I figli minori di persona che, ai sensi dell'art. 8, n. 1, della L. n. 555/1912, abbia perduto la cittadinanza italiana, avendo spontaneamente acquistato la cittadinanza straniera e stabilito all'estero la propria residenza, perdono anch'essi la cittadinanza italiana.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza (ud. 31 maggio 2023) 15 giugno 2023, n. 17161
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di B. R., nato il 17.8.1982 a Wilmington, Deleware, U.S.A., il quale aveva chiesto di essere dichiarato cittadino italiano in virtù di discendenza dall’avo R. Resina, nato a Teramo il 21.10.1881 da genitori italiani ed emigrato negli U.S.A.
Ad avviso del Tribunale, R. R. aveva perduto la cittadinanza italiana avendo scelto di naturalizzarsi cittadino americano in data 23.8.1924 e così l’aveva perduta anche il figlio (allora minorenne) J. che, alla nascita negli U.S.A. il 26.2.1918, era cittadino italiano per derivazione paterna, non avendo fatto richiesta di riacquistare la cittadinanza italiana entro l’anno dal compimento della maggiore età, ai sensi dell’art. 12 legge n. 555 del 1912, e non ricorrendo le altre condizioni previste dall’art. 9 della stessa legge.
Il gravame di B. R. è stato rigettato con sentenza del 23.4.2021, con la quale la Corte d’appello di Roma ha osservato che l’avo R. R. era divenuto cittadino statunitense per naturalizzazione nel 1924 perdendo la cittadinanza italiana e, di conseguenza, l’aveva perduta anche il figlio minore J. R.; non potrebbe sostenersi che il discendente B. R. al momento della nascita fosse figlio di cittadino anche italiano, essendo il padre J. (in realtà J. RA., figlio di J.) R. cittadino statunitense.
Avverso questa sentenza B. R. ha proposto ricorso per cassazione. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia, con il primo motivo, erronea o falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 555 del 1912 che consentiva al figlio di italiano (J. figlio di R. R.) nato in uno Stato estero (gli U.S.A.) che gli ha attribuito la propria cittadinanza secondo il principio dello jus soli di conservare la cittadinanza italiana acquisita alla nascita per derivazione paterna, anche se il genitore (l’avo R. R.) durante la sua minore età l’aveva perduta avendo acquisito la cittadinanza straniera per naturalizzazione (nella specie, nel 1924), salva la facoltà dell’interessato di rinunciarvi al raggiungimento della maggiore età, se residente all’estero.
Il secondo motivo denuncia omessa motivazione su un punto decisivo, per avere erroneamente ritenuto che il padre del ricorrente fosse J. R. mentre era J. RA., figlio di J. R. e nipote dell’avo R. R. naturalizzatosi nel 1924 e per avere omesso di illustrare le ragioni della pretesa inapplicabilità dell’art. 7 al nonno (J. R.) del ricorrente che era il primo figlio nato all’estero avente sia la cittadinanza statunitense per jus soli sia quella italiana per derivazione paterna.
I suddetti motivi sono infondati.
Il ricorrente non censura specificamente l’affermazione dei giudici di merito secondo cui l’avo R. R. abbia perduto la cittadinanza italiana a causa o comunque per effetto della naturalizzazione americana ottenuta volontariamente nel 1924. Tale perdita è prevista nell’art. 8 n. 1 della legge n. 555 del 1912 per “chi spontaneamente acquista una cittadinanza straniera e stabilisce o ha stabilito all’estero la propria residenza”.
La sua tesi è che la cittadinanza italiana non fosse stata perduta da J. R. divenuto cittadino americano per nascita negli U.S.A. nel 1918, avendola egli acquisita sin dalla nascita per derivazione paterna prima che il padre R. R. l’avesse perduta nel 1924; di conseguenza, J. R. l’avrebbe trasmessa al figlio J. RA. (nato nel 1938) il quale l’avrebbe trasmessa infine al ricorrente B. R. che, quindi, avrebbe diritto alla doppia cittadinanza.
Questa tesi non è condivisibile alla luce della legge n. 555 del 1912 (applicabile ratione temporis).
E’ decisivo stabilire se J. R. (nonno di B. R.) abbia perduto la cittadinanza italiana in conseguenza del fatto che l’aveva perduta suo padre R. R. acquistando la cittadinanza americana nel 1924 (quando J. era minore).
Al quesito deve darsi risposta affermativa.
L’art. 12, comma 3, della legge n. 555 del 1912 - secondo cui “i figli minori non emancipati di chi perde la cittadinanza divengono stranieri, quando abbiano comune la residenza col genitore esercente la patria potestà o la cittadinanza di uno stato straniero. Saranno però loro applicabili le disposizioni degli articoli 3 e 9” - si riferisce proprio al caso in cui il figlio minore di cittadino italiano, se (o proprio perché) ha acquistato la cittadinanza straniera (ad esempio, per nascita nel paese straniero), perde la cittadinanza italiana in conseguenza della perdita della stessa da parte del padre, salva la possibilità di riacquistarla nei casi previsti dagli artt. 3 e 9 che qui non ricorrono. E’ questo il caso di J. R. che, essendo figlio minore di R. R. che perse la cittadinanza italiana per naturalizzazione volontaria nel 1924, la perse anche lui, conservando quella americana (acquistata dalla nascita negli U.S.A.).
Alla medesima conclusione è pervenuta questa Corte, secondo cui i figli minori di persona che, ai sensi dell’art. 8, n. 1, della legge n. 555 del 1912, abbia perduto la cittadinanza italiana, avendo spontaneamente acquistato la cittadinanza straniera e stabilito all’estero la propria residenza, perdono anch’essi la cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 12, comma 3, della stessa legge del 1912, non rilevando l’esistenza di una valida consapevolezza in capo ai minori di voler rinunciare alla pregressa cittadinanza, potendo i predetti minori riacquistare la cittadinanza italiana mediante dichiarazione di volerla scegliere al compimento della maggiore età, a condizione di risiedere nel Regno, ai sensi degli artt. 3 e 9 della stessa legge (Cass., sez. 1, n. 9377 del 2011), ipotesi non verificatasi nella specie.
Infondato è l’argomento difensivo che fa leva sull’art. 7, comma 1, della stessa legge, secondo cui “salvo speciali disposizioni da stipulare con contratti internazionali, il cittadino nato e residente in uno stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva la cittadinanza italiana, ma divenuto maggiore o emancipato può rinunciarvi”. Disposizione questa non applicabile perché J. R., avendo perduto la cittadinanza italiana in quanto figlio minore di cittadino non più italiano, non poteva conservare la cittadinanza italiana per aggiungerla a quella americana e, quindi, nemmeno poteva rinunciarvi o trasmetterla ai discendenti. In altri termini, la citata disposizione, come rilevato dalla Corte territoriale, “si riferisce al caso diverso di doppia cittadinanza che nella specie non sussiste in quanto il ricorrente, come detto, era figlio di cittadino statunitense al momento della nascita”.
Indicativa a livello sistematico del trattamento riconosciuto dall’ordinamento alla doppia cittadinanza è la (più recente) previsione secondo cui “nel caso di doppia cittadinanza, il figlio dovrà optare per una sola cittadinanza entro un anno dal raggiungimento della maggiore età”, ai sensi dell’art. 5, comma 2, della legge n. 123 del 1983 (abrogata dalla legge n. 91 del 1992).
Inapplicabile è anche l’art. 17 della legge n. 91 del 1992, secondo cui “chi ha perduto la cittadinanza italiana in applicazione degli articoli 8 e 12 della legge 13 giugno 1912, n. 555, o per non aver reso l’opzione prevista dall’articolo 5 della legge 21 aprile 1983 n. 123, la riacquista se effettua una dichiarazione in tal senso entro due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge”. La disposizione da ultimo citata (al di là del fatto che il ricorrente non ha allegato di avere reso la prevista dichiarazione entro due anni dall’entrata in vigore della legge n. 91) non si riferisce a chi – come il ricorrente – non si trovava nella condizione di avere perduto la cittadinanza italiana che, in realtà, mai ha avuto perché mai trasmessagli dai suoi diretti ascendenti.
Né potrebbe sostenersi che il citato art. 17 avrebbe concesso anche ai discendenti di coloro che persero la cittadinanza italiana nella vigenza della legge n. 555 del 1912 la possibilità di acquistarla entro due anni dall’entrata in vigore della legge del 1992. Una simile possibilità avrebbe dovuto essere prevista in modo esplicito dalla legge, come è avvenuto nel caso dei discendenti in linea retta dei soggetti già cittadini italiani un tempo residenti nei territori ceduti alla ex Jugoslavia (artt. 17 bis e ter della legge n. 91 del 1992), e non può essere ricavata implicitamente dal sistema che è ispirato al principio secondo cui ciascuno Stato determina le condizioni che una persona deve soddisfare per essere considerata investita della sua cittadinanza (Cass n. 9377/2011 cit.; SU n. 2035/1967).
In conclusione, avendo J. R. perduto la cittadinanza italiana, non l’ha potuta trasmettere al figlio J. RA. e, di conseguenza, al ricorrente.
Il ricorso è rigettato.
Non si deve provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’interno svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del dPR n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.