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18 agosto 2023
Creare profili “social" falsamente riconducibili alla vittima è stalking

Integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e account internet falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali siano in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dall'art 612-bis c.p..

di La Redazione
La Corte d'Appello, in parziale riforma del primo grado, dichiarava non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, nei confronti dell'imputato in relazione ai reati di tentata sostituzione di persona, atti persecutori e diffamazione. In particolare, dai fatti era merso che una donna era stata posta al centro di una campagna persecutoria da parte dell'agente, suo collega e, per un breve tempo, coinquilino, condotta tramite l'invio di mail a contenuto diffamatorioad altri colleghi.
 
Contro questa decisione, l'imputato ricorre per cassazione contestando, tra svariate censure, la configurabilità dei suddetti delitti.
 
Con sentenza n. 25533 del 13 giugno, la Corte Suprema si sofferma in particolare sulla fattispecie del reato di stalking.
 
Innanzitutto, integra suddetto delitto «la condotta di creazione di profili "social" e "account internet", falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali si rivelino in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dalla disposizione dell'art. 612-bis cod. pen. (..), ovviamente se accompagnate, dal punto di vista soggettivo, dal dolo generico costituito dalla consapevolezza dell'idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice».
Tale consapevolezza, nel caso di specie, emerge dalla ricostruzione dell'accaduto, della sua dimensione temporale e delle conseguenze gravi determinate sulla vittima della campagna persecutoria, che oltre ad essere stata costretta a mutare sensibilmente le proprie abitudini di vita, chiudendosi in una sorta di depressione, con allontanamento dal contesto sociale consueto, ha riportato gravi conseguenze psicologiche causate dall'ansia e dal timore derivati dalle azioni dell'imputato. 
 
Quanto, invece, alla direzione delle condotte persecutorie, non direttamente rivolte alla persona offesa, bensì destinate a soggetti terzi, si è già detto che «l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro quest'ultima (..), unitariamente inseriti nell'unica condotta persecutoria». 
Nel caso in esame, l'imputato ha comunicato con numerosissimi utenti Facebook, fingendosi la persona offesa, associando alla immagine di profilo proprio una fotografia di costei in costume da bagno e postando commenti e link di carattere erotico; ha contattato via Facebook l'ex fidanzato della donna e via email i colleghi di lei, ancora una volta con contenuti di aperta lesività della sua reputazione ed a sfondo scabroso ed erotico. Tali condotte, seppur solo indirettamente rivolte alla vittima, fanno di quest'ultima l'unico, reale bersaglio della campagna persecutoria. Né può dubitarsi della tipicità oggettiva di dette azioni a configurare il delitto di atti persecutori che può essere ritenuto integrato «anche in presenza di due sole condotte, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale».
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