Per la Cassazione «colui che, pur non avendo partecipato alla sottrazione della cosa mobile altrui, riceva immediatamente dopo dall'agente il provento della sottrazione e ponga in essere violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità, risponde del reato di rapina impropria sempre che sia consapevole dell'illecita sottrazione del bene consegnatogli».
Tizio e Caio, dopo aver sottratto alla persona offesa la somma di cento euro, ne consegnarono immediatamente una parte al ricorrente, il quale, mentre era ancora insieme agli agenti (Tizio e Caio), fu raggiunto dalla persona offesa che richiese loro di restituirgli il maltolto, ma la stessa fu minacciata e aggradita con violenza.
Alla luce di tali fatti,...
Svolgimento del processo
1. Il ricorrente veniva tratto a giudizio e condannato con doppia conforme nei due gradi del merito per i reati di rapina impropria di cui all'art. 628/2-3 n. 1 cod. pen. e lesioni «perché, subito dopo che B.L. e N.G. (nei cui confronti si procede separatamente) si erano impossessati di due banconote da euro 50 di proprietà di B.A. colpendolo all'altezza del petto e strappandogliele dalle mani (banconote asseritamente dovute per accordi relativi ad un acquisto di sostanza stupefacente), utilizzava violenza e minaccia nei confronti del B. che li stava inseguendo per farsi restituire la somma sottratta, ingaggiando con lo stesso una colluttazione, cui partecipavano anche il B. e il G., cagionandogli le lesioni di cui al seguente capo b) proferendo le seguenti frasi "se non la smetti di seguirci ti buttiamo di sotto così non ti trova più nessuno..... se non la smetti ti buttiamo sui binari e ti lasciamo lì" con l'aggravante del fatto commesso in più persone riunite».
2. Contro la sentenza di Appello, il ricorrente, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo, con un unico motivo, l'erronea applicazione della legge penale ossia dell'art. 628/2 cod. pen.
Ad avviso della difesa (pag. 3 ricorso), il delitto di rapina propria sarebbe incompatibile con quello di rapina propria: infatti, sarebbe errato affermare, come ritenuto dalla Corte d'appello, la sussumibilità della condotta del ricorrente nel delitto di rapina impropria, in una situazione caratterizzata dalla cosiddetta quasi flagranza. Da una parte, la quasi flagranza ed il delitto di rapina impropria non potrebbero coesistere al cospetto di una rapina precedentemente consumata mentre, dall'altra parte, l'affermazione implicherebbe che il M. avesse comunque partecipato, anche mediante concorso o rafforzamento morale, alla rapina propria già effettuata senza la sua presenza. Il medesimo concetto è stato ribadito, successivamente, nella memoria depositata ex art 585/4 cod. proc. pen.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate.
2. La difesa del ricorrente - a sostegno della propria tesi - invoca l'applicazione del principio di diritto secondo il quale «è inammissibile il concorso delle due ipotesi di rapina, propria e impropria, le quali si comportano rispetto alla tutela dello stesso bene come mezzi diversi per un medesimo scopo. In conseguenza se si usa violenza o minaccia per sottrarre una cosa mobile altrui e, subito dopo la violenta sottrazione si usa ancora violenza o minaccia per assicurarsene il possesso o per procurare a sé o ad altri l'impunità, il delitto di rapina resta unico. La condotta violenta o minacciosa rivolta ad assicurare il possesso ovvero a garantire la impunità manca di una propria tipicità se la sottrazione è già stata violenta, dato che per la rapina impropria è necessario che la sottrazione non sia stata violenta perché viceversa viene a mancare un requisito della rapina impropria e dopo la rapina propria, essi restano a carico dell'agente medesimo e non vengono assorbiti dalla rapina»: Sez. 2, n. 13111 del 2023; Sez. 2, n. 16797 del 2020.
3. Questo Collegio, pur condividendo e ribadendo il suddetto principio, osserva che non è applicabile alla fattispecie in esame.
Infatti, la giurisprudenza invocata dalla difesa del ricorrente, si applica nell'ipotesi in cui l'agente dopo avere sottratto un bene mobile alla persona offesa, adopera minaccia o violenza per evitare di esserne spossessato o per assicurarsi l'impunità.
Nella fattispecie in esame, invece, i due agenti (B. e G.) dopo avere sottratto alla persona offesa B. la somma di cento euro, immediatamente dopo, ne consegnarono una parte (€ 50) al ricorrente M., il quale, mentre era ancora insieme al B. ed al G., fu raggiunto dalla persona offesa che richiese loro di restituirgli il maltolto: al che, il B. fu minacciato ed aggredito con violenza.
Invero, quanto alla incensurabile ricostruzione del fatto, la Corte di Appello (pag. 8) così scrive: «[. ... ] nel verbale di s.i.t. del 16 Marzo 2019 B. veniva escusso nuovamente proprio per precisare il ruolo avuto dalla persona identificata, e la vittima era puntuale nel dire che "continuavo a dire loro che volevo indietro i miei soldi" e M. era uno dei più attivi a colpirlo ed a minacciarlo affinché la vittima desistesse dal suo legittimo proposito [.... ] M. aveva ricevuto dal B. 50 C che, in considerazione della frettolosa fuga dopo averle prese dalle mani, dell'immediata reazione del B. che si poneva all'inseguimento, della vicinanza del locale in cui si trovava M. rispetto al luogo della sottrazione, deve ritenersi fosse propria una delle due banconote da 50 C sottratta al B.; e ciò fa pensare ad un interesse del M. anche personale e diretto ad assicurarsi il possesso del denaro sottratto. La stretta successione cronologica tra la sottrazione delle banconote, la fuga di B. e G., l'intervento del M., quindi l'allontanamento questa volta di B. e M. sempre e comunque con il costante inseguimento del B., porta a ritenere con assoluta certezza che non vi fu affatto definitivo impossessamento delle banconote fino a quando B. non desisteva dal proposito di recuperare i suoi soldi, cioè fino all'arrivo al sottopassaggio della stazione ferroviaria di F.; non può operarsi una dissociazione logica tra le condotte minacciose e violente né appare configurabile la rapina propria perché prima dell'arrivo alla stazione ferroviaria un definitivo impossessamento del denaro non vi era stato stante il protratto inseguimento del B.».
Quindi, la Corte territoriale è netta nell'affermare che all'iniziale sottrazione delle banconote effettuata da B. e G. (i quali le avevano "prese dalle mani" del B.), seguì, in stretta successione cronologica, l'inseguimento del B., la consegna di€ 50 da parte del B. al M., la richiesta di restituzione dell'intera somma da parte del B., la reazione violenta del M. e del B. che, alla fine, s'impossessarono definitivamente del denaro dopo che il B., desistette dal continuare l'inseguimento.
Ed allora, il quesito giuridico che pone la presente fattispecie può essere così formulato: se colui che - pur non avendo partecipato al reato di sottrazione - riceva immediatamente dopo dall'autore della sottrazione, tutto o in parte il provento della suddetta sottrazione, e usi violenza o profferisca minacce per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità, risponda o no del reato di rapina impropria.
4. Per dare risposta al suddetto quesito è opportuno procedere all'esegesi dell'art. 628/2 cod. pen.
La norma in esame prevede e sanziona tre fattispecie.
La prima (quella più usuale) si ha quando chi sottragga una cosa mobile a chi la detiene, immediatamente dopo, adopera violenza o minaccia per "per assicurare a sé il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé l'impunità": è questa la fattispecie tipica del ladro che - immediatamente dopo il furto, inseguito o fermato dalla persona offesa o dalle Forze dell'Ordine - ponga in essere una condotta minacciosa o violenta al fine di mantenere il possesso della cosa rubata o al fine di garantirsi l'impunità.
La seconda fattispecie che la norma prevede è quella del terzo che - pur non avendo partecipato alla condotta sottrattiva - immediatamente dopo, partecipa alla dinamica predatoria o per assicurare (con violenza e minaccia) ad "altri" il possesso del bene sottratto o per procurare ad "altri" l'impunità: in tale ipotesi, il terzo "soccorre" l'agente che ha sottratto il bene, "aiutandolo" a mantenerne il possesso o ad assicurargli l'impunità.
La terza fattispecie, si ha quando il terzo, dopo avere ricevuto - immediatamente dopo la sottrazione - dall'autore della condotta sottrattiva, la consegna del bene sottratto, ponga in essere una condotta minacciosa o violenta al fine di mantenere il possesso della cosa consegnatagli o al fine di garantirsi l'impunità: in tale ipotesi, il terzo, divenuto possessore della cosa consegnatogli dall'autore del reato sottrattivo, la difende con violenza o minaccia o cerca di procurarsi l'impunità.
È appena il caso di osservare che il terzo risponde del reato di rapina impropria solo alle seguenti condizioni: a) che la condotta violenta/minacciosa sia posta in essere "immediatamente dopo" la sottrazione; b) che la suddetta condotta sia sorretta dal dolo: sul punto, questa Corte ha chiarito che «nella rapina impropria, l'elemento soggettivo del reato è costituito, oltre che dal "dolo generico" consistente nella coscienza e volontà di adoperare violenza o minaccia dopo l'illecita sottrazione della cosa mobile, anche dal "dolo specifico", consistente nella finalizzazione della violenza o della minaccia adoperata verso il definitivo impossessamento della cosa o verso l'ottenimento della impunità»: Cass. n. 46412/2014 Rv 261021 (in motivazione).
La fattispecie in esame rientra sia nella seconda che nella terza ipotesi. Infatti, il ricorrente - subito dopo essere venuto in possesso di una parte (€ 50) della somma (€ 100) che B. e G. avevano poco prima sottratto al B.
- non esitò ad adoperare violenza e minaccia nei confronti di costui (che reclamava la restituzione del maltolto) sia per assicurare a sé e "ad altri" (B.) il possesso della somma sottratta, sia, comunque, per procurare a sé e ad "altri" (B.) l'impunità.
Non vi è, quindi, alcuna ragione giuridica per cui un soggetto terzo che intervenga con violenza e minaccia "immediatamente dopo" la sottrazione della cosa mobile, vuoi nel suo interesse, vuoi nell'interesse altrui, non debba rispondere del reato di rapina impropria, sempre che, ovviamente, la suddetta condotta sia sorretta dal dolo: la lettera della norma non consente la conclusione auspicata dalla difesa del ricorrente secondo la quale il M. dovrebbe rispondere solo del reato di lesioni, restando così priva di ogni conseguenza la condotta violenta finalizzata a mantenere il possesso (nel suo interesse e in quello del B.) della cosa sottratta o comunque assicurarsi l'impunità.
5. Infine, la difesa ha eccepito che non vi sarebbe alcuna prova in ordine all'elemento soggettivo (dolo di rapina) che sorresse la condotta del ricorrente.
Si tratta, tuttavia, di una censura generica in quanto smentita in punto di fatto dalla Corte Territoriale (pag. 8) che, proprio sulla base delle inequivoche dichiarazioni della persona offesa, ha affermato che «la prova della consapevolezza, in capo al M., di agire con pugni e calci per assicurarsi il possesso del denaro sottratto è, dunque, raggiunta con assoluta certezza e viene rafforzata dal fatto che M. aveva ricevuto dal B. 50 C che, in considerazione della frettolosa fuga dopo averle prese dalle mani, dell'immediata reazione del B. che si poneva a/l'inseguimento, della vicinanza del locale in cui si trovava M. rispetto al luogo della sottrazione, deve ritenersi fosse propria una delle due banconote da 50 C sottratta al B.; e ciò fa pensare ad un interesse del M. anche personale e diretto ad assicurarsi il possesso del denaro sottratto». Si tratta di una motivazione che, essendo basata su precisi dati fattuali (vedi supra § 3), non si presta ad alcuna censura sotto alcuno dei profili di cui all'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., tanto più che, come ha stigmatizzato il giudice di primo grado, il ricorrente non ha ritenuto mai di dare una propria alternativa versione dei fatti per cui è processo (pag. 5 sentenza di primo grado).
6. In conclusione, il ricorso dev'essere rigettato alla stregua del seguente principio di diritto: «colui che - pur non avendo partecipato alla sottrazione della cosa mobile altrui - riceva immediatamente dopo dall'agente il provento della sottrazione e ponga in essere violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l'impunità, risponde del reato di rapina impropria sempre che sia consapevole dell'illecita sottrazione del bene consegnatogli».
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.