia, fermo l'inadempimento, sono comunque stati trascurati una serie di elementi che inficiano inevitabilmente le conseguenti sussunzioni e valutazioni giuridiche. In tal senso, il CCNL integrativo indica tra gli elementi da valutare rispetto al dosaggio delle sanzioni l'entità del danno provocato, che nel caso di specie è assente, considerando che alla fine era stato chiamato l'altro medico ad occuparsi della situazione nonostante fosse in riposo. Inoltre non sono emersi elementi di tangibile discredito per l'azienda. Ancora, non deve essere trascurato che la condotta tenuta dal medico non era totalmente incongrua, tenendo conto che la sollecitazione era stata quella di chiamare il medico che aveva seguito la paziente proprio per quell'
Alla luce di tali elementi, il licenziamento appare sproporzionato, essendo necessaria una valutazione ex novo sul punto, osservando anche i parametri della contrattazione collettiva.
Segue l'accoglimento della decisione impugnata sul punto con rinvio alla Corte d'Appello.
Svolgimento del processo
1. La Corte d'Appello di Napoli, riformando la sentenza del Tribunale di Napoli Nord, ha rigettato l'impugnativa del licenziamento disciplinare intimato dalla A.S.L. Napoli Nord (di seguito, ASL) nei confronti di A.A., medico dell'Ospedale (Omissis), per avere egli omesso, nella sua veste di medico di guardia notturna, di soccorrere una paziente giunta in reparto in procinto di portare a termine un aborto farmacologico.
La Corte d'Appello riteneva provato l'evento e l'avere il A.A., in luogo di intervenire personalmente, fatto chiamare il medico di fiducia della paziente, anch'egli appartenente al medesimo reparto, ma in quel momento fuori servizio.
La Corte riteneva che la gravità della condotta e il disvalore di essa erano tali da giustificare la massima sanzione, per violazione dei doveri di sorveglianza ed intervento, ritenendo non decisiva nè la qualità di obiettore di coscienza del A.A., nè l'avere la paziente raggiunto direttamente il reparto senza passare per il Pronto Soccorso, trattandosi di comportamenti che non facevano venire meno l'obbligo di intervento terapeutico, nè infine il fatto che non fosse emerso, ex post, un reale pericolo di vita della paziente.
2. A.A. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di dieci motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso della ASL.
Motivi della decisione
1. Con i primi tre motivi, il ricorrente denuncia sotto diversi profili in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 5, la violazione degli artt. 2697 e 2051 c.c. e art. 116 c.p.c. Ad avviso del A.A., la Corte territoriale avrebbe commesso, nel decidere, cinque errori di fatto e non avrebbe correttamente valutato il tenore delle dichiarazioni dei testi escussi, in particolare del medico di fiducia della paziente e degli altri membri del personale sanitario coinvolti nella vicenda.
Con i motivi dal quarto al nono, il ricorrente deduce in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 - 2104 - 2105 c.c. e degli art. 6, comma 3, lett. i) e art. 8, comma 1, art. 11, lett. f) e art. 12 del CCNL di area medica, sostenendo in particolare che:
- la Corte territoriale avrebbe mal applicato i criteri interpretativi del corretto comportamento del medico in servizio previsti dal CCNL (quarto motivo);
- la Corte avrebbe erroneamente ritenuta la sussistenza di una condotta di omissione di soccorso (quinto motivo) e non avrebbe considerato che non vi erano ex ante indici di inequivoca urgenza della situazione della paziente (sesto motivo), finendo per equiparare l'omissione di soccorso all'omessa visita di una paziente senza urgenza (settimo motivo);
- erroneamente la Corte si sarebbe soffermata sul suo stato di medico obiettore, ritenendolo irrilevante, sebbene lo stesso ricorrente non avesse addotto tale elemento a sua discolpa (ottavo motivo);
- la Corte (nono motivo) avrebbe equivocato nella valutazione di alcuni elementi di fatto, in particolare l'essersi la paziente recata direttamente in reparto e non al P.S., su indicazione del medico di fiducia e con il quale aveva concordato la terapia abortiva, oltre ai rapporti terapeutici già in essere tra la medesima e tale medico.
Con l'ultimo motivo A.A. denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 e 4, la mancata pronuncia sia da parte del Tribunale sia da parte della Corte d'Appello, della questione sulla ritorsività del licenziamento, sebbene essa fosse stata originariamente sollevata e poi riproposta in sede di gravame.
2. I primi tre motivi sono inammissibili, in quanto con essi si sottopongono alla Corte di Cassazione profili attraverso cui si pretende di ricostruire i fatti e gli esiti istruttori in modo diverso da quanto fatto dalla Corte territoriale.
Vale dunque il principio per cui i motivi non possono consistere in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito, tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148).
3. Le censure dalla quarta alla nona possono essere esaminate congiuntamente e sono fondate, limitatamente ai motivi di cui si dirà.
4. In punto di fatto è dunque acquisito, attraverso l'accertamento svolto dalla Corte di merito e destinato a resistere ai primi tre motivi di ricorso per cassazione, che una paziente, senza transitare dapprima al Pronto Soccorso, fosse giunta al reparto di Ginecologia dell'Ospedale (Omissis), ove A.A. prestava servizio in quel momento come medico di guardia.
La paziente aveva in sostanza manifestato in anticipo gli effetti del processo abortivo farmacologico indottole il giorno precedente da altro medico, Dott. P. ed infatti, visitata dall'ostetrica, era risultata quella notte in stato di travaglio abortivo in atto, con protrusione delle membrane amniocoriali in vagina e necessità di immediato trasferimento in sala parto.
Il A.A., avvisato dall'ostetrica, aveva tuttavia detto "E io che devo fare ? chiama il Dott. B.B.", che, in quel momento, non essendo in servizio notturno, si trovava a casa propria e non era nè di turno, nè in reperibilità.
Nell'inerzia del A.A., il B.B. era stato costretto a giungere d'urgenza in ospedale ed aveva quindi soccorso la paziente, il cui processo abortivo era giunto a termine senza ulteriori problemi e, secondo quanto accertato dalla Corte di merito, senza alcun pericolo per la vita e la salute, venendo pacificamente dimessa subito, la mattina dopo.
5. Il collegio ritiene che la Corte di merito non abbia errato nell'individuare nei comportamenti così tenuti dal ricorrente i tratti di un inadempimento rispetto ai propri obblighi lavorativi.
Anche senza richiamare il disposto dell'art. 6, comma 3, lett. i del CCNL 6.5.2010 (secondo cui il medico deve "garantire, per quanto nei suoi poteri e nei suoi obblighi, il massimo rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità dell'assistenza al paziente nell'arco delle 24 ore, nell'ambito delle funzioni assegnate al dirigente, nel rispetto della normativa contrattuale vigente"), è evidente che, a fronte di una situazione delicata a lui rappresentata, il sanitario di guardia non poteva reagire dicendo di chiamare tout court un altro medico non in servizio e neppure in turno di reperibilità, essendo suo dovere farsi carico dal punto di vista medico della situazione.
Non è neanche vero che la Corte territoriale abbia ravvisato una condotta tipica di omissione di soccorso, nell'accezione penalistica del termine, avendo solo verificato l'inadempimento di cui si è detto e ciò comporta la sostanziale infondatezza del quinto motivo.
E' poi irrilevante il fatto che la Corte d'Appello abbia argomentato sull'assenza di una scriminante nell'essere il ricorrente obiettore di coscienza, perchè neppure il A.A. aveva sostenuto tale tesi e dunque l'ottava censura, con cui si sottolinea tale "eccesso" motivazionale è superflua e va rigettata.
6. Appaiono viceversa fondate le censure, da identificare nel quinto, sesto, settimo e nono motivo, con le quali si evidenzia come, fermo quell'inadempimento, siano stati trascurati, nel giudizio di coerenza tra le condotte tenute e le fattispecie collettive di riferimento e più in generale rispetto al principio di proporzionalità, una serie di elementi che inficiano le conseguenti sussunzioni e valutazioni giuridiche.
Il CCNL integrativo del 6 maggio 2010 indica, tra gli elementi da valutare rispetto al dosaggio delle sanzioni, l'"entità del danno provocato", ma, nel caso di specie, è emerso che nessun danno reale vi è stato per la paziente, tutto riducendosi a meri disagi, per la stessa e per il Dott. B.B. chiamato ad intervenire quando era in riposo.
Neppure sono emersi elementi di tangibile discredito per l'azienda, al di là delle persone strettamente coinvolte nell'episodio.
Inevitabilmente, poi, una valutazione di proporzionalità, ma anche il corretto dosaggio della sanzione - richiesto dalla menzionata contrattazione collettiva ove essa fa riferimento alla rilevanza dell'infrazione e dell'inosservanza degli obblighi violati - non possono rendere superflua ogni valutazione, in realtà mancata, rispetto alla reale esistenza ex ante di un rischio serio di danno alla salute.
Ancora poi, quale circostanza generica ma pur sempre emersa nell'ambito dei dati di fatto riepilogati, vi è da considerare che, alla fine, il comportamento tenuto - sebbene, lo si ripete, non adempiente in quanto il A.A. doveva intervenire di persona - non era totalmente incongruo, perchè la sollecitazione è stata quella di chiamare il medico che aveva seguito, proprio per quell'aborto, la medesima paziente, che poi è sopraggiunto ed ha seguito positivamente il caso.
Infine, non può esser trascurata l'assenza di precedenti disciplinari a carico del dirigente.
7. L'insieme di tali aspetti, ove apprezzati nella loro concomitanza e concorrenza, rendono la valutazione di gravità manifestamente incoerente rispetto ad una sanzione di massima incidenza come il licenziamento e necessitano una valutazione ex novo di tale aspetto, da svolgere verificando, oltre all'effettiva consistenza dei menzionati elementi, l'adeguatezza della sanzione applicata, o di altra meno grave, sotto il profilo della proporzionalità, in sè ed in osservanza dei parametri della contrattazione collettiva.
8. Ciò già comporta la cassazione della sentenza impugnata.
9. E' peraltro parimenti fondato il decimo motivo.
Infatti, in una con l'incompleta valutazione sulla proporzionalità, la Corte ha omesso di considerare la pur dedotta (e coltivata in appello) ipotesi della ritorsività e ciò dovrà essere parimenti oggetto di disamina in sede di rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto, il sesto, il settimo, il nono ed il decimo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d'Appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.