Non trattandosi di una valutazione personale del notaio, l'affermazione dell'attrice di essere parzialmente priva dell'udito ma di saper leggere e scrivere (poi ritrattata affermando di essere affetta da una grave forma di sordomutismo) può essere rimossa solo attraverso la proposizione della querela di falso.
L'attrice conveniva in giudizio il fratello e il notaio chiedendo la dichiarazione di nullità dei due atti redatti da quest'ultimo e la condanna di entrambi al risarcimento dei danni nei suoi confronti per via dell'errore professionale del notaio e della condotta dolosa del fratello. In sostanza, l'attrice esponeva di aver venduto al fratello la nuda proprietà di un...
Svolgimento del processo
1. R. P. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Modena, suo fratello G. P. e il notaio M.R., chiedendo che fosse dichiarata la nullità di due atti redatti da quest’ultimo e che entrambi i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni da lei subiti a causa dell’errore professionale del notaio e del comportamento doloso tenuto dal fratello.
A sostegno della domanda espose di aver venduto a G. P., in data 8 ottobre 1999, la nuda proprietà di un immobile sito nel Comune di C. e che in data 10 gennaio 2008 aveva rinunciato, in favore del fratello, anche al diritto di usufrutto su quell’immobile. Entrambi gli atti erano stati rogati dal notaio R. il quale aveva dato atto, nella stesura dei medesimi, che la P. era un soggetto parzialmente privo dell’udito, ma capace di sapere e potere leggere e scrivere. L’attrice, invece, dichiarò di essere affetta da una grave forma di sordomutismo risultante da una pubblica certificazione del 22 aprile 1995; e poiché dai due atti suindicati non risultava né la dichiarazione attestante l’avvenuta lettura dell’atto né quella della conformità del loro contenuto alla sua volontà, la P. chiese che fosse dichiarata la nullità degli atti in questione, con conseguente reintegrazione del suo diritto di proprietà. Chiese, inoltre, che fosse riconosciuta la responsabilità professionale del notaio e l’induzione in errore, da parte del fratello, circa il vero contenuto degli atti impugnati, con conseguente domanda di risarcimento dei danni.
Si costituì in giudizio G. P., chiedendo il rigetto della domanda. Osservò il convenuto che la sorella era affetta, in realtà, solo da una forma parziale di ipoacusia fin dalla nascita, la quale non le aveva impedito di svolgere una vita del tutto normale, anche se con l’ausilio di un apparecchio acustico; come del resto era confermato dalla formula sopra riportata, contenuta in entrambi gli atti.
Si costituì in giudizio anche il notaio R., contestando il contenuto della domanda e chiedendone il rigetto. Il professionista chiese comunque di poter chiamare in causa, a scopo di manleva, la sua società di assicurazioni.
Si costituirono quindi anche i L. di Londra, assicuratori del notaio, chiedendo il rigetto della domanda avanzata nei confronti del loro cliente.
Espletata prova per testi, il Tribunale rigettò la domanda e condannò l’attrice al pagamento delle spese di giudizio.
2. La pronuncia è stata impugnata dalla parte soccombente e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 26 novembre 2019, ha rigettato il gravame e ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale, esaminando il primo motivo di appello, che, come correttamente era stato rilevato dal Tribunale, doveva essere affermata la piena validità dei due atti impugnati, poiché non era stata proposta querela di falso nei confronti dei medesimi in riferimento all’affermazione, già sopra menzionata, secondo cui la P. era parzialmente priva dell’udito, ma in condizioni di leggere e scrivere. Solo la querela di falso avrebbe potuto «rimuovere l’efficacia probatoria degli atti pubblici sottoscritti dalla parte appellante e recanti l’attestazione del notaio R. che la stessa era parzialmente priva dell’udito e non muta o sorda o, per l’effetto, sordomuta». La querela di falso, però, non era stata mai proposta, il che imponeva di ritenere dimostrato che la P. avesse dichiarato di essere solo parzialmente priva dell’udito», con conseguente legittimo esonero del notaio R. dall’obbligo di adottare le formalità di cui agli artt. 56 e 57 della legge notarile.
Ha poi aggiunto la Corte bolognese che gli atti impugnati contenevano l’espressa attestazione, non contestata dall’appellante, secondo cui «il contenuto degli stessi era stato letto dal notaio alla P. e alla presenza di due testimoni “ad alto timbro di voce”», ricevendo poi dagli stipulanti la conferma che gli atti rispondevano alla loro volontà. La sentenza ha osservato, inoltre, che l’istruttoria aveva anche dimostrato che l’appellante aveva sempre regolarmente gestito la sua vita quotidiana, crescendo una figlia sana, e che pochi mesi prima dell’atto di cessione della nuda proprietà ella aveva stipulato l’atto di acquisto di quell’immobile (in data 4 febbraio 1999) con un’identica formula, attestante cioè la sua parziale sordità, davanti ad un diverso notaio. Il che rendeva del tutto inutile la richiesta c.t.u. al fine di valutare la sordità della P..
Quanto, poi, alle domande risarcitorie, la Corte di merito ha affermato che la parte appellante non aveva in alcun modo provato di aver subito un danno in conseguenza della stipula dei due atti in questione. Ella, infatti, non aveva prodotto né un contratto di locazione né ricevute di pagamento di un qualche canone; mentre dall’istruttoria era emerso che la P. aveva rinunciato all’usufrutto sull’immobile, in favore del fratello, proprio allo scopo di ottenere dal padre un aiuto economico per l’acquisto di un immobile a Bologna.
In riferimento, invece, alla posizione del fratello, la sentenza impugnata ha osservato che una responsabilità di quest’ultimo si sarebbe potuta ipotizzare solo in caso di dimostrazione che egli avesse sfruttato in proprio favore la patologia della sorella. L’attestazione della parziale sordità e il riconoscimento che i due atti erano conformi alla volontà degli stipulanti consentivano, invece, di escludere l’esistenza dei raggiri, tanto più che l’appellante non aveva in alcun modo né dimostrato né chiesto di dimostrare che il fratello G. P. l’avesse indotta in errore portandola a stipulare un atto che ella altrimenti non avrebbe mai sottoscritto.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso R. P. con atto affidato a tre motivi.
Resistono G. P. e gli Assicuratori dei L. di Londra con due separati controricorsi.
Il notaio R. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
La ricorrente e gli Assicuratori dei L. di Londra hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello rigettato il primo motivo di appello, con assorbimento degli altri, sulla base di una motivazione apparente.
Osserva la ricorrente che la motivazione resa dalla Corte d’appello, ricalcata su quella del Tribunale e senza alcuna originalità, non consentirebbe di comprendere per quali ragioni sia stata esclusa la violazione dell’art. 2700 cod. civ. in relazione al comportamento tenuto dal notaio. La ricorrente richiama a questo proposito una serie di documenti da lei prodotti nel giudizio di merito, i quali attestano che ella è affetta da una gravissima ipoacusia ricettiva bilaterale. Tale patologia era stata confermata anche dai suoi genitori sentiti in qualità di testimoni e tutta questa documentazione non sarebbe stata tenuta in alcuna considerazione dalla Corte d’appello.
1.1. Il motivo, quando non inammissibile, è comunque privo di fondamento.
La Corte d’appello, come si è già detto e come meglio si vedrà a proposito del secondo motivo, ha ricostruito con dovizia di particolari l’intera vicenda, pervenendo ad escludere la violazione dell’art. 2700 cod. civ. in base ad una serie di argomentazioni del tutto coerenti. Il fatto che la motivazione sia in linea con quella del giudice di primo grado non costituisce, ovviamente, una ragione di impugnativa in sé e per sé; ed è comunque evidente che non può invocarsi la nullità per assenza di motivazione o per violazione di quel “minimo costituzionale” che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte richiamato.
In realtà, dietro l’apparente censura di motivazione assente o incomprensibile, la ricorrente cela un evidente tentativo di ottenere in questa sede un diverso e non consentito giudizio di merito, come risulta in modo palese dal richiamo alla documentazione prodotta, alla testimonianza dei genitori ed alla valutazione del suo grado di sordità.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 cod. civ., in relazione alla censura mossa nei confronti di quelle parti degli atti pubblici non assistiti da fede privilegiata.
Osserva la ricorrente che, in base ad un pacifico orientamento della giurisprudenza e della dottrina, la piena prova cui fa riferimento l’art. 2700 cit. non si estende al contenuto intrinseco e alla veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti. L’atto pubblico, infatti, fa piena prova della corrispondenza tra quanto documentato dal pubblico ufficiale e quanto allo stesso dichiarato dalle parti, cioè della corrispondenza tra le dichiarazioni delle parti e il documento redatto dal pubblico ufficiale. Analoga fede privilegiata non spetta, invece, agli apprezzamenti svolti dal notaio rogante in ordine al possesso delle capacità delle parti che stipulano l’atto; in altre parole, quindi, l’atto notarile non fa piena fede delle affermazioni del pubblico ufficiale che si risolvono in suoi personali apprezzamenti. Nel caso in esame, invece, entrambi i giudici di merito avrebbero errato nell’interpretazione dell’art. 2700 cod. civ., estendendo l’efficacia di prova legale anche all’apprezzamento svolto dal notaio Rocca circa lo stato di sordità e capacità della ricorrente; e da tale errore sarebbe derivata la convinzione che fosse necessaria la proposizione della querela di falso.
2.1. Il motivo non è fondato.
È opportuno innanzitutto premettere che la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dalla ricorrente, ha affermato che l’atto pubblico redatto dal notaio fa fede fino a querela di falso relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, ma tale efficacia probatoria non si estende anche ai giudizi valutativi che lo stesso abbia eventualmente svolto, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte di uno dei contraenti, della capacità di intendere e di volere (così le sentenze 27 aprile 2006, n. 9649, 9 marzo 2012, n. 3787, confermate dall’ordinanza 28 ottobre 2019, n. 27489).
È stato anche affermato, peraltro, che l’efficacia probatoria del testamento pubblico di persona cieca e assai debole d’udito, redatto non alla presenza di quattro testimoni (come prescritto dall’art. 603 cod. civ.) e recante l’attestazione del notaio che il testatore, pur essendo cieco, era comunque in grado di udire, seppure con il supporto di apposito apparecchio acustico, può essere rimossa solamente con la proposizione della querela di falso di cui all’art. 2700 cod. civ. (sentenza 28 febbraio 2007, n. 4777).
La questione, a ben vedere, va a toccare il problema, più generale, dei limiti entro i quali l’atto pubblico fa fede fino a querela di falso (si vedano, in argomento, anche la sentenza 30 gennaio 2019, n. 2702, in tema di attestazione della situazione di sanità mentale del testatore da parte del notaio, e l’ordinanza 29 settembre 2020, n. 20250, sul valore dell’indicazione, contenuta nell’atto notarile di compravendita, secondo cui il pagamento del prezzo era avvenuto contestualmente alla redazione dell’atto). Ma è bene ricordare che l’art. 2700 cit. prevede che l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della «provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato» nonché «delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti».
Nel caso odierno la Corte d’appello (p. 9 della sentenza) non ha affermato che il notaio aveva accertato la condizione di parziale sordità della P., quanto, invece, che era stata la P. stessa a dichiarare di essere parzialmente priva dell’udito ma di saper leggere e scrivere (come correttamente rilevato nel controricorso dei L.); tanto che la sentenza ha chiarito che l’atto fu riletto ad alta voce. Deve quindi riconoscersi che la conclusione della Corte d’appello – sul punto non oggetto di specifica censura – è corretta là dove riconosce che simile affermazione, proveniente dalla stessa parte interessata e registrata, per così dire, dal notaio come evento avvenuto in sua presenza, avrebbe potuto essere rimossa soltanto con la querela di falso, non trattandosi di una valutazione personale del professionista.
La Corte bolognese, poi, non si è limitata a tale considerazione, già di per sé sufficiente a dimostrare l’infondatezza del motivo di ricorso che si sta esaminando, ma ha anche avuto cura di supportare l’argomento in diritto con una serie di affermazioni in fatto, convergenti tutte nella stessa direzione. La sentenza ha richiamato, al riguardo, la qualità della vita condotta dalla ricorrente, la sua capacità di gestirsi normalmente con un apparecchio acustico, l’analoga attestazione da lei resa all’atto di acquisto dello stesso immobile di cui qui si discute, pochi mesi prima e ad un altro notaio, e la necessità di acquistare un altro immobile a Bologna con l’aiuto paterno; elemento, quest’ultimo, che illumina l’intera vicenda e fornisce anche una ragione economica più che plausibile a sostegno della convinzione del giudice di merito secondo cui nessun raggiro era stato messo in campo in danno della P..
3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4), cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello escluso la responsabilità tanto del notaio quanto del convenuto G. P..
La ricorrente rileva, a questo proposito, che l’esclusione della responsabilità del notaio sarebbe stata affermata sulla base della «supina adesione alla sentenza pronunciata dal Tribunale di Modena»; mentre l’esclusione della responsabilità del fratello deriverebbe dalla sola attestazione resa dal notaio sulle capacità della ricorrente, di per sé considerata idonea al rigetto della domanda.
3.1. Il motivo, palesemente inammissibile per la sua genericità oltre che ripetitivo, non si confronta, in effetti, con la ratio decidendi della sentenza impugnata, ed è comunque assorbito alla luce delle considerazioni svolte a proposito dei motivi precedenti, non contenendo censure diverse da quelle già esaminate.
4. Il ricorso, pertanto, va rigettato.
A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 6.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, quanto a G.P. e in complessivi euro 7.200, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge, quanto ai L. di Londra.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.