Nella valutazione del requisito della continenza, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tener conto sia del tenore del linguaggio utilizzato, sia dell'eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa sia esposta al pubblico disprezzo.
In un giudizio avente ad oggetto la condanna per diffamazione a mezzo
Svolgimento del processo
1.Con sentenza del 10 marzo 2022 la Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno in composizione monocratica del 31 maggio 2019 nei confronti della ricorrente con la quale l'imputata era stata condannata alla pena di mesi sei di reclusione condizionalmente sospesa, oltre statuizioni civili, in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv, 595 comma terzo cod. pen. per la seguente condotta diffamatoria:
- con più atti esecutivi, attraverso la partecipazione alla conversazione sul socia/ network facebook sulla pagina personale di D.D. (coimputata non ricorrente) che aveva condiviso sul profilo la notizia "cercasi attori e attrici porno per i primi film hard al femminile in Italia", inseriva alcuni post riferiti ad A.C. contenenti le frasi: "la figlia illegittima di Micheal Jackson ( .. ) Mi fa talmente senso che la cancellerei dalle amicizie"; successivamente nel rispondere a S.C., madre della C., la quale sul suo profilo personale "C.R. " era intervenuta per tutelare l'onorabilità della figlia minore preannunciando azioni legali, offendeva anche la reputazione di quest'ultima scrivendo le seguenti frasi:" mantenuta che passa tutto il giorno su facebook a farsi foto e insultare ragazze di almeno trent'anni di meno, invece di occuparsi di marito, figli e casa ( .. ) avessi un po' del tempo di certa gente lo userei per fare qualcosa di costruttivo( ..) a Natale mi premurerò di farvi recapitare corda e sapone, l'albero sceglietelo voi!"
2.Avverso la decisione della Corte di appello ha proposto ricorso M.L., attraverso il difensore di fiducia, deducendo i motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1.Con il primo motivo è stata dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla sussistenza della fattispecie di cui all'art.595 terzo comma cod. pen. e all'elemento dell'offensività della condotta.
2.1.1.La prima delle frasi contestate ("la figlia illegittima di Micheal Jackson {.. ) Mi fa talmente senso che la cancellerei dalle amicizie") inserita in una conversazione multipla, è contenuta in un più ampio post costituente immediata risposta a quello precedente e non denigra la presunta persona offesa, ma esteriorizza un personale sentire, uno stato d'animo.
2.1.2 La seconda delle frasi contestate rivolta alla madre di A., S.C., va contestualizzata in quanto costituisce la risposta della ricorrente ad un precedente post della persona offesa la quale, intervenuta in difesa della figlia, aveva utilizzato espressioni forti nei confronti dell'imputata con riferimento alla sua istruzione e al suo titolo di studio.
Inoltre, nelle espressioni utilizzate non è ravvisabile alcuna offensività dal momento che l'imputata voleva solo contrapporre la durezza e la propria fatica di vivere con il proprio lavoro rispetto a chi non lavora.
2.1.3. La ulteriore frase ("a Natale mi premurerò di farvi recapitare corda e sapone, l'albero sceglietelo voi!") può essere considerata scortese ed inurbana, ma non diffamatoria, "una sorta di scortese augurio natalizio".
Sostiene pertanto la difesa che le richiamate espressioni valutate come diffamatorie costituiscono "un verace, ma lecito esercizio del diritto di critica" manifestato attraverso la contrapposizione al proprio stile di vita quello, non condiviso, percepito come futile teso ad utilizzare tecniche software con la convinzione di migliorare il proprio aspetto (come l'artista Michael Jackson che era intervenuto sul colore della sua pelle).
2.2.Con il secondo motivo è stato dedotto vizio motivazionale tradottosi in travisamento della prova in relazione alla attendibilità della teste M.C.C..
La sentenza impugnata ha utilizzato le dichiarazioni della teste quale riscontro alla testimonianza della sua giovane amica A.C. e della di lei madre, ricavando da siffatto contributo dichiarativo che la C. aveva letto i post denigratori riferiti alla sua amica e la aveva immediatamente avvisata.
In realtà, sostiene la difesa, dalle dichiarazioni rese in sede dibattimentale, risulta che la C., pur avendo riconosciuto nei post a lei esibiti in udienza quelli letti sulla pagina Facebook, ha tuttavia riferito di avere letto dei post in cui la sua amica era definita "prostituta ed anoressica"; non ha poi saputo indicare chi sia stato l'autore del post, alludendo genericamente ad una ragazza.
2.3.Con il terzo motivo è stato dedotto vizio motivazionale tradottosi in travisamento della prova in relazione alla attendibilità della persona offesa, costituitasi parte civile S.C..
La sentenza impugnata, e prima ancora la sentenza di primo grado, ha ritenuto l'attendibilità di S.C. nonostante, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la teste persona offesa abbia riferito circostanze non corrispondenti al vero e cioè che l'imputata:
-ha definito A. "troia e zoccola";
-ha scritto nel post che la madre era peggio della figlia, laddove siffatto paragone riguarda il post di un'altra coimputata (non ricorrente).
2.4.Con il quarto motivo la ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione alla insussistenza dell'elemento psicologico.
La sentenza impugnata sul punto si è limitata a richiamare e condividere le motivazioni della sentenza di primo grado a sua volta totalmente carente e apparente (''è di tutta evidenza la volontà diffamatoria"), a fronte di specifiche censure contenute nell'atto di appello alle quali non è stata offerta alcuna risposta.
2.5.Con il quinto motivo è stato dedotto vizio di motivazione tradottosi in travisamento della prova in relazione alla riconducibilità dei post contestati alla ricorrente.
Lamenta la difesa che la sentenza impugnata, così come la sentenza del giudice di primo grado, ha ritenuto accertata la riconducibilità dei post alla ricorrente sulla base di una serie di elementi (corrispondenza delle foto sui profili con i cartellini anagrafici; testimonianza di S.C.; mancata denunzia di furto di identità riferibile ai profili facebook) insufficienti ai fini di una certa individuazione, come del resto è emerso dalla testimonianza dell'agente di Polizia Postale D.G. il quale ha chiarito che l'unico modo per individuare con sicurezza è quello di risalire all'indirizzo IP della macchina utilizzata per l'invio,
attività che è possibile solo attraverso una rogatoria internazionale che non è stata effettuata nell'ipotesi in esame.
2.6.Con il sesto motivo è stata dedotta violazione di legge quanto alla ritenuta inapplicabilità della ipotesi di cui all'art.594 cod. pen., oggi depenalizzata.
La ricorrente richiama alcune pronunzie di questa Corte in base alle quali la distinzione tra l'ipotesi di ingiuria e quella di diffamazione è da rinvenirsi nel fatto che l'ingiuria è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso non è posto nella condizione di interloquire perché resta estraneo alla diffamazione intercorsa tra più persone.
Dunque, nel caso in esame, la C. interloquì con i partecipanti alla discussione e la C. era presente allo scambio dei messaggi poiché il post incriminato era proprio una risposta a quello precedente della presunta persona offesa.
2.7.Con il settimo motivo è stato dedotta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis cod. pen.
La sentenza impugnata, nel negare la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non ha valorizzato un serie di elementi favorevoli quali il comportamento processuale, la circostanza che tra le parti che conversavano sulla chat vi sia stato un contraddittorio e un confronto e che l'imputata, unitamente alle coimputate, nonostante fossero state destinatarie anche esse di espressioni offensive e "classiste" non hanno presentato denunzia contro le attuali persone offese.
2.8.Con l'ottavo motivo la ricorrente ha dedotto violazione di motivazione quanto al diniego della applicazione della pena pecuniaria in luogo di quella detentiva.
La difesa lamenta la illogicità manifesta della motivazione sul punto dal momento che la sentenza impugnata ha valorizzato la sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art.595 comma terzo cod. pen. senza considerare che anche nell'ipotesi aggravata di cui al comma terzo, è prevista la pena pecuniaria in alternativa alla pena detentiva.
2.9.Con il nono motivo la ricorrente ha denunciato l'abnormità della sentenza impugnata nella parte in cui non ha provveduto alla correzione dell'errore materiale contenuto nella sentenza di primo grado la quale, se nella parte motiva aveva ritenuto concedere anche il beneficio della non menzione ex art.175 cod. pen. nella parte dispositiva aveva omesso di riportarla.
Al contrario la sentenza impugnata ha espressamente motivato sulle ragioni per le quali il doppio beneficio non era concedibile.
2.10 Con il decimo motivo è stato dedotto vizio di motivazione quanto alle statuizioni civili e al riconoscimento del danno.
Lamenta la difesa della ricorrente una motivazione apparente in relazione alla quantificazione del danno risarcibile in ragione della contraddittorietà tra la motivazione della sentenza di primo grado, che ha liquidato il danno equitativamente non ritenendo provato il danno patrimoniale e quella di secondo grado che nel confermare la somma ha ritenuto evidente la sussistenza del danno.
2.11. La difesa della ricorrente ha anche inviato motivi aggiunti con i quali ha eccepito la estinzione del reato per intervenuta prescrizione alla data del 30 aprile 2022.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni che seguono.
1.Il motivo di ricorso relativo alla intervenuta estinzione del reato per prescrizione è fondato.
Il termine massimo di prescrizione della fattispecie in contestazione è pari ad anni sette e mesi sei da farsi decorrere dal tempus commissi delicti, collocato, come risulta dal capo di imputazione, in data 31 ottobre 2014.
Calcolando detto termine dalla data suddetta, in assenza di cause di sospensione della prescrizione, non rilevabili dalla lettura degli atti, il reato risulta estinto in data 30 aprile 2022.
In assenza di elementi che rendano evidenti i presupposti per un proscioglimento più favorevole ai sensi dell'art. 129 comma secondo cod. proc. pen., deve accedersi ad una pronuncia di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione.
1.1.Occorre rammentare come, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunciata dal primo giudice o dalla Corte d'appello, in seguito a costituzione di parte civile nel processo, è preciso obbligo del giudice, anche di legittimità, secondo il disposto dell'art. 578 cod. proc. pen., esaminare il fondamento dell'azione civile e verificare, senza alcun limite, l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno la condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunciate nei precedenti gradi (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 10952 del 09/11/2012, (2013), Rv. 255331), con l'obbligo dunque di valutare la fondatezza dei motivi di ricorso proposti.
2.Al riguardo i motivi di ricorso proposti risultano inammissibili agli effetti civili.
Una considerazione generale e preliminare è quella in base alla quale in materia di diffamazione, la Corte di cassazione può conoscere e valutare l'offensività della frase che si assume lesiva dell'altrui reputazione perché è compito del giudice di legittimità procedere in primo luogo a considerare la sussistenza o meno della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie, dovendo, in caso di esclusione di questa, pronunciare sentenza di assoluzione dell'imputato. (Sez. 5, n. 2473 del 10/10/2019, (2020) Rv. 278145).
2.1.Il primo motivo risulta manifestamente infondato non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata e con le indicazioni di questa Corte sul tema.
La sentenza impugnata ha correttamente risposto alle censure mosse nell'atto di appello e riproposte in questa sede.
Con motivazione puntuale, esaustiva, né, contraddittoria o manifestamente illogica (p.8) ha chiarito che le espressioni utilizzate dalla imputata attraverso i socia/ network alludevano:
-a pesanti interventi di chirurgia plastica, solo presunti, cui si era sottoposta la giovane persona offesa rendendola "[ .. ] inguardabile e da scansare[ .. ];"
-al ruolo di "mantenuta" e nulla facente svolta dalla madre della ragazza;
-all'opportunità per le due donne di togliersi la vita scegliendo un albero per l'impiccagione alla quale la ricorrente avrebbe contribuito con il regalo natalizio della corda e del sapone.
Le considerazioni difensive volte a ricondurre le più volte richiamate frasi ad una mera manifestazione critica di contrapposizione tra due diversi modi di vivere (le futilità e l'impegno) non giustificano la straordinaria violenza delle frasi pubblicate e risultano inidonee a confutare la decisione laddove la valutazione giudiziale della condotta e della sua oggettiva attitudine denigratoria risulta, viceversa, fondata su argomenti di logica e ragionevolezza.
Le frasi della C.. contrariamente a quanto affermato nel ricorso rappresentano una evidente e comprensiva difesa della figlia rispetto a specifici attacchi, attraverso l'utilizzo di frasi dalle quali emerge la consapevole individuazione della donna delle autrici delle offese, frasi alle quali queste ultime replicavano senza smentire l'identificazione.
La sentenza impugnata ha operato buon governo delle indicazioni dell'orientamento costante di questa Corte che ha chiarito che: "In tema di diffamazione, nel caso di condotta realizzata attraverso "social network", nella valutazione del requisito della continenza, ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tener conto non solo del tenore del linguaggio utilizzato, ma anche dell'eccentricità delle modalità di esercizio della critica, restando fermo il limite del rispetto dei valori fondamentali, che devono ritenersi sempre superati quando la persona offesa, oltre che al ludibrio della sua immagine, sia esposta al pubblico disprezzo. (Fattispecie relativa alla pubblicazione di commenti "ad hominem" umilianti e ingiustificatamente aggressivi su una bacheca "Facebook", pubblica "piazza virtuale" aperta al libero confronto tra gli utenti registrati). (Sez. 5, n. 8898 del 18/01/2021, Rv. 280571).
2.2.Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto relativi alla medesima doglianza del travisamento di prove dichiarative, sono anche essi manifestamente infondati.
2.2.1.Va in primo luogo richiamato il principio fissato da questa Corte secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione che "[ .. ] offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest'ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita[ .. ]" (Sez. 5, n.44992 del 09/10/2012, Aprovitola, Rv. 253774).
Nel caso di specie il ricorso riporta frammenti delle dichiarazioni rese fornendo una diversa e alternativa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944).
2.2.2.Occorre, inoltre, richiamare le indicazioni fornite da questa Corte in relazione alla corretta interpretazione dell'invocato "travisamento della prova" quale vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte: "In virtù della previsione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., novellata dall'art. 8 della L. n. 46 del 2006, costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame nonché l'errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio (cosiddetto travisamento della prova). (Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168).
Dunque, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di "contraddittorietà processuale" (o "travisamento della prova") vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell'esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l'eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di "fotografia", neutra e a-valutativa, del "significante", ma non del "significato", atteso il persistente divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell'elemento di prova. (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, Rv. 283370; Sez. 1, n. 25117 del 14/07/2006, Stojanovic, Rv. 234167; Sez. 5, n. 36764 del 24/05/2006, Bevilacqua, Rv. 234605).
Come indicato nella giurisprudenza richiamata, l'onere di inequivoca individuazione e di specifica rappresentazione degli atti processuali che intende far valere.
2.2.3.La sentenza impugnata, con motivazione non contraddittoria, né manifestamente illogica, ha valorizzato le risultanze della prova testimoniale ai fini della decisione, sostenendo che:
La giovane amica C. ha letto per prima i post offensivi pubblicati sul profilo socia/ e, resasi conto del loro carattere obiettivamente denigratorio, (il post relativo alla indicazione della persona offesa quale "prostituta anoressica", è stato richiamato a mero titolo esemplificativo), ha avvisato la sua amica A.. del cui turbamento ha altresì riferito.
La madre di A., S.C. ha chiarito di avere conosciuto degli attacchi denigratori della figlia sul social "Facebook", in ragione di un messaggio ricevuto da quest'ultima da parte dell'amica e di avere letto ulteriori post denigratori anche nei suoi confronti ai quali ha reagito per poi denunziare l'accaduto.
2.3.La doglianza contenuta nel quarto motivo relativa alla insussistenza dell'elemento psicologico in capo alla ricorrente risulta in parte generica e in parte manifestamente infondata.
Risulta generica nella parte in cui non individua le ragioni per le quali la pubblicazione delle frasi ad opera dell'imputata sarebbe stata accompagnata dalla inconsapevolezza del loro carattere oggettivamente offensivo.
Risulta manifestamente infondata nella parte in cui non si confronta con la giurisprudenza di questa Corte che, nel richiamare la necessità del dolo generico ai fini della sussistenza del reato di diffamazione, ha evidenziato la sufficienza, ai fini della configurabilità dell'elemento soggettivo, "della consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa" (Sez. 5, n. 47973 del 07/10/2014, Rv. 261205).
2.4.Il quinto motivo appare manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, e prima ancora la sentenza di primo grado, con motivazione completa, non contraddittoria, né manifestamente illogica - contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa che ha indicato la rogatoria internazionale quale unica prova in grado di individuare il titolare del profilo Facebook - ha ricondotto le frasi pubblicate alla persona della ricorrente sulla base di una serie di elementi dì fatto fortemente indizianti, gravi precisi e concordanti:
- delle foto del profilo, alla medesima riferibili in quanto corrispondente alla foto della carta di identità;
-della illogicità di un furto di identità da parte di ignoti, peraltro mai denunciato;
-della circostanza dell'avvenuta replica, ad opera dell'imputata, alle risposte pubblicate dalla C..
2.5.Il sesto motivo è manifestamente infondato non confrontandosi con la giurisprudenza di questa Corte che ha chiarito il discrimen sussistente tra la fattispecie di cui all'art.595 cod. pen. e quella di ingiuria, ora depenalizzata: "La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "Facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod. pen., sotto il profilo dell'offesa arrecata "con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa, poiché la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone" (Sez. 5, n. 13979 del 25/01/2021, Rv. 281023).
A ciò si aggiunga l'ulteriore rilevante circostanza della accertata esclusione della presenza, virtuale, delle persone offese, contestualmente alla pubblicazione delle frasi diffamatorie alla luce delle dichiarazioni della teste C. che ha riferito come queste ultime non avessero avuto immediata contezza delle frasi pubblicate, conosciute solo successivamente in quanto erano state avvisate.
2.6.Il settimo, ottavo e nono motivo relativi al trattamento sanzionatorio sono implicitamente assorbiti dalla intervenuta pronunzia di estinzione del reato per intervenuta prescrizione agli effetti penali.
2.7.Manifestamente infondato il decimo motivo, non confrontandosi con i contenuti della sentenza impugnata.
La motivazione della Corte territoriale non risulta contraddittoria rispetto alla sentenza dì primo grado:
Il Tribunale nel liquidare il risarcimento del danno in favore delle parti civili aveva ritenuto non provato l'ammontare del danno patrimoniale e aveva quindi provveduto a determinare il quantum del danno morale in via equitativa.
- La sentenza impugnata ha integrato e completato il percorso motivazionale individuando il danno "nel comprensibile e accentuato turbamento conseguente all'essere oggetto di espressioni volgari ed offensive, divenute argomento di conversazione seppure virtuale."
2.7.1.Il giudizio, sia pure sinteticamente espresso, sull'esistenza del danno è fondato sulle risultanze della prova dichiarativa da cui è emerso che la C., all'epoca minorenne, era abbastanza scossa e provata dall'aver saputo che nella sua comunità fosse rappresentata nei termini di cui ai post pubblicati su Facebook.
Né la ricorrente ha espressamente censurato il quantum liquidato secondo equità.
3.La minore età della persona offesa all'epoca dei fatti comporta l'oscuramento delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché il reato è estinto per prescrizione. Dichiara inammissibile il ricorso agli effetti civili.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.