Integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e account internet falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali siano in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dall'art 612-bis c.p..
Svolgimento del processo
1. Viene in esame la sentenza della Corte d'Appello di Reggio Calabria del 8.3.2022 che, in parziale riforma della decisione emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nei confronti ci F. B., in relazione ai reati di tentata sostituzione di persona (così riqualificata l'imputazione originaria, che contestava l'ipotesi di reato consumata) e di atti persecutori commessi ai danni M. C. L., nonché al reato di diffamazione commesso in concorso con G. S., venendo, invece, confermata la sua condanna agli effetti civili (quantificati in euro 154.116,71).
La vittima era stata posta al centro di una campagna persecuto1·ia dall'imputato, suo collega di lavoro e, per un periodo di tempo, coinquilino, condotta con l'invio di email a contenuto diffamatorio a colleghi degli uffici regionali presso i quali lavorava, provenienti da un account artatamente creato dal ricorrente come riconducibile alla persona offesa: il profilo "fake" intestato a "M. R.".
2. Avverso la citata sentenza d'appello ha proposto ricorso soltanto F. B., tramite il difensore di fiducia, deducendo otto motivi di censura diversi, con i quali si duole della decisione sia agli effetti penali, puntando ad una sentenza di assoluzione nel merito, sia agli effetti civili.
2.1. Il primo argomento difensivo eccepisce vizio di incompetenza territoriale del Tribunale di Reggio Calabria per violazione degli a11:t. 8-9 e 16 cod. proc. pen, in relazione al ritenuto, più grave reato previsto dall'art. 612-bis cod. pen., che attrae la competenza anche delle altre due contestazioni minori (sostituzione di persona e diffamazione).
La Corte di merito ha applicato il principio di Sei:. 5, n. 16977 del 2020, secondo cui la competenza per territorio si determina, nel delitto di atti persecutori, in ragione del luogo in cui il disagio della persona offesa degenera in prostrazione psicologica.
Tuttavia, il ricorrente evidenzia che la giurisprudenza richiamata fa riferimento al criterio del "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", solo successivamente enunciando il criterio, conco1-rente, indicato dalla sentenza impugnata; ciò elimina anche in radice il rischio di casualità della scelta del giudice competente, altrimenti legato al luogo in cui la vittima accidentalmente si trovi quando quel comportamento assume i caratteri suddetti.
Sarebbe stato, pertanto, competente il Tribunale di Catanzaro, luogo in cui si determinava la conclusione della sequenza di attii idonei a completare la consumazione del reato abituale di evento previsto dall'art. 612-1Jis cod. pen., poiché in tale città hanno sede gli uffici regionali presso i quali i due colleghi della ricorrente che hanno ricevuto le missive persecutorie/diffamatorie, secondo l'accusa, hanno aperto 12 letto le missive.
Catanzaro, peraltro, è anche il centro di riferimento delle difficoltà e dei disagi manifestati dalla persona offesa in conseguenza del delitto di stalking subito.
Viceversa, a Reggio Calabria si sono soltanto consumate le conseguenze ultime del reato, con le visite mediche alle quali si è sottoposta la vittima, una volta trasferitasi in quella città, proprio in ragione delle condotte ascritte all'imputato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 494 cod. pen., nonché violazione dell'art. 49, comma 2, cod. pen., unitamente al vizio di manifesta illogicità della motivazione quanto alla valutazione delle prove per giungere all'affermazione di responsabilità del ricorrente.
La difesa eccepisce che il profilo "fake" era talmente grossolanamente creato (tra l'altro, con due immagini di profilo di persone diverse e due nomi differenti) da far difetto la necessaria offensività della condotta, ancorchè qualificata come tentativo di sostituzione di persona dal primo giudice, piuttosto che come reato consumato, tanto più che il delitto di cui all'art. 494 cod. pen. non è costruito come 1·eato di pericolo, rna comporta l'inganno o il tentativo di inganno quale elemento della fattispecie legale. Fuori fuoco sarebbe, quindi, la valutazione dei giudici di merito riferita alla potenzialità ingannatoria del profilo rispetto a chi non conoscesse bene la vittima del reato.
In ogni caso, si denuncia "travisamento del fatto e della prova", in un processo di particolare complessità, poiché di tipo "indiziario", nonché mancato esame di una prova decisiva, quanto all'individuazione dell'imputato come autore delle condotte denunciate dalla persona offesa: non sarebbero sufficienti le testimonianze del teste Forgiane, le cui dichiarazioni sono state sottoposte a dura critica nel ricorso, e gli altri dati di prova; dalla consulenza di parte dell'ing. C. e dalle indagini risultava che vi fossero stati tentativi di accesso anomalo al profilo da cui sono partite le frasi diffamatorie e persecutorie, sicchè sarebbe stato indispensabile disporre una perizia ex art. 507 cod. proc. pen. per accertare quali fossero le utenze telefoniche agganciate agli ID di provenienza degli accessi sul profilo fake, oggetto di contestazione.
2.3. Il terzo motivo di ricorso si incentra sulla contestazione delle prove di colpevolezza del ricorrente rispetto al reato di diffamazione, anche queste ritenute insicure, incerte nella attribuibilità delle condotte di inoltro delle e-mail contenenti giudizi e valutazioni offensive nei confronti della vittima del reato. Si evidenzia l'insufficienza dei dati di prova messi insieme dalle due sentenze di merito, elencandoli e minuziosamente contestandoli, sottolineando, in particolare, come in nessuno dei supporti informatici sequestrati all'imputato siano state trovate le mail incriminc1te o le pagine word allegate a queste o le foto della vittima inviate a terzi.
Si bollano, invece, come mere congetture le affermazioni del giudice di primo grado sulla possibilità che l'imputato possa aver cancellato le tracce informatiche dei reati, tanto più che il consulente della difesa ha provato come non vi siano indizi dell'uso del programma "eraser" da parte del ricorrente, diversamente da quanto asserito dal consulente del pubblico ministero, ing. M..
Vi sarebbe prova, peraltro, di una manipolazione della mail diffamatoria da parte di qualcuno prima dell'inoltro all'indirizzo mail di lavoro dei colleghi della vittima e, infine, il pc del ricorrente poteva essere utilizzato anche da suo fratello, il che escluderebbe l'univoca riferibilità delle condotte di reato tutte.
2.4. Il quarto motivo di censura denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla condanna dell'imputato, agli effetti civili, per il delitto di atti persecutori, contestando la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato: manca qualsiasi tipicità fenomenica del delitto (pedinamenti, appostamenti, minacce, messaggi e telefonate reiterate). Semplicemente si sono sommate le poche condotte delle due contestazioni di tentata sostituzione di persona e di diffamazione e si è ritenuto sussistente il delitto. Per questo, mancherebbe anche la prova del dolo del reato di stalking.
2.5. Il quinto argomento di censura denuncia violazione di legge quanto agli effetti civili: la consulenza della parte civile con cui si contestualizza il danno e 121 patologia psicologica da cui esso è derivato, conseguenza della condotta delittuosa, no1 è condivisibile nelle sue considerazioni tutte, ivi compresi i parametri utilizzati, che la difesa ritiene "oscuri" per giungere a quantificare la soglia del 35% di danno biologico (pari a 82.000 euro, oltre ad un danno personalizzato di 54.000 euro).
Si ritiene, pertanto, che il giudice di merito avrebbe dovuto disporre perizia d'ufficio ovvero ridurre il danno. Inoltre, si chiede che la documentazione medica allegata alle conclusioni scritte della parte civile - disturbo post-traumatico da stress - in sede di discussione venga dichiarata inutilizzabile poiché avrebbe dovuto essere acquisita, correttamente, come prova documentale ex art. 234 cod. proc. pen.
Si contesta, infine, anche la valenza delle dichiarazioni della persona offesa quanto al danno psicologico grave subito dai reati, mancando elementi di riscontro alle sue asserzioni sul disagio, sul mutamento delle abitudini di vita.
Secondo la difesa, le condotte attribuite all'imputato giammai avrebbero potuto determinare siffatte, gravi conseguenze traumatiche, ma tale valutazione di idoneità, doverosa, è stata omessa dai giudici di merito.
2.6. I motivi sesto e settimo sono dedicati a rappresentare meglio le denunce di inutilizzabilità della documentazione prodotta dalla parte civile ed acquisita nel processo alle udienze del 26.6.2020 e 3.7.2020, in quanto non attinente al thema decidendum e depositata allo scopo di suggestionare negativamente i giudici sulla moralità perversa del ricorrente, incline ai reati del tipo di quelli commessi (motivo 6); 1onché a denunciare l'omessa ammissione delle prove difensive a discarico, relative a tale produzione documentale (motivo 7).
2.7. Infine, l'ottavo motivo di ricorso denuncia violazione di le9ge in relazione alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale richiesta con l'atto di appello, avuto riguardo alla richiesta di perizia del pc del testimone Forgione; la Corte d'appello ha rigettato la richiesta con una motivazione apparente di non necessità. Si lamenta, altresì, la mancata adesione alla richiesta di verificare nuovamente in contraddittorio dibattimentale le conseguenze dannose lamentate dalla vittima del reato, attraverso testimonianze e/o perizia sulla persona offesa; nonché la riferibilità al ricorrente delle condotte delittuose (attraverso perizia sul pc del coimputato S. , che aveva inoltrato la mail diffamatoria ricevuta dall'imputato, secondo la ricostruzione accusatoria; acquisizione dei tabulati del ricorrente, della vittima del reato e dello stesso G. S.).
3. Il PG Perla Lori ha chiesto, con requisitoria scriitta, che sia dichiarata l'inammissibilità del ricorso, il che, quindi, precluderebbe la rilevanza della questione di applicabilità della nuova disciplina prevista dall'art. 573, comma 1.·. bis, cod. proc. pen.
3.1 Il difensore del ricorrente ha depositato memoria con conclusioni scritte in data 1.3.2023, con le quali, ribadendo le ragioni di ricorso, chiede l'annullamento della sentenza impugnata.
3.2. Il difensore della parte civile ha depositato memorie, conclusioni e nota spese. Nella memoria difensiva, si sottolinea che il ricorrente non ha rinunciato alla prescrizione, sicchè avrebbe dovuto limitarsi, quanto alla sua affermazione di responsabilità ai fini civilistici, soltanto a rappresentare la sussistenza delle condizioni ex art. 129 cod. proc. pen.
Invece, il ricorso ed i motivi aggiunti sarebbero inammissibili poiché con essi si deduce travisamento dei fatti e, in realtà, si punta ad ottenere una nuova, diversa e più favorevole visione delle prove.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
2. I motivi che il ricorrente propone per denunciare l'erroneità dell'affermazione di responsabilità agli effetti penali, evocando, sostanzialmente, una soluzione (di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata) che determini la sua assoluzione nel merito (sicchè non viene in esame la nuova disciplina dell'art. 573, comma 1-bis, cod. proc. pen., sono reiterativi di argomenti già proposti al giudice d'appello, così come è ripetitiva ed aspecifica anche la questione di competenza territoriale, già adeguatamente superata dalla sentenza impugnata.
2.1. A dispetto della lunghezza argomentativa del ricorso, che per la gran parte è ripetitivo dei contenuti dell'atto d'appello, ovvero è incentrato su richiami giurisprudenziali di ordine generale relativi ai temi controversi, non vi è confronto effettivo con le ragioni della decisione di secondo grado, che ha evidenziato correttamente, anzitutto, quanto alla questione clii competenza territoriale (primo motivo di ricorso, peraltro privo di specifico interesse, considerata la pronuncia di prescrizione dei reati già intervenuta), come la stabile giurisprudenza di questa Corte regolatrice individui il criterio per la determinazione della competenza per territorio nel delitto di atti persecutori in relazione al luogo in cui il disagio acculato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis cod. pen. (cfr., per tutte, Sez. 5, n. 16977 del 12/2/2020, S., Rv. 279178).
Non trova riscontro, invece, la tesi del ricorrente che sostiene l'esistenza di un prioritario criterio di determinazione del focus del commesso delitto di stalking, rapportato al "luogo in cui il comportamento dell'agente diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio", locuzione tratta dalla sentenza Sez. 5, n. 3042 del 9/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278149, conforme alla giurisprudenza sopra citata, che ha inteso enunciare un'endiadi equivalente, nella sostanza, richiam,1ndo l'espressione citata dal ricorrente come omologa a quella, successiva ed ancor più esplicativa, del "luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612- bis cod. pen. ".
Del resto, la conclusione cui giunge la richiamata giurisprudenza della Cassazione, in modo univoco, discende dalla natura del delitto di atti persecutori, che configura un reato abituale di danno "per accumulo", che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causalmente orientate (cfr. ancora le richiamate pronunce n. 16977 del 2020 e n. 3042 del 2020, nonché Sez. 5, n. 17000 del 11/12/2019, dep. 2020, A., Rv. 279081).
Tale luogo è stato correttamente individuato nella città di Reggio Calabria, in cui la ricorrente viveva stabilmente, al di là del domicilio lavorativo, ed in cui, quindi, si è disvelato il suo profondo disagio psichico, tale da determinare serie conseguenze sul suo stato di salute psicofisica, come si dirà più avanti.
Deve ribadirsi, pertanto, che il delitto di atti persecutori configura un reato abituale di danno che si consuma nel momento e nel luogo della realizzazione di uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, quale conseguenza della condotta unitaria costituita dalle diverse azioni causa/mente orientate, sicché la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui il disagio accumulato dalla persona offesa degenera in uno stato di prostrazione psicologica, in grado di manifestarsi in una delle forme descritte dall'art. 612-bis cod. pen.
2.2. I motivi riferiti alla mancata rinnovazione istruttoria (motivo otto), alla qualità della prova raccolta nel giudizio ed alla valutazione di essa si sostanziano in una inammissibile richiesta di nuovo esame nel merito di elementi indiziari precisi, coerenti tra loro, gravi nel condurre ad individuare l'imputato come colui che, legato alla vittima da un rapporto di amicizia di antica data, tanto da aver potuto condividere con lei l'appartamento nella città di Catanzaro, sede dell'ufficio ove entrambi lavoravano, hc1 improvvisamente ed inspiegabilmente cominciato ad assumere comportamenti distonici nei suoi confronti, costruendo un falso "account facebook", contattando il suo ex-fidanzato, diffamandola presso suoi colleghi, con l'invio di una email, dal contenuto scabroso nei riguardi della vittima, a G. S., coimputato, istigandolo ad inviarla a sua volta all'indirizzo d'ufficio, con conseguente accessibilità dei colleghi della persona offesa.
Il teste Forgiane, la cui attendibilità e credibilità sono state ampiamente argomentate dalla sentenza d'appello, ha offerto i necessari elementi per ricondurre al ricorrente il falso account della vittima, segnalando che è stato lo stesso imputato a svelarsi dietro il profilo "fake" direttamente tradendosi (cfr. pag. 25 della sentenza impugnata).
La prova documentale, costituita dalle conversazioni "facebook" tra il teste chiave e l'imputato, prodotte dalla parte civile in copia, è stata legittimamente acquisita come tale ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen. (cfr. Sez. 3, n. 928 del 25/11/2015, dep. 2016, Giorgi, Rv. 265991; Sez. 3, n. 38681 del 26/4/2017, G., Rv. 270950; nonché, tra le altre, Sez. 6, n. 22417 del 16/3/2022, Sgromo, Rv. 283319); e la Corte territoriale ha spiegato, proprio facendo leva sulla completa ed affidabile acquisizione della conversazione incriminante come documento, le ragioni della inutilità della rinnovazione istruttoria richiesta dal ricorrente, al centro anche del terzo e dell'ottavo motivo di ricorso, per questo manifestamente infondati con riguardo alla richiesta di perizia sul pc di Forgiane, alla ricerca di una prova negativa ed incerta, non potendo escludersi procedure di cancellazione della conversazione non rintracciabili.
La riconducibilità all'imputato delle email dal contenuto diffamatorio e lesivo della reputazione della vittima, del profilo facebook da cui sono partiti i contatti persecutori ed in relazione al quale è configurato il reato di sostituzione di persona è stata motivata attraverso il riferimento ad una prova sì indiziaria, ma affidabile E! convincente, sia dal giudice di primo grado che da quello d'appello, sicchè i motivi di ricorso dedicati a contestare l'individuazione del ricorrente come autore dei reati sono manifestamente infondati, oltre che in fatto e rivalutativi.
2.3. Quanto alla configurabilità dei reati, deve evidenziarsi come, ancorchè prescritti, le ragioni difensive obbligano il Collegio ad ingaggiare necessaric1mente un confronto multilivello sui temi proposti, alcuni non soltanto agli effetti civili,. ma anche sul piano della inoffensività della condotta ex art. 49 cod. pen. (cfr. il secondo motivo di censura); e tuttavia, le censure si mostrano ancora una volta reiterative e del tutto fuori fuoco. Ovviamente, alla luce dell'intervenuta prescrizione, il Collegio rammenta che, secondo le indicazioni della giurisprudenza costituzionale (c:fr. la sentenza n. 182 del 2021 Corte cast.), il giudice penale, chiamato a verificare la sussistenza dell'illecito civile ai sensi dell'art. 578, comma 1, cod. proc. pen., dovrà basarsi sulla regola di giudizio civilistica per la valutazione della responsabilità, vale a dire il canone valutativo del "più probabile che non", piuttosto che sul criterio penalistico dell'alto grado di probabilità logica (ovvero dell'oltre ogni ragionevole dubbio"), sia pur riconoscendo la non piena sovrapponibilità della fisionomia del giudizio relativo ai soli interessi civili svolto in :5ede penale rispetto a quello che si tiene dinanzi al giudice civile (cfr. Sez. 5, n. 490:2 del 16/1/2023, Rv. 284101).
a) Per il delitto di stalking, in relazione al quale si contesta, a9li effetti civili, sia la sussistenza degli eventi del reato che la riconducibilità delle condotte al paradigma normativo tipico, deve essere anzitutto ribadito che integra il delitto di atti persecutori la condotta di creazione di profili "social" e "account internet", falsamente riconducibili alla vittima, i contenuti dei quali si rivelino in grado di rappresentare quelle molestie reiterate nei suoi confronti descritte dalla disposizione dell'art. 612-bis cod. pen. (cfr., per il principio generale, in una fattispecie parzialmente diversa: Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, dep. 2022, M., Rv. 282768), ovviamente se accompagnate, dal punto di vista soggettivo, dal dolo generico costituito dalla consapevolezza dell'idoneità del proprio comportamento abituale a produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice.
Nel caso di specie, sicuramente tale consapevolezza emerge dalla ricostruzione dell'accaduto, della sua dimensione temporale e delle conseguenze gravi determinate sulla vittima della campagna persecutoria, che oltre ad essere stata costretta a mutare sensibilmente le proprie abitudini di vita, chiudendosi in una sorta di depressione, con allontanamento dal contesto sociale consueto, ha riportato gravi conseguenze psicologiche, accertate da documentazione medica, causate dall'ansia e dal timore derivati dalle azioni dell'imputato.
Non vi è dubbio che tali effetti, poi, integrino gli1 eventi previsti alternativamente dalla fattispecie di stalking: la Corte d'Appello ha messo in risalto - oltre alla progressiva perdita di capacità sociale e di frequentazioni; oltre alle ripercussioni serissime sul lavoro, da cui si è assentata lungamente, rischiando il licenziamento, proprio per la difficoltà a superare l'accaduto e ad incontrare il ricorrente - "tutta la sofferenza ed il patema della persona offesa" emersi nel corso del processo in modo evidente, poiché si è accertato, con adeguata documentazione medica, che la vittima ha subito gravi traumi psichici, mai superati del tutto, tanto che, anzi, essi si sono trasformati da patologia psicologica da stress in conclamata malattia psichiatrica (cfr. pa9. 30 della sentenza impugnata).
Quanto alla direzione delle condotte persecutorie,. non direttament1:! rivolte alla persona offesa, ma con destinatari terzi soggetti (noti o meno), si è già condivisibilmente affermato che, in tema di atti persecutori, l'evento, consistente nell'alterazione delle abitudini di vita o nel grave stato di ansia o paura indotto nella persona offesa, deve essere il risultato della condotta illecita valutata nel suo complesso, nell'ambito della quale possono assumere rilievo anche comportamenti solo indirettamente rivolti contro quest'ultima (Sez. 6, n. 8050 del 12/1/2021, G., Rv. 281081; vedi anche Sez. 5, n. 25248 del 12/5/2022, R., Rv. 283369), unitariamente inseriti nell'unica condotta persecutoria.
Nel caso del ricorrente, egli ha comunicato con numerosissimi utenti "facebook", fingendosi la persona offesa, associando alla immagine di profilo proprio una fotografia di costei in costume da bagno e postando commenti e link di carattere erotico; ha contattato via "facebook" l'ex fidanzato della donna e via email i colleghi di lei, ancora una volta con contenuti di aperta lesività della sua reputazione ed a sfondo scabroso ed erotico (facendo apparire che ella si definisse come "troia").
Tali condotte, ancorchè solo indirettamente rivolte alla vittima, fanno di quest'ultima l'unico, reale bersaglio della campagna persecutoria, sicchè non vi è dubbio che le molestie reiterate, generatrici d'ansia e timori g1..avi, siano indirizzate a lei, chiamata in causa nelle offese ripetute alla propria reputazione ed intimità.
Né può dubitarsi della tipicità oggettiva di dette condotte a configurare il delitto di atti persecutori che, come noto, può essere ritenuto integrato anche in presenza di due sole condotte, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la "reiterazione" richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti persecutori si manifestino in una prolungata sequenza temporale (Sez. 5, n. 33842 del 3/4/2018, P., Rv. 273622).
b) Per il delitto di sostituzione di persona ex art. 494 cod. pen., in relazione al quale la difesa invoca l'inidoneità della formazione del falso profilo facebook a cagionare l'inganno, vi è solo da segnalare l'aspecificità del motivo, dal momento che la sentenza impugnata ha evidenziato, in risposta ad un'obiezione d'appello pressocchè identica, che solo chi conoscesse in modo particolarmente approfondito la personalità della vittima avrebbe potuto non cadere nell'inganno (come infatti è avvenuto per il suo ex fidanzato, dal quale è partito l'allarme su quanto stava accadendo); diversamente gli altri terzi utenti, che non fossero a conoscenza del carattere e delle attitudini di vita della vittima. In via di principio, poi, ai fini della configurabiliti:1 del reato in astratto, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che crei ed utilizzi "profili socia!" e "account internet" servendosi dei dati anagrafici di altra persona, esplicitamente contraria, al fine di far ricadere su quest'ultima l'attribuzione delle connessioni esegL1ite in rete (Sez. 5, n. 323 del 14/10/2021, Rv. 282768-02).
c) I motivi di ricorso, infine, proposti con riguardo alla configurabilità stessa del reato di diffamazione (attraverso l'invio, prima ad una terza persona e poi, tramite questa, ai colleghi di lavoro della vittima, di una email offensiva della reputazione di lei), sono tutti affrontati come critica rivalutativa delle prove,, del tutto apodittica e funzionale a riscriverne il significato secondo un'assertiva quanto inammissibile prospettiva alternativa di merito.
2.4. I motivi di ricorso con cui si denuncia l'ille9ittima acquisizione di documentazione proveniente dalla parte civile in sede di discussione sono generici, poiché, nonostante le critiche al loro contenuto, non si deduce né il loro peso nell'economia della decisione impugnata, né quale fosse specificamente il contenuto criticato di essa, sul quale si era chiesta la prova a confutazione rifiutata.
2.5. Infondato è, infine, il motivo di ricorso sulla liquidazione del danno alla parte civile, quantificato nella cifra consistente già indicata,. alla luce della puntuale, convincente motivazione del giudice di primo grado, cui la sentenza d'appello si è motivatamente allineata: la depressione irreversibile, patolog1ia gravemente invalidante della vita psicofisica della ricorrente, è stata ampiamente spiegata e ricostruita dai giudici di merito, sulla base di dati oggettivi, costituiti anzitutto dalla documentazione medica acquisita. La quantificazione del danno morale, autonomo rispetto al danno biologico, cristallizza, poi, il peso di una sofferenza di natura interiore, su cui la motivazione del provvedimento impugnato si è spesa molto, al di là dell'innegabile dato medico, di preoccupante gravità, descrivendo il blocco emotivo in cui la vittima è caduta, per molto in tempo in modo altamente invalidante, con un forte sentimento di disistima ed incapacità di avere rapporti anche con suoi familiari più stretti, per l'autocolpevolizzazione accertata come patologia,. seguita alla consapevolezza di essere stata così amica di una persona capace di farle così male.
Le ragioni così dettagliatamente esposte, anzitutto dal punto di vista medico, sostengono la statuizione relativa al risarcimento del danno, nella sua adeguatezza, mentre i motivi di ricorso si velano, ancora una volta, in parte aspecifici e, infine, manifestamente infondati.
3. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pa9amento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che si ritiene di liquidare in complessivi euro 5.530.
3.1. Deve essere disposto, altresì, che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 5.530, oltre accessori di legge.
In caso di diffusione del provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del d. lgs. 196 del 2003 in quanto imposto dalla legge.