E non secondo la regola della testimonianza de relato, con i connessi limiti di utilizzabilità, visto che nel caso di specie l'intercettato narrava fatti storici di cui era venuto a conoscenza da fonti ignote. Questo il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte con la sentenza in commento.
La Corte d'Appello di Torino confermava la condanna dell'imputato per i reati di rapina aggravata, lesioni personali aggravate, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo.
Contro tale decisione, la difesa dell'imputato propone ricorso per cassazione contestando, tra i diversi motivi, l'interpretazione fornita dai Giudici in relazione al contenuto delle intercettazioni. Nello...
Svolgimento del processo
1. La Corte d'appello di Torino, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene ritenute di giustizia pronunciata nei confronti di M. F. dal G.u.p. del Tribunale di Torino in data 15 aprile 2021, in ordine ai delitti di rapina aggravata, lesioni personali aggravate, detenzione e porto illegale di arma comune da sparo.
2. Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell'imputato deducendo, con il primo articolato motivo, vizio della motivazione per manifesta illogicità, contraddittorietà e carenza con riguardo alla valutazione della prova indiziaria; si rileva come la denunciata inidoneità delle dichiarazioni difensive rese dall'imputato, poiché precostituite grazie alla conoscenza degli atti processuali, si pone in contraddizione con la cronologia dell'arresto sulla scorta del mandato di arresto europeo e del successivo interrogatorio avvenuto a distanza di tempo, così come per la memoria scritta depositata nel procedimento incidentale dinanzi al Tribunale del riesame.
In particolare, era illogica e apodittica la tesi sostenuta dalla sentenza impugnata circa l'implausibilità della versione fornita dall'imputato sul furto della vettura (pacificamente utilizzata dai responsabili della rapina), intestata ad altri soggetti ma da lui acquistata e utilizzata sino a qualche settimana prima della rapina, quando era avvenuto il furto; corrispondeva alla normalità dei casi che il furto di un borsello contenente le chiavi del veicolo, commesso in un locale pubblico, fosse finalizzato a rintracciare nei pressi di quel locale il veicolo, le cui chiavi erano state rinvenute dall'autore della sottrazione. Egualmente illogica la valutazione in termini di inverosimiglianza della mancata presentazione della denuncia di furto per astratti timori, tesi al contrario validamente sostenuta dalle ragioni esplicitate dal ricorrente (che aveva giustificato l'omissione della denuncia per la propria condizione di soggetto irregolare sul territorio italiano, su cui pendevano ordini di esecuzione di pene definitive, sicché era logico che egli non si fosse presentato presso alcun comando di polizia, ove avrebbe corso il rischio di esser individuato e privato della libertà). Erano altresì illogiche le considerazioni svolte circa le ragioni della fuga all'estero dell'imputato; risultava frutto di fraintendimento, nonché di errata lettura della documentazione prodotta, la tesi della Corte (secondo la quale, rispetto al timore dell'esecuzione dei provvedimenti definitivi a suo carico, il ricorrente si fosse determinato ad allontanarsi dall'Italia tardivamente e, quindi, per altre ragioni, quali la responsabilità per la commessa rapina) in quanto anche se le condanne definitive e i relativi ordini di esecuzione erano risalenti e pur essendo stata presentata istanza di sospensione e concessione di misure alternative, la certezza di non poter conseguire l'accoglimento dell'istanza faceva temere l'imminente esecuzione e, quindi, giustificava la decisione di allontanarsi dal territorio italiano.
Anche le ragioni difensive della mancanza di formale titolarità del veicolo e del timore di rappresentarne l'avvenuta sottrazione al soggetto che aveva intermediato la consegna del veicolo, cui doveva ancora saldare il prezzo, erano state valutate in modo errato ed illogico dalla sentenza impugnata, in quanto anche le dichiarazioni testimoniali dell'intermediario confermavano il mancato saldo del prezzo e, quindi, giustificavano il timore del ricorrente nel riferire del subito furto (circostanza che avrebbe indotto a richiedere immediatamente il versamento del residuo prezzo), considerata altresì l'assenza di copertura assicurativa che avrebbe potuto garantire un indennizzo al formale titolare del veicolo.
Il ricorrente censurava la valutazione condotta dalla Corte territoriale sulla portata del riconoscimento fotografico operato dal teste L., in quanto svolta senza considerare la difformità della descrizione somatica del medesimo soggetto, individuato nel ricorrente, da parte del teste L. e del teste L., giustificata in modo illogico e apodittico dalla sentenza attraverso l'asserzione indimostrata che il L. avrebbe invertito le descrizioni dei due rapinatori.
Analoga censura veniva formulata con riguardo all'interpretazione del contenuto delle intercettazioni; le circostanze storiche riferite dal soggetto intercettato (O. O.) sulla rapina, sul provento del reato e sulla sua destinazione, erano state apprese dall'O. da fonti ignote "verosimilmente da inquadrarsi ... tra le voci correnti nel pubblico", ciò che rendeva necessaria ed indispensabile la sollecitata integrazione probatoria mediante l'esame dell'O., che la Corte territoriale aveva negato con motivazione illogica e errata. La Corte, inoltre, non aveva apprezzato la contraddittorietà dell'intero contenuto delle espressioni dell'O., che facevano riferimento alternativamente al possesso della refurtiva in capo al M. o, in altri contesti dei dialoghi, alla moglie del ricorrente, così dimostrando l'inattendibilità della fonte.
L'elemento storico della fuga all'estero era stato anch'esso valutato in modo illogico rispetto alle chiare e concordanti spiegazioni fornite dal ricorrente nel proprio interrogatorio, che dimostravano come si fosse trattato di un allontanamento volontario per le indicate ragioni di timore rispetto alla pendenza di provvedimenti coercitivi, attuato senza portare con sé documenti proprio per evitare l'identificazione in occasione di controlli di polizia e scegliendo di non utilizzare vettori aerei o treni per la medesima ragione.
2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione della legge processuale, in relazione all'art. 603 cod. proc. pen., e vizio della motivazione, carente e manifestamente illogica, quanto al diniego della richiesta integrazione istruttoria; la Corte aveva travisato il contenuto della richiesta difensiva che non mirava a verificare le affermazioni registrate sui fatti oggetto delle intercettazioni, bensì a individuare le fonti delle conoscenze dell'O., al fine di saggiarne l'attendibilità e di procedere all'ascolto dei soggetti, che avevano riferito i fatti narrati dal soggetto sottoposto ad intercettazione. Inoltre, era errata la motivazione che aveva ipotizzato il divieto di escutere quale testimone l'O., ex art. 63 cod. proc. pen., attribuendogli una veste processuale - quella di soggetto indagabile, perché favoreggiatore per aver prestato ausilio nella fuga all'estero al ricorrente - che non teneva conto dell'assenza di elementi fattuali per ritenere che il M. fosse latitante.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo è proposto per motivi non consentiti.
Secondo il granitico insegnamento della Corte, quando con il ricorso per cassazione si intenda denunciare l'apparato argomentativo della sentenza impugnata «non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento» (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747 - 01; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965 - O); in particolare, rispetto agli accertamenti di fatto condotti nel giudizio di merito, «sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito» (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601 - 01; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482 - O), ancor più ove l'esistenza di ricostruzioni alternative del medesimo fatto (pur se emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa) «sia stata oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell'appello, giacché la Corte è chiamata ad un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva per mezzo di una valutazione unitaria e globale dei singoli atti e dei motivi di ricorso su di essi imperniati, non potendo la sua valutazione sconfinare nel merito» (Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519 - 01; Sez. 1, n. 53512 del 11/07/2014, Gurgone, Rv. 261600 - O). Per queste ragioni, è inammissibile il ricorso «i cui motivi si limitino genericamente a lamentare l'omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito» (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, Falbo, Rv. 264441 - 01).
In particolare, quanto al vizio di manifesta illogicità della motivazione, esso «presuppone che la ricostruzione proposta dal ricorrente e contrastante con il procedimento argomentativo recepito nella sentenza impugnata sia inconfutabile e non rappresenti soltanto un'ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza» (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589 - 02), specie se il punto della decisione oggetto di censura riguardi l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, dovendo tale diversa «ricostruzione del fatto-reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili» (Sez. 2, n. 3817 del 09/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237 - 01).
Il motivo di ricorso in esame, oltre a reiterare nella sostanza il contenuto gli stessi motivi prospettati con l'atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, omettendo di «confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione» (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970 - 01), il che rende già evidente un primo profilo di inammissibilità, finisce per proporre, per ciascuno dei punti della decisione, un'alternativa ricostruzione degli eventi (come per la vicenda dell'ipotizzato furto della vettura nella disponibilità del ricorrente, prima che fosse utilizzata per la rapina, al pari della fuga all'estero dell'imputato due giorni dopo la consumazione della rapina), ovvero differenti valutazioni sulla portata probatoria del riconoscimento fotografico operato da un teste così come per il contenuto delle intercettazioni (rispetto al quale la relativa interpretazione del giudice di merito può essere sindacata in sede di legittimità solo nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione - Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 - O; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D'Andrea, Rv. 268389 - , essendo possibile la prospettazione di un'interpretazione diversa del significato delle intercettazioni in sede di legittimità solo in presenza dei presupposti per dedurre il travisamento della prova: Sez. 3, n. 6722 del 21/11/2017, dep. 2018, Di Maro, Rv. 272558; Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, dep. 2014, Napoleoni, Rv. 259516 - O).
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La motivazione posta dalla Corte territoriale a sostegno del diniego dell'istanza di rinnovazione istruttoria è priva di alcun vizio, né tantomeno può dirsi manifestamente illogica: la Corte ha concordato, con l'affermazione del giudice di primo grado, secondo cui l'accertamento del fatto scaturiva dalle affermazioni captate mentre l'O. dialogava con un terzo soggetto, riferendo di avere appreso delle responsabilità del ricorrente, sicché l'individuazione delle fonti delle conoscenze dell'O. non si rendeva necessaria, secondo il meccanismo processuale previsto dall'art. 195 cod. proc. pen. per la deposizione de relato, poiché l'utilizzazione di quelle informazioni scaturiva dalla valutazione dei giudici di merito in ordine alla spontaneità del narrato, correlata alla condizione del dichiarante che ignorava di essere sottoposto ad intercettazione, e non risultando motivi obiettivi per ipotizzare che avesse interesse a rendere false informazioni al proprio interlocutore.
La decisione trova riscontro nell'affermazione già formulata dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 27370 del 16/02/2021, Pezzella, Rv. 281635 - O, nella motivazione, § 7.), secondo la quale è improprio il richiamo alle regole dettate dagli artt. 194 e 195 cod. proc. pen., in materia di testimonianza, nell'ipotesi in cui si versi nel caso dell'occulta registrazione di conversazioni tra soggetti, ignari della captazione, che riferiscano fatti storici a loro conoscenza, dovendosi valutare quelle conversazioni (che rappresentano fonte di prova del tutto diversa dalla testimonianza) in chiave di attendibilità e di attitudine probatoria autonoma, procedendo a verificare l'esistenza di dati obiettivi sintomatici della volontà di rendere false dichiarazioni.
Va quindi espresso il principio di diritto per cui le dichiarazioni costituenti elemento di prova sulla responsabilità dell'imputato, apprese attraverso intercettazioni riguardanti un soggetto non indagato, che riferisca di fatti appresi da altri, devono essere valutate non secondo la regola della testimonianza de relato (e con i connessi limiti di utilizzabilità), ma quale fonte autonoma di prova ferma restando la necessità di apprezzare l'attendibilità della dichiarazione e la sua portata probatoria, considerando il peculiare contesto in cui la dichiarazione è stata resa, la condizione del dichiarante (ignaro di essere occultamente ascoltato), l'eventuale esistenza di dati sintomatici (riferibili alle qualità del dichiarante, ai rapporti con l'interlocutore o con il soggetto imputato) da cui possa trarsi la spiegazione logica della falsità delle dichiarazioni.
Egualmente corretta la motivazione nella parte in cui aveva considerato che, ipotizzando la necessità di escutere quale testimone l'O., sarebbe stata di ostacolo la previsione dell'art. 63 cod. proc. pen.; dalla lettura delle sentenze di merito, emerge come l'O. fosse effettivamente soggetto potenzialmente indagabile, perché favoreggiatore del ricorrente avendo prestato ausilio - come da lui stesso ammesso nei dialoghi intercettati - nella fuga all'estero, restando irrilevante che non vi fossero dati certi per affermare che il M. fosse latitante.
E' stato infatti più volte espresso il principio per cui va ravvisato il reato di favoreggiamento personale nel caso di aiuto consapevolmente fornito al colpevole di un delitto a sottrarsi a investigazioni ancora non in atto, purché esse siano chiaramente immaginabili dall'agente sulla base degli elementi concreti a sua conoscenza (Sez. 6, n. 16246 del 12/03/2013, Corti, Rv. 256184 - 01), essendo sufficiente che un atto di coercizione venga in qualsiasi modo ostacolato e, quindi, anche quando sia solo ritardato, non esigendosi che le ricerche siano in atto al momento in cui si ponga in essere la condotta favoreggiatrice, essendo sufficiente uno stato di fatto che renda probabile l'inizio delle ricerche (Sez. 1, n. 8245 del 11/05/1987. Piga, Rv. 176393 - 01).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cast. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.