Con la sentenza di divorzio, il Tribunale disponeva a carico dell'ex marito l'obbligo di versare un assegno di mantenimento di 30mila euro mensili per la figlia minorenne.
Di questa somma, 20mila euro erano da versare sul conto corrente della madre, mentre i restanti 10mila euro erano da versare su un conto corrente bancario intestato alla figlia,...
Svolgimento del processo
1.- La Corte di appello di Roma, con il decreto impugnato, ha confermato la revoca dell’assegno di mantenimento per la figlia G. di euro 30.000,00= mensili, di cui euro 20.000,00= da versare alla madre ed euro 10.000,00 da versare su un conto bancario intestato alla figlia, posto a carico di D.DR. con la sentenza di divorzio; ha disposto, in parziale modifica del decreto impugnato, che detta revoca dovesse decorrere - non già dalla data della domanda 13 febbraio 2020, ma - dal mese di maggio 2020, tenuto conto che da tale data la figlia, prima collocata presso la madre T.P., si è trasferita presso il padre, dove vive stabilmente. T.P. ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi, illustrati da memoria, ai quali ha replicato D.DR. con controricorso.
Motivi della decisione
2.1- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la erroneità della decisione impugnata laddove la revoca dell’assegno di mantenimento è stata fatta retroagire, rispetto alla pronuncia, al mese di maggio 2020, con riferimento ad una circostanza di fatto – il mutamento della collocazione della figlia, trasferitasi presso il padre –.
Deduce che, al contrario, la revoca avrebbe dovuto divenire efficace solo dalla successiva data della pronuncia.
2.2.- Il primo motivo è infondato.
2.3.- Come questa Corte ha di recente affermato, anche tenendo conto dell’arresto di Cass. Sez. U. n. 32914/2022, «6. (…) Questa Corte ha affermato il principio secondo cui in materia di revisione dell'assegno di mantenimento per i figli, il diritto di un coniuge a percepirlo ed il corrispondente obbligo dell'altro a versarlo, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di separazione o dal verbale di omologazione, conservano la loro efficacia sino a quando non intervenga la modifica di tali provvedimenti, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui, di fatto, sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'assegno, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche disposizioni, la decisione giurisdizionale di revisione non può avere decorrenza dal momento dell'accadimento innovativo, anteriore nel tempo rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass. 16173/2015; Cass. n. 3922/2012; Cass. 11913/2009; Cass., n. 28/2008; Cass., n. 19722/2008; Cass., n. 22941/2006; Cass., n. 6975/2005; Cass., n.
8235/2000).
Da ultimo, Cass. 4224/ 2021 ha chiarito che "la decisione del giudice relativa al contributo dovuto dal genitore non affidatario o collocatario per il mantenimento del figlio non ha effetti costitutivi, bensì meramente dichiarativi di un obbligo che è direttamente connesso allo "status" genitoriale e il diritto alla corresponsione del contributo sussiste finché non intervenga la modifica di tale provvedimento, sicché rimane ininfluente il momento in cui sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell'obbligo, decorrendo gli effetti della decisione di revisione sempre dalla data della domanda di modificazione".
(…) Ora, l'assegno in oggetto ha comunque natura para- alimentare, rispondendo il contributo al mantenimento dei figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti economicamente, al pari degli alimenti, alla necessità di sopperire, in rapporto alle esigenze anche presunte in relazione all'età, agli studi, etc..., ai bisogni di vita della persona, sia pure in un'accezione più ampia e pur non essendo necessario uno stato di indigenza, come negli alimenti (cfr. sul carattere "sostanzialmente alimentare" dell'assegno Cass. 28987/2008; Cass. 13609/2016; Cass 23569/2016; Cass. 11689/2018).
Deve quindi affermarsi che, in ogni ipotesi di riduzione del contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore, sulla base di una diversa valutazione, per il passato (e non quindi alla luce di fatti sopravvenuti, i cui effetti operano, di regola, dal momento in cui essi si verificano e viene avanzata domanda), dei fatti già posti a base dei provvedimenti provvisori adottati, è esclusa la ripetibilità della prestazione economica eseguita; il diritto di ritenere quanto è stato pagato non opera nell'ipotesi in cui sia accertata la non sussistenza, quanto al figlio maggiorenne, ab origine dei presupposti per il versamento (vale a dire la non autosufficienza economica, in rapporto all'età ed al percorso formativo e/o professionale sul mercato del lavoro avviato, Cass. 38366/21) e sia disposta la riduzione o la revoca del contributo, con decorrenza comunque sempre dalla domanda di revisione o, motivatamente, da periodo successivo.» (Cass. n. n.10974/2023).
Nel caso di specie, la revoca del contributo è avvenuta per fatto sopravvenuto e la Corte di appello - in considerazione della circostanza di fatto, incontestata, dell’avvenuto trasferimento della figlia, solo nelle more del giudizio, presso il padre obbligato al versamento - ha ritenuto motivatamente e persuasivamente che la revoca della contribuzione dovesse operare da quel momento, successivo alla presentazione della domanda, anche se anteriore a quello della decisione, con statuizione che risulta immune da vizi.
3.1- Con il secondo motivo si denuncia la violazione degli artt. 1411 cod.civ. e 1372 cod.civ., dell’art.9 della legge n.898/1970 e dell’art.710 cod.proc.civ.
La ricorrente deduce che la richiesta di modifica del contributo al mantenimento della figlia non era conseguita al mutamento delle condizioni economiche delle parti, ma alla diversa collocazione della stessa e che l’accordo di versare l’importo di euro 10.000,00= su un conto dedicato intestato alla figlia fino al raggiungimento dei 25 anni di età costituiva pattuizione che non poteva essere modificata o revocata in ragione del mutamento del collocamento della minore, trattandosi di obbligazione insensibile a tale evento.
Denuncia l’erronea interpretazione dell’accordo e sostiene che si trattava di contratto in favore di terzo e che la T.P. era contraente e la figlia beneficiaria; riproduce, quindi, il motivo di appello nel quale aveva esposto che la previsione si atteggiava come la costituzione di una rendita avente come beneficiaria la figlia.
3.2. – Il motivo è fondato.
3.3.- La previsione in esame, per quanto emerge dal decreto impugnato, era stata inserita tra le condizioni di divorzio concordate tra le parti e, quindi, recepite dal Tribunale nella sentenza depositata il 7 maggio 2014 e divenuta definitiva; essa stabiliva che “Il sig. D.DR. continuerà a corrispondere l’assegno di mantenimento per la figlia G. di complessivi euro 30.000,000= (trentamila,00) di cui euro 20.000,00= (ventimila,00=) da versare direttamente sul conto corrente della signora T.P. e euro 10.000,00 su un conto dedicato alla figlia, peraltro già esistente, oltre ISTAT come per legge.”; dalla lettura del decreto impugnato sembra essere confermato che il termine dell’impegno era stato collocato al raggiungimento del 25° anno di età della figlia.
3.4.- In merito la Corte di appello ha affermato che «il chiaro tenore della lettera dell'accordo sottoscritto tra le parti evidenzia l'unicità della prestazione relativa al mantenimento della minore, seppure articolando le modalità del relativo versamento, senza lasciare margini ad interpretazioni diverse, in mancanza, peraltro di alcuna incoerenza con indici esterni rivelatori di una differente volontà dei contraenti; non vi è dubbio, quindi, che il Tribunale, nel revocare l’assegno di mantenimento previsto a carico di D.DR. – a seguito del nuovo collocamento della figlia presso di lui-, abbia correttamente disposto la cessazione dell’intero obbligo contributivo, nelle diverse componenti del medesimo, originariamente stabilite dalle parti; né è stato allegato dalla reclamante alcun elemento dal quale poter desumere che, all’epoca del divorzio, vi fosse stata una diversa “comune intenzione delle parti” (art.1362 cod.civ.)» (fol.3/4 del decr. imp.).
3.5.- La decisione assunta non può essere condivisa.
3.6.1. - Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, la circostanza che, ai fini della disciplina dei rapporti tra i coniugi e di quelli con la prole, la sentenza (sia in tema di separazione personale, che di divorzio) abbia tenuto conto delle concordi indicazioni delle parti, non consente di attribuire natura negoziale alle condizioni in essa stabilite, il cui recepimento costituisce il risultato di un'autonoma valutazione giudiziale, soprattutto nella parte avente ad oggetto l'affidamento della prole e la determinazione del contributo dovuto per il suo mantenimento, in ordine ai quali le richieste dei genitori non assumono carattere vincolante, perché il giudice del merito deve ispirarsi, nelle relative scelte, all'esclusivo interesse della prole (cfr., Cass. n.20055/2017, Cass. n. 10659/1992) e, quindi, valutare, anche in occasione della sottoposizione dell’accordo, la rispondenza dello stesso a detti criteri. 3.6.2.- Qualora l’accordo convenzionalmente raggiunto tra i coniugi abbia conseguito il suo riconoscimento con la sentenza – come nel presente caso -, è il giudicato (sia pure, rebus sic stantibus) a dover essere preso in considerazione. La natura del giudicato, quale regola del caso concreto, comportandone l'assimilabilità agli elementi normativi della fattispecie, esclude peraltro la possibilità di ricorrere, ai fini della sua interpretazione, ai criteri ermeneutici dettati per le manifestazioni di volontà negoziale, trovando invece applicazione, in via analogica, i principi dettati dall'art. 12 preleggi, e dovendosi quindi procedere alla ricostruzione del comando oggettivato nella sentenza attraverso l'integrazione del dispositivo con la motivazione che lo sostiene, avendo riguardo, ove residuino incertezze interpretative, anche alle domande proposte dalle parti, nonché alle risultanze degli atti processuali (Cass. n. 1017D4ata/2pu0bb1lic2az;ione 04/07/2023 cfr. Cass. Sez. U. n. 11501/2008; Cass. n. 21961/2010; Cass. n. 1093/2007; Cass. n. 2721/2007).
3.6.3.- Tale principio, nel caso in esame, non è stato applicato e la Corte di appello, inopinatamente ed in maniera errata, ha applicato i canoni ermeneutici previsti in materia contrattualistica e non ha considerato che si trattava di interpretare una regula juris e che avrebbe dovuto tenere conto del fatto che nella sentenza la corresponsione dell’importo mensile di euro 10.000,00= non era destinato al consumo, ma ad essere accantonato e non intaccato fino al raggiungimento, presumibilmente, dei venticinque anni della figlia, che non vi interferiva, stante questa caratteristica, la collocazione privilegiata o prevalente della figlia presso un genitore piuttosto che l’altro, che nell’ambito del mantenimento, tale prestazione appariva connotata come un’autonoma componente di risparmio, rispondente ad un apprezzabile interesse per la prole e finalizzata alla creazione preventiva e progressiva di una cospicua disponibilità economica destinata a soddisfare le future esigenze di vita della figlia dopo il raggiungimento della maggiore età.
La decisione sul punto va, pertanto, cassata e la Corte di appello in diversa composizione dovrà procedere alle valutazioni del caso secondo i principi ricordati.
4.- In conclusione, va accolto il secondo motivo di ricorso, infondato il primo; il decreto impugnato va cassato nei limiti dell’accoglimento, con rinvio del procedimento, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
- Accoglie il secondo motivo di ricorso, infondato il primo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
- Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 52.