Secondo la Consulta, posticipando lo svolgimento di queste elezioni, il Legislatore regionale ha di fatto impedito la costituzione degli enti di area vasta in Sicilia.
Con la sentenza n. 136 del 6 luglio 2023, la Consulta, in accoglimento del ricorso del Governo, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una norma della legge regionale n. 16 del 2022, che rinviava di un ulteriore anno l'elezione dei Consigli metropolitani e dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali, che in Sicilia sostituiscono le province.
La norma dichiarata incostituzionale era «l'ultimo anello di una catena di rinvii», che dal 2015 a oggi hanno continuamente posposto lo svolgimento di queste elezioni, impedendo in tal modo la costituzione degli organi elettivi dei liberi Consorzi, le cui funzioni sono svolte ormai da molti anni da un commissario nominato dalla Regione. Quanto poi alle Città metropolitane, il mancato svolgimento delle elezioni ha fatto sì che nessuno dei loro organi di governo abbia oggi carattere elettivo.
In sostanza, attraverso interventi puntuali e continui nel corso di otto anni, il Legislatore regionale ha di fatto impedito la costituzione degli enti di area vasta in Sicilia violando così
La Corte ha concluso che «a tale situazione deve essere posto rimedio senza ulteriori ritardi, attraverso il tempestivo svolgimento delle elezioni dei Presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, affinché anche in Sicilia gli enti intermedi siano istituiti e dotati dell'autonomia loro costituzionalmente garantita, e si ponga fine alla più volte prorogata gestione commissariale».
Corte costituzionale, sentenza (ud. 6 giugno 2023) 6 luglio 2023, n. 136
Svolgimento del processo
1.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2022 e depositato il 17 ottobre 2022 (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 43, 71 e 108, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie).
1.1.– L’art. 13, comma 43, della legge impugnata apporta modifiche alla legge della Regione Siciliana 4 agosto 2015, n. 15 (Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane), sostituendo, all’art. 6, comma 2, e all’art. 14-bis, comma 7, le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2022» con le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2023» e, all’art. 51, comma 1, le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2022» con le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2023».
Ad avviso del ricorrente, tale modifica «rinvia al 2023 l’elezione dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, e proroga al 31 agosto 2023 le funzioni degli attuali commissari straordinari che svolgono le funzioni di presidente dei liberi Consorzi comunali», in attesa delle elezioni di secondo livello previste dalla legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, ma «da allora mai indette in quanto sempre rinviate».
Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che, prima dell’approvazione della legge de qua, «la Regione ha rinviato per ben undici volte le elezioni degli organi dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane, prorogando contemporaneamente la gestione commissariale di tali enti di area vasta». Tale reiterato rinvio delle elezioni e le conseguenti proroghe dei commissariamenti si porrebbero in contrasto con numerosi parametri costituzionali.
Sarebbero innanzi tutto violati «i principi di democraticità di cui all’articolo 1, primo comma, Cost., in quanto i referendum e le elezioni (ancorché indirette) rappresentano il momento più alto di manifestazione della sovranità popolare» (è citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 2014), nonché gli artt. 5 e 114 della Costituzione, «in quanto l’autonomia e la rappresentatività degli enti de quibus sono svuotate da un commissariamento che di fatto dura sine die».
La disposizione impugnata si porrebbe altresì in contrasto con «il principio di ragionevolezza desumibile dall’articolo 3 Cost.», poiché la «situazione di eccezionalità che poteva giustificare, nell’immediatezza dell’entrata in vigore della disciplina di riforma, la proroga originariamente disposta nel 2016, non può infatti porsi come plausibile ragione giustificativa delle successive 10 proroghe che si sono susseguite in un arco temporale di sei anni: ciò che stabilizza l’eccezionalità oltre ogni ragionevole limite».
Ancora, il rinvio delle elezioni e la proroga dei commissariamenti si porrebbero in palese contrasto con l’art. 114 Cost., il quale, «nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale “città metropolitana”, ha imposto alla Repubblica il dovere di istituirlo» (è citata la sentenza n. 168 del 2018).
Infine, per mezzo della legge impugnata, la Regione Siciliana avrebbe disatteso le disposizioni della legge 7 aprile 2014, n. 56 (Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni), che si imporrebbero anche alle regioni a statuto speciale quali principi di grande riforma economico-sociale (sono citate le sentenze di questa Corte n. 168 del 2018 e n. 160 del 2021), con conseguente violazione degli artt. 14, primo comma, lettera o), e 15, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. Mentre infatti la legge n. 56 del 2014 «concepisce gli enti di area vasta come espressione del livello di governo inferiore (comunale)», il continuo protrarsi dei commissariamenti di tali enti avrebbe di fatto determinato «una derivazione e dipendenza degli stessi dall’ente regionale».
1.2.– È poi impugnato l’art. 13, comma 71, il quale dispone che «[t]rovano applicazione nella Regione fino al 31 dicembre 2022, in attuazione del comma 1 dell’articolo 10 del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le disposizioni di cui all’articolo 38 bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e successive modificazioni».
Nella sua formulazione originaria, l’art. 38-bis del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, allo scopo di far fronte alle ricadute economiche negative per il settore dell’industria culturale conseguenti alle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, prevedeva che fino al 31 dicembre 2021, «per la realizzazione di spettacoli dal vivo che comprendono attività culturali quali il teatro, la musica, la danza e il musical, che si svolgono in un orario compreso tra le ore 8 e le ore 23, destinati ad un massimo di 1.000 partecipanti, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, richiesto per l’organizzazione di spettacoli dal vivo, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, [fosse] sostituito dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, presentata dall’interessato allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo». L’efficacia di tale disposizione è stata poi prorogata al 31 dicembre 2022 dal decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52.
Nell’impugnare l’art. 13, comma 71, della legge regionale in esame, il Presidente del Consiglio dei ministri premette che, nel resto d’Italia, le funzioni di rilascio delle licenze in materia di pubblici spettacoli di cui agli artt. 68 e 69 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi in materia di pubblica sicurezza) e agli articoli da 116 a 151 del regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 (Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza), originariamente di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza, sono state trasferite ai comuni dall’art. 19, primo comma, numeri 5) e 6), del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382).
Successivamente, il decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo), convertito, con modificazioni, nella legge 7 ottobre 2013, n. 112, ha modificato gli artt. 68 e 69 TULPS, prevedendo, a determinate condizioni, la sostituzione della licenza in esame con la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all’art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Nota tuttavia l’Avvocatura generale dello Stato che l’art. 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990 espressamente esclude dall’ambito di applicazione della SCIA gli atti «rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze […]». L’impossibilità di sostituire con la SCIA le licenze di pubblica sicurezza rimaste nell’alveo di competenza statale, e segnatamente delle autorità di pubblica sicurezza, sarebbe poi stata successivamente confermata dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222, recante «Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124», che avrebbe previsto la SCIA come «regime amministrativo tipico per numerose tipologie di attività economiche (esercizi di vicinato, strutture ricettive, stabilimenti balneari), devolute alla competenza dei comuni, ovvero per attività che non rivestono profili di diretto e primario interesse per l’Amministrazione dell’Interno».
Nella Regione Siciliana, invece, il trasferimento delle funzioni in esame ai comuni e la loro successiva semplificazione non si sarebbero verificati, non essendo ancora state adottate le norme di attuazione dello statuto speciale necessarie a tale scopo. L’art. 22 della legge della Regione Siciliana 2 gennaio 1979, n. 1 (Attribuzione ai Comuni di funzioni amministrative regionali), infatti, dispone sì, al primo comma, che siano attribuite ai comuni le «funzioni di polizia amministrativa di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 733 [recte: 773], e successive modifiche»; ma prevede anche, al secondo comma, che «[l]’ esercizio delle stesse funzioni sarà determinato sulla base delle relative norme di attuazione dello Statuto». Non essendo ancora state adottate queste ultime, in Sicilia, le licenze per i pubblici spettacoli sarebbero ancora di competenza del questore.
Ad avviso del ricorrente, tale conclusione sarebbe confermata dalla giurisprudenza amministrativa (è citata Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, sentenza 29 giugno 1989, n. 236) e dal parere del Consiglio di Stato, prima sezione, 26 giugno 2022, n. 1510, che avrebbe ribadito che «ai fini del trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla Regione Siciliana e alle province e ai comuni della stessa Regione, non siano ammissibili procedure diverse da quella prevista dall’art. 43 dello Statuto speciale».
L’Avvocatura generale dello Stato ritiene dunque che, mentre il trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa contemplate dal TULPS ai comuni siciliani assumerebbe «valore pregiudiziale sia rispetto al loro esercizio in concreto che, a fortiori, per la loro semplificazione», la Regione Siciliana avrebbe invece, con la disposizione impugnata, recepito una norma statale di semplificazione (appunto l’art. 38-bis del d.l. n. 76 del 2020, come convertito) «senza aver preliminarmente attuato la trasposizione delle predette funzioni di polizia amministrativa ai comuni».
L’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, pertanto, sarebbe «in contrasto con le previsioni statutarie (articolo 43 dello Statuto regionale) e costituzionali (articolo 116 Cost., e Legge cost. n. 2/1948), nonché lesiv[o] delle competenze statali in materia di ordine e sicurezza pubblica di cui all’articolo 117, secondo comma, lett. h), Cost.».
1.3.– È infine impugnato l’art. 13, comma 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, il quale dispone che nelle more della formazione ed approvazione dei piani urbanistici generali (PUG), «i titoli abilitativi regolarmente rilasciati in deroga agli strumenti urbanistici in forza dell’articolo 10 della legge n. 104/1992 e successive modificazioni e/o di altre disposizioni determinano la modifica permanente della programmazione urbanistica purché gli immobili siano stati già realizzati ed i titoli rilasciati almeno 18 mesi prima della data di entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2021, n. 2. In sede di formazione ed approvazione del nuovo PUG si deve tenere conto della destinazione urbanistica impressa all’area dal titolo edilizio di cui al presente comma. È altresì consentito per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, entro i limiti e con le modalità di cui all’articolo 47 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 e successive modificazioni, il cambio di destinazione urbanistica per usi non residenziali e/o commerciali su richiesta degli aventi titolo».
Ad avviso del ricorrente, la disposizione in esame si discosterebbe dall’art. 10 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), pur espressamente richiamato, sotto un duplice profilo. Da una parte, renderebbe «permanente il cambio d’uso che la legge nazionale, invece, prevede come destinato a cessare in caso di venir meno dell’uso effettivo prima del ventesimo anno»; dall’altra stabilirebbe che «gli immobili destinati, in deroga agli strumenti urbanistici, all’uso da parte delle comunità alloggio ed ai centri socio-riabilitativi, possano essere destinati a usi non residenziali e/o commerciali, su richiesta degli “aventi titolo”, entro sei mesi dall’entrata in vigore della L. R. n. 16/2022».
In questo modo la disposizione impugnata tradirebbe la ratio della norma statale citata, che persegue la finalità di soddisfare le esigenze abitative e riabilitative dei soggetti con disabilità, «piegando l’effetto di variante agli strumenti urbanistici a finalità che risultano estranee alle necessità di tutela delle persone con disabilità». L’art. 13, comma 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, infatti, stabilizzerebbe «l’effetto di variante, che in base alla norma nazionale è legato all’uso effettivo dell’immobile da parte delle comunità-alloggio e dei centri socio-riabilitativi», e consentirebbe inoltre, «una volta ottenuto tale effetto, di destinare l’immobile a usi non residenziali, e quindi slegati dalle attività proprie di tali comunità e centri», peraltro alla condizione, difficilmente spiegabile, che le istanze siano presentate entro il ristretto termine di sei mesi dall’entrata in vigore della legge regionale.
Secondo il ricorrente, la disposizione in esame sarebbe in primo luogo in contrasto «con i principi di ragionevolezza e buon andamento della Pubblica Amministrazione, in quanto sacrifica l’esigenza di ordinato assetto del territorio, connaturata alla pianificazione urbanistica, non più in vista dell’interesse costituzionale primario alla tutela della salute e delle necessità esistenziali delle persone con disabilità, bensì per la mera soddisfazione di interessi privati, neppure evincibili dal dettato normativo», con conseguente violazione del «combinato disposto degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione».
Parimenti violato sarebbe l’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, «il quale attribuisce la materia dell’urbanistica alla competenza legislativa esclusiva regionale, ma pur sempre “senza pregiudizio delle riforme agrarie e industriali deliberate dalla Costituente del popolo italiano”, e comunque con il limite delle norme statali di grande riforma economico sociale». L’art. 13, comma 108, della legge regionale impugnata, infatti, si porrebbe in contrasto con le «previsioni relative alla “zonizzazione” dei territori comunali, con l’individuazione della relativa disciplina d’uso e dei relativi limiti di edificazione» di cui all’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), le quali rappresenterebbero norme di grande riforma economico-sociale.
Infine, la disposizione impugnata, non facendo salva, a differenza dell’art. 10 della legge n. 104 del 1992, l’applicazione della disciplina in materia paesaggistica, produrrebbe un abbassamento della tutela del paesaggio, determinando così la violazione dell’art. 14, primo comma, lettera n), dello statuto reg. Siciliana, nonché dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143, 145 e 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), e dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 5, lettera d), e 6, lettere d) ed e), della Convenzione europea del paesaggio, ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sul paesaggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000).
2.– La Regione Siciliana, pur costituita in giudizio, non ha svolto difese rispetto alle questioni qui in esame.
3.– In data 12 dicembre 2022, ha spiegato atto di intervento, limitatamente alla questione avente ad oggetto l’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, F.M. D., il quale afferma che la sua legittimazione all’intervento deriva tanto dalla sua qualità di cittadino elettore iscritto nelle liste del Comune di Aci Castello e quindi «interessato alla conformazione delle strutture istituzionali in cui si esprime il circuito della rappresentanza e della responsabilità politica», quanto, soprattutto, «dalla circostanza di aver provocato il giudizio in cui è stata adottata la pronuncia di codesta Corte costituzionale 7 dicembre 2021, n. 240». Riferisce infatti l’interveniente che è nell’ambito del giudizio dallo stesso instaurato di fronte al Tribunale ordinario di Catania al fine di veder accertato il proprio diritto di partecipare alla costituzione dell’organo di vertice della Città metropolitana di Catania, e in particolare nella fase di secondo grado di fronte alla Corte d’appello di Catania, che è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale decisa con la sentenza di questa Corte n. 240 del 2021. Secondo F.M. D., la circostanza che nell’odierno giudizio questa Corte sarebbe chiamata a «chiarire l’efficacia della sentenza n. 240 del 2021 e, particolarmente, delle avvertenze contenute al n. 8 del Considerato in diritto» unita al fatto che il giudizio instaurato dall’interveniente di fronte alla giurisdizione ordinaria è tuttora pendente davanti alla Corte di cassazione a seguito del ricorso dello stesso F.M. D. avverso l’ordinanza della Corte d’appello di Catania, prima sezione civile, 27 aprile-12 maggio 2022, n. 1873, conferirebbe a F.M. D. una posizione differenziata e specifica rispetto a tutti gli altri cittadini elettori siciliani, che ne legittimerebbe l’intervento nel presente giudizio. In altre parole, l’interesse fatto valere dall’interveniente non sarebbe «quello adespota o diffuso di ogni cittadino elettore siciliano, ma quello specifico e differenziato a far definire l’efficacia della sentenza n. 240 del 2021 cui ha dato luogo la sua azione, iniziata avanti il Tribunale di Catania e tuttora pendente in Cassazione».
In due memorie depositate il 10 febbraio 2023 e il 15 maggio 2023, F.M. D. ha ribadito e ulteriormente argomentato le ragioni dell’ammissibilità del suo intervento, dando conto, tra l’altro, dell’intervenuta pronuncia della Corte di cassazione, prima sezione civile, ordinanza 23-30 gennaio 2023, n. 2765, che ha rigettato il ricorso dell’odierno interveniente avverso la pronuncia della Corte d’appello di Catania.
Motivi della decisione
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 43, 71 e 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022.
2.– Preliminarmente deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale, allegata a questa sentenza, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’intervento in giudizio spiegato da F.M. D.
3.– È impugnato, anzitutto, l’art. 13, comma 43, che modifica la legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, sostituendo:
a) all’art. 6, comma 2, e all’art. 7, comma 14-bis, le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2022» con le parole «nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2023»;
b) all’art. 51, comma 1, le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2022» con le parole «e comunque non oltre il 31 agosto 2023».
3.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata – rinviando di un anno le elezioni, già più volte posposte, dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, e prorogando contestualmente il mandato dei commissari straordinari nominati dalla Regione che svolgono attualmente le funzioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali – violerebbe «i principi di democraticità di cui all’articolo 1, primo comma, Cost.», nonché gli artt. 5 e 114 Cost., e si porrebbe altresì in contrasto con «il principio di ragionevolezza desumibile dall’articolo 3 Cost.». Inoltre, con tale disposizione il legislatore siciliano sarebbe venuto meno al dovere di istituire le città metropolitane imposto dall’art. 114 Cost., e avrebbe anche disatteso le disposizioni della legge n. 56 del 2014, richiamate quali norme di grande riforma economico-sociale, con conseguente violazione degli artt. 14, primo comma, lettera o), e 15 dello statuto speciale.
3.2.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 3, 5 e 114 Cost. sono fondate.
3.3.– Giova preliminarmente ricordare che, a seguito di quello che la sentenza n. 168 del 2018 (punto 4 del Considerato in diritto) ha definito come «un travagliato iter di riforma, connotato da un altalenante rapporto di omogeneità-disomogeneità rispetto alla legge statale n. 56 del 2014», gli organi di governo degli enti di area vasta in Sicilia sono attualmente oggetto di una disciplina, dettata dal legislatore regionale ai sensi dell’art. 14, primo comma, lettera o), dello statuto, sostanzialmente coincidente con quella stabilita dalla legge n. 56 del 2014, caratterizzata dalla elezione indiretta di tali organi.
In particolare, per quanto specificamente interessa il presente giudizio, i presidenti dei liberi Consorzi comunali – che «nella Regione siciliana […] hanno preso il posto delle province (art. 15, primo e secondo comma, dello statuto siciliano)» (sentenza n. 230 del 2001, punto 3.1. del Considerato in diritto) – sono eletti con voto ponderato dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica dei comuni che li compongono, fra i sindaci dei comuni appartenenti allo stesso libero Consorzio comunale il cui mandato scada non prima di diciotto mesi dalla data di svolgimento delle elezioni (art. 6, commi da 4 a 6, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, nel testo oggi vigente a seguito delle numerose modifiche intervenute).
Quanto ai Consigli metropolitani, invece, essi sono composti dal sindaco metropolitano e da quattordici o diciotto membri a seconda della popolazione residente nella città metropolitana, eletti con voto ponderato dai sindaci e dai consiglieri comunali in carica dei comuni appartenenti alla città metropolitana, fra i sindaci e i consiglieri comunali in carica (art. 14-bis, commi 5 e 6, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2015).
3.4.– Questo assetto istituzionale degli enti di area vasta siciliani, tuttavia, è rimasto sinora sostanzialmente inattuato. Come sottolinea l’Avvocatura generale dello Stato, infatti, la disposizione oggetto di impugnazione si inserisce in un contesto normativo segnato dal continuo rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta in Sicilia.
Sebbene l’art. 6, comma 2, della legge reg. Siciliana n. 15 del 2015, prevedesse inizialmente che le elezioni di secondo grado dei presidenti dei liberi Consorzi comunali dovessero svolgersi, in sede di prima applicazione, «in una domenica compresa tra l’1 ottobre ed il 30 novembre 2015», a rinviare le consultazioni elettorali sono intervenute, nell’ordine:
1) la legge della Regione Siciliana 12 novembre 2015, n. 28 (Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2015, n. 15 in materia di elezione degli organi degli enti di area vasta e proroga della gestione commissariale), che, sopprimendo all’art. 6, comma 2, le parole «[i]n sede di prima applicazione della presente legge, l’elezione si svolge in una domenica compresa tra l’1 ottobre ed il 30 novembre 2015», determinava il mancato svolgersi di tali elezioni;
2) la legge della Regione Siciliana 1° aprile 2016, n. 5 (Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2015, n. 15 «Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane»), ai sensi della quale le elezioni in esame si sarebbero dovute svolgere «in una domenica compresa tra il 30 giugno ed il 15 settembre 2016», insieme alle elezioni dei neoistituiti Consigli metropolitani;
3) la legge della Regione Siciliana 10 agosto 2016, n. 15 (Modifiche alla legge regionale 4 agosto 2015, n. 15 in materia di elezione dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani e di proroga della gestione commissariale), che rinviava le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani a una domenica compresa tra il 1° ottobre e il 30 novembre 2016;
4) la legge della Regione Siciliana 27 ottobre 2016, n. 23 (Norme transitorie in materia di elezione degli organi degli enti di area vasta), ai sensi della quale le elezioni in esame si sarebbero dovute tenere in una domenica compresa tra il 1° dicembre 2016 e il 26 febbraio 2017;
5) la legge della Regione Siciliana 26 gennaio 2017, n. 2 (Norme transitorie in materia di elezioni degli organi dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane), la quale «[a]l fine di evitare sovrapposizioni con le elezioni amministrative e regionali e consentire al Parlamento di modificare la legge di riassetto delle ex province regionali e delle Città metropolitane, in seguito all’esito referendario del 4 dicembre 2016», rinviava le elezioni a una domenica compresa tra il 1° e il 31 dicembre 2017;
6) la legge della Regione Siciliana 11 agosto 2017, n. 17 (Disposizioni in materia di elezione diretta del Presidente del libero Consorzio comunale e del Consiglio del libero Consorzio comunale nonché del Sindaco metropolitano e del Consiglio metropolitano), che, nell’introdurre l’elezione diretta dei presidenti e dei Consigli dei liberi Consorzi comunali, nonché dei Sindaci metropolitani e dei Consigli metropolitani, stabiliva che le elezioni che qui interessano dovessero svolgersi, in sede di prima applicazione «alla prima tornata elettorale utile per le elezioni amministrative del 2018»;
7) la legge della Regione Siciliana 18 aprile 2018, n. 7 (Norme transitorie in materia di elezione degli organi dei liberi consorzi comunali e delle città metropolitane e proroga commissariamento), che, nelle more del giudizio di questa Corte poi sfociato nella sentenza n. 168 del 2018, disponeva il rinvio delle elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi e deli organi delle città metropolitane stabilendo che tali elezioni si svolgessero «in concomitanza del turno straordinario delle elezioni amministrative disciplinato dall’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e successive modifiche ed integrazioni, da tenersi in una domenica compresa tra il 15 ottobre e il 15 dicembre 2018, previa dichiarazione di decadenza degli organi insediati in forza della previgente normativa»;
8) la legge della Regione Siciliana 29 novembre 2018, n. 23 (Norme in materia di Enti di area vasta), la quale, dando seguito alla sentenza di questa Corte n. 168 del 2018 nel frattempo intervenuta, reintroduceva, fra l’altro, l’elezione indiretta dei presidenti dei liberi Consorzi comunali, che si sarebbero dovuti eleggere «in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 30 giugno successiva alla data di indizione dei comizi del turno ordinario annuale delle elezioni amministrative», e dei Consigli metropolitani, da eleggersi, in sede di prima applicazione della legge «in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 30 giugno 2019»;
9) la legge della Regione Siciliana 7 giugno 2019, n. 8 (Norme per lo sviluppo del turismo nautico. Disciplina dei marina resort. Norme in materia di elezioni degli organi degli enti di area vasta), con cui le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali già indette per il 30 giugno 2019 venivano annullate e rinviate, insieme a quelle dei Consigli metropolitani, a una domenica compresa tra il 1° aprile e il 30 aprile 2020;
10) la legge della Regione Siciliana 3 marzo 2020, n. 6 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta. Disposizioni varie), che rinviava le elezioni in esame a una domenica compresa tra il 15 settembre e il 15 ottobre 2020;
11) la legge della Regione Siciliana 21 maggio 2020, n. 11 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti locali e degli enti di area vasta per l’anno 2020), la quale, «[a]llo scopo di contenere i rischi sanitari derivanti dalla diffusione della pandemia Covid-19» posticipava a «una data compresa tra il 15 settembre ed il 15 novembre 2020» il turno elettorale amministrativo ordinario 2020, già fissato dalla Giunta regionale per domenica 14 giugno 2020 e contestualmente stabiliva che le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani si sarebbero dovute svolgere «entro sessanta giorni dalla proclamazione degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale per l’anno 2020»;
12) la legge della Regione Siciliana 29 dicembre 2020, n. 34 (Disposizioni urgenti per il rinnovo degli organi elettivi dei comuni e degli enti di area vasta), la quale, sempre «[a]l fine di contenere i rischi sanitari connessi all’emergenza epidemiologica da Covid-19», rinviava le elezioni per il rinnovo ordinario degli organi dei comuni già previste per il mese di novembre 2020 a una data compresa tra il 1° marzo 2021 ed il 31 marzo 2021, e conseguentemente rinviava le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani a una domenica compresa tra il 15 marzo 2021 ed il 31 marzo 2021;
13) la legge della Regione Siciliana 17 febbraio 2021, n. 5 (Norme in materia di enti locali), che rinviava ulteriormente le elezioni in esame disponendo che le stesse si dovessero svolgere «entro trenta giorni dall’insediamento degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale ordinario per l’anno 2021»;
14) la legge della Regione Siciliana 15 giugno 2021, n. 13 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti locali e degli enti di area vasta per l’anno 2021. Disposizioni varie), la quale, «[a]llo scopo di contenere i rischi sanitari derivanti dal perdurare dell’emergenza epidemiologica da Covid-19», rinviava il turno elettorale amministrativo ordinario 2021 a una data compresa tra il 15 settembre ed il 15 ottobre 2021, e, conseguentemente, rinviava anche le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, da svolgersi «entro sessanta giorni dalla data dell’ultima proclamazione degli eletti nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale da svolgersi nell’anno 2021»;
15) la legge della Regione Siciliana 18 dicembre 2021, n. 31 (Rinvio delle elezioni degli organi degli enti di area vasta), che, «[n]elle more della riorganizzazione delle ex province regionali in ordine alle funzioni e agli organi elettivi», disponeva un ulteriore rinvio delle elezioni in esame, da svolgersi entro sessanta giorni dalla data dell’ultima proclamazione degli eletti, nei comuni interessati dal rinnovo degli organi nel turno elettorale ordinario da svolgersi nell’anno 2022.
Salvo l’ultima, ciascuna delle leggi regionali menzionate, unitamente al rinvio delle elezioni, disponeva altresì proroghe successive del termine ultimo entro cui doveva cessare il commissariamento regionale degli organi degli enti di area vasta. La legge reg. Siciliana n. 31 del 2021, pur mantenendo ferma – e ulteriormente prorogando – la gestione commissariale delle funzioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali, ha invece stabilito che le funzioni del Consiglio metropolitano siano svolte dalla Conferenza metropolitana, che assume temporaneamente il ruolo di organo di indirizzo politico e di controllo dell’ente di area vasta.
3.5.– È dunque evidente che la legge regionale ora sottoposta al sindacato di questa Corte altro non rappresenta che l’ultimo anello di una catena di rinvii, che ha fatto sì che le elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali – che la legge reg. Siciliana n. 15 del 2015 aveva originariamente previsto dovessero svolgersi fra il 1° ottobre e il 30 novembre 2015 –, nonché quelle dei Consigli metropolitani – che avrebbero dovuto svolgersi tra il 30 giugno e il 15 settembre 2016 ai sensi della legge reg. Siciliana n. 5 del 2016 –, ancora non abbiano avuto luogo.
3.6.– Una tale situazione si palesa, anzitutto, in contrasto con gli artt. 5 e 114 Cost.
3.6.1.– Nell’esercizio della competenza legislativa di cui all’art. 14, primo comma, lettera o), dello statuto speciale, il legislatore siciliano è tenuto a istituire i liberi Consorzi comunali (che, ai sensi dell’art. 15 del medesimo statuto prendono il posto delle soppresse circoscrizioni provinciali e devono essere «dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria») e le città metropolitane; ed è altresì tenuto a farlo nel rispetto della loro natura di enti autonomi garantita dagli artt. 5 e 114 Cost., nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali dettate dal legislatore statale (sentenza n. 168 del 2018, punto 4.3. del Considerato in diritto).
Questa Corte ha infatti già avuto occasione di ricordare che «il novellato art. 114 Cost., nel richiamare al proprio interno, per la prima volta, l’ente territoriale Città metropolitana, ha imposto alla Repubblica il dovere della sua concreta istituzione» e ha altresì affermato la «natura costituzionalmente necessaria degli enti previsti dall’art. 114 Cost., come “costitutivi della Repubblica”, ed il carattere autonomistico ad essi impresso dall’art. 5 Cost.» (sentenza n. 50 del 2015, punti 3.4.1. e 3.4.3., rispettivamente, del Considerato in diritto; successivamente, sentenza n. 168 del 2018, punto 4.3. del Considerato in diritto).
Di tale autonomia, il carattere rappresentativo ed elettivo degli organi di governo – che non viene meno nel caso di elezioni di secondo grado (sentenza n. 50 del 2015, punto 3.4.3. del Considerato in diritto) – rappresenta un «tratto essenziale e caratterizzante» (sentenza n. 286 del 1997, punto 8 del Considerato in diritto).
3.6.2.– Attraverso la menzionata serie di rinvii e proroghe, la Regione è venuta meno a tale dovere, con riferimento tanto ai liberi Consorzi comunali, quanto alle città metropolitane.
Quanto ai primi, il continuo rinvio delle elezioni dei loro presidenti, e conseguentemente anche delle elezioni dei consigli, ha determinato la mancata costituzione dei due organi elettivi dei liberi Consorzi, le cui funzioni sono svolte ormai da numerosi anni da un commissario nominato dalla Regione.
Quanto alle seconde, il continuo rinvio dell’elezione dei Consigli metropolitani ha fatto sì che nessuno dei tre organi di governo delle città metropolitane abbia al momento carattere elettivo. Non il sindaco metropolitano, individuato ope legis nel sindaco del comune capoluogo: soluzione questa già censurata da questa Corte nella sentenza n. 240 del 2021, ma tuttora vigente, non essendosi ad oggi concretato l’intervento legislativo urgentemente sollecitato nella pronuncia appena richiamata, affinché il funzionamento dell’ente metropolitano si svolga in conformità ai canoni costituzionali dell’eguaglianza del voto e della responsabilità politica. Non la Conferenza metropolitana, composta dai sindaci dei comuni appartenenti alla città metropolitana. Non, appunto, i Consigli metropolitani, che ancora non sono stati costituiti a causa del protratto rinvio delle loro elezioni più volte ricordato.
In definitiva, attraverso interventi puntuali e continui nel corso di otto anni, il legislatore regionale ha di fatto impedito la costituzione degli enti di area vasta in Sicilia, in spregio a quanto prescritto dagli artt. 5 e 114 Cost.
3.7.– L’ennesimo rinvio previsto dalla disposizione impugnata si pone, altresì, in contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
A differenza di alcune almeno delle norme regionali precedentemente richiamate, che invocavano espressamente una ragione del rinvio delle elezioni, la disposizione oggetto del presente giudizio non menziona alcuna giustificazione per il rinvio di un anno delle mai celebrate elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani. Né una simile giustificazione emerge dai lavori preparatori della disposizione stessa o è stata fornita dalla Regione, che, come detto, non si è difesa relativamente a questa parte del giudizio.
L’art. 13, comma 43, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, pertanto, in assenza di qualsivoglia ragione, consolida, prolunga e aggrava la situazione di sostanziale disconoscimento degli obblighi contenuti negli artt. 5 e 114 Cost. che caratterizza l’assetto delle autonomie locali in Sicilia ormai da numerosi anni.
3.8.– Deve essere quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 5 e 114 Cost., l’art. 13, comma 43, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, che ha prolungato di un anno una situazione in contrasto con la Costituzione.
A tale situazione deve essere posto rimedio senza ulteriori ritardi, attraverso il tempestivo svolgimento delle elezioni dei presidenti dei liberi Consorzi comunali e dei Consigli metropolitani, affinché anche in Sicilia gli enti intermedi siano istituiti e dotati dell’autonomia loro costituzionalmente garantita, e si ponga fine alla più volte prorogata gestione commissariale.
Restano assorbite le ulteriori censure proposte nei confronti della medesima disposizione.
4.– È poi impugnato l’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, che dispone: «[t]rovano applicazione nella Regione fino al 31 dicembre 2022, in attuazione del comma 1 dell’articolo 10 del decreto legge 24 marzo 2022, n. 24 convertito con modificazioni dalla legge 19 maggio 2022, n. 52, le disposizioni di cui all’articolo 38 bis del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120 e successive modificazioni».
L’art. 38-bis del d.l. n. 76 del 2020, come convertito, allo scopo di far fronte alle ricadute economiche negative per il settore dell’industria culturale conseguenti alle misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, prevedeva nella sua formulazione originaria che, fino al 31 dicembre 2021, «per la realizzazione di spettacoli dal vivo che comprendono attività culturali quali il teatro, la musica, la danza e il musical, che si svolgono in un orario compreso tra le ore 8 e le ore 23, destinati ad un massimo di 1.000 partecipanti, ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, richiesto per l’organizzazione di spettacoli dal vivo, il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale, [fosse] sostituito dalla segnalazione certificata di inizio attività di cui all’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, presentata dall'interessato allo sportello unico per le attività produttive o ufficio analogo».
L’art. 10, comma 1, del decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza), convertito, con modificazioni, nella legge 19 maggio 2022, n. 52, ha quindi esteso l’efficacia di tale disposizione al 31 dicembre 2022.
Infine, successivamente all’entrata in vigore della legge regionale impugnata, l’art. 7-sexies del decreto-legge 29 dicembre 2022, n. 198 (Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella legge 24 febbraio 2023, n. 14, ha ulteriormente prorogato l’efficacia della disposizione in esame al 31 dicembre 2023, modificandone inoltre l’ambito applicativo, che ricomprende ora anche le «proiezioni cinematografiche» e, in generale, gli spettacoli che si svolgono «in un orario compreso tra le ore 8.00 e le ore 1.00 del giorno seguente».
4.1.– Secondo il ricorrente, la semplificazione procedimentale operata dalle disposizioni statali richiamate presupporrebbe logicamente che le funzioni di polizia amministrativa originariamente attribuite dagli artt. 68 e 69 TULPS al questore e all’autorità locale di pubblica sicurezza siano già state trasferite ai comuni. Poiché in Sicilia tale trasferimento non è mai avvenuto a causa della mancata adozione delle norme di attuazione statutaria indispensabili a tale scopo, la disposizione in esame si porrebbe «in contrasto con le previsioni statutarie (articolo 43 dello Statuto regionale) e costituzionali (articolo 116 Cost., e Legge cost. n. 2/1948)» e sarebbe altresì lesiva delle competenze statali in materia di ordine e sicurezza pubblica di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
4.2.– Le censure sono fondate in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e all’art. 43 dello statuto speciale.
4.3.– Con riferimento alle regioni a statuto ordinario, le funzioni di polizia amministrativa previste dagli artt. 68 e 69 TULPS sono state trasferite ai comuni dall’art. 19, primo comma, numeri 5) e 6), del d.P.R. n. 616 del 1977, che recita: «[s]ono attribuite ai comuni le seguenti funzioni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni: […] 5) la concessione della licenza per rappresentazioni teatrali o cinematografiche, accademie, feste da ballo, corse di cavalli, altri simili spettacoli o trattenimenti, per aperture di esercizio di circoli, scuole di ballo e sale pubbliche di audizione, di cui all’art. 68; 6) la licenza per pubblici trattenimenti, esposizioni di rarità, persone, animali, gabinetti ottici ed altri oggetti di curiosità o per dare audizioni all’aperto di cui all’art. 69».
Con riguardo alle regioni a statuto speciale invece – in ossequio al risalente e costante orientamento di questa Corte, secondo cui la «sostituzione di uffici dello Stato, nella loro organizzazione obiettiva, concernente le funzioni, e subiettiva, concernente il personale, non [è] ammissibile se non in seguito a speciali norme di attuazione» (così la sentenza n. 12 del 1959, che richiama le sentenze n. 6, n. 9, n. 11 e n. 19 del 1957, nonché le sentenze n. 1 e n. 45 del 1958) – il medesimo trasferimento di funzioni statali ai comuni ha richiesto l’adozione delle norme di attuazione statutaria previste dai rispettivi statuti speciali.
Più in generale, come sottolineato da questa Corte nella sentenza n. 180 del 1980, alla necessità che il trasferimento delle funzioni statali avvenga, per le regioni ad autonomia differenziata, nel rispetto delle procedure prescritte da ogni singolo statuto, risultano informati nel loro complesso sia «il primo passaggio di funzioni, uffici e personale dallo Stato alle Regioni di diritto comune, disposto dagli undici decreti presidenziali del 14-15 gennaio 1972; tanto è vero che si sono resi […] indispensabili per conseguire i medesimi effetti in Sicilia, in Sardegna, nel Trentino-Alto Adige e nel Friuli-Venezia Giulia specifici atti statali con forza di legge, adottati nelle forme previste per le discipline di attuazione dei relativi Statuti speciali»; sia il secondo trasferimento di funzioni, attuato con d.P.R. n. 616 del 1977, «il quale stabilisce anzi espressamente nell’art. 119 che le funzioni amministrative degli enti pubblici estinti, già trasferiti alle Regioni ordinarie in virtù del contestuale art. 113, continuino “ad essere esercitate nelle regioni a statuto speciale mediante uffici stralcio, fino a quando non sarà diversamente disposto con le norme di attuazione degli statuti speciali o di altre leggi dello Stato”» (punto 3 del Considerato in diritto).
Allo stesso criterio si è del resto attenuto, in maniera ancor più esplicita, anche il terzo trasferimento di funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e agli enti locali. L’art. 10 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della l. 15 marzo 1997, n. 59) dispone infatti espressamente che «[c]on le modalità previste dai rispettivi statuti si provvede a trasferire alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, in quanto non siano già attribuite, le funzioni e i compiti conferiti dal presente decreto legislativo alle regioni a statuto ordinario».
Conformemente a tale criterio, questa Corte non ha mancato, anche con specifico riferimento alla Regione Siciliana, di dichiarare l’illegittimità costituzionale di leggi statali che avevano inteso operare un trasferimento di funzioni alle regioni ad autonomia speciale «tramite un procedimento normativo non conforme a quello che, allo scopo, è previsto dagli artt. 56 dello statuto della Regione Sardegna e 43 dello statuto della Regione Sicilia, vale a dire il procedimento previsto per l’adozione delle norme di attuazione degli statuti speciali medesimi, tra le quali rientrano, per conforme giurisprudenza di questa Corte, quelle che determinano il passaggio delle funzioni dallo Stato alle regioni speciali» (sentenza n. 377 del 2000, punto 3.1. del Considerato in diritto). Parallelamente, questa Corte ha constatato che, in mancanza dell’adozione delle norme di attuazione di cui all’art. 43 dello statuto reg. Siciliana, il trasferimento di determinate funzioni disposto direttamente dal legislatore statale per le regioni ordinarie, non si era verificato invece nella Regione Siciliana (sentenza n. 128 del 2017, relativa al mancato trasferimento alla stessa Regione autonoma delle funzioni in materia di indennizzi di cui alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, recante «Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati»).
4.4.– Con specifico riferimento alle funzioni di polizia amministrativa di cui agli artt. 68 e 69 TULPS, le norme di attuazione di cui all’art. 43 dello statuto reg. Siciliana non sono mai state adottate, a differenza di quanto avvenuto nelle altre regioni a statuto speciale (si veda, ad esempio, l’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica, 19 giugno 1979, n. 348, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382 e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616», che opera il medesimo trasferimento con riguardo alla Regione autonoma Sardegna).
Successivamente all’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), il Consiglio di Stato, richiesto di un parere sulla possibilità, nel nuovo quadro costituzionale, di attuare il trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla Regione Siciliana con modalità diverse da quelle di cui all’art. 43 dello statuto speciale, ha concluso che «allo stato, ai fini del trasferimento delle funzioni di polizia amministrativa alla regione Sicilia e alle Province e ai Comuni della stessa Regione non [sono] possibili procedure diverse da quella prevista dall’art. 43 dello Statuto della Regione», escludendo inoltre espressamente che nel caso in esame si rientri «in una delle ipotesi in cui la Corte costituzionale ha ritenuto che le Regioni a statuto speciale possano esercitare funzioni amministrative nelle materie previste dagli statuti senza la preventiva emanazione delle relative norme di attuazione» (Consiglio di Stato, sezione prima, parere del 26 giugno 2002, n. 1510).
In sintesi, risulta da quanto sinora richiamato che in Sicilia le funzioni di polizia amministrativa di cui agli artt. 68 e 69 TULPS non sono state trasferite ai comuni; né potrebbero esserlo se non attraverso l’adozione di apposite norme di attuazione statutaria ai sensi dell’art. 43 dello statuto speciale.
4.5.– Il mancato trasferimento ai comuni delle funzioni in esame ha fatto sì che, in Sicilia, queste non venissero incise dalle disposizioni di semplificazione adottate a partire dall’entrata in vigore dell’art. 7, comma 8-bis, del d.l. n. 91 del 2013, come convertito, che ha disposto che le licenze e autorizzazioni previste dagli artt. 68 e 69 TULPS siano sostituite da SCIA ex art. 19 della legge n. 241 del 1990, «[p]er eventi fino ad un massimo di 200 partecipanti e che si svolgono entro le ore 24 del giorno di inizio», disposizioni tra le quali si iscrive lo stesso art. 38-bis del d.l. n. 76 del 2020, come convertito. Operanti nel resto del territorio nazionale, tali semplificazioni non hanno trovato applicazione in Sicilia, poiché, come rileva correttamente l’Avvocatura generale dello Stato, è la stessa legge n. 241 del 1990 a escludere dall’ambito di applicazione della SCIA gli «atti rilasciati dalle amministrazioni preposte […] alla pubblica sicurezza […]», quali sono, in Sicilia, le autorizzazioni di cui agli artt. 68 e 69 TULPS.
4.6.– Con la disposizione ora sottoposta al giudizio di questa Corte, il legislatore siciliano ha dunque inteso recepire nel territorio regionale, con proprio intervento unilaterale, le semplificazioni già operanti nel resto d’Italia, con riferimento però a funzioni tuttora di competenza dell’autorità di pubblica sicurezza statale.
In tal modo, il legislatore regionale da un lato ha interferito con la disciplina dettata dagli artt. 68 e 69 TULPS e fatta salva dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, che è espressione della competenza esclusiva statale nella materia «ordine pubblico e sicurezza», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Dall’altro, ha disatteso l’art. 43 dello statuto speciale, ai sensi del quale il trasferimento delle funzioni in esame ai comuni, che è prius logico rispetto alla loro semplificazione, richiede l’adozione di norme di attuazione statutaria che non possono essere sostituite da un intervento unilaterale del legislatore regionale.
Deve quindi essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. e dell’art. 43 dello statuto speciale, restando assorbiti gli ulteriori profili di censura.
5.– È infine impugnato l’art. 13, comma 108, ai sensi del quale «[n]elle more della formazione ed approvazione dei PUG, i titoli abilitativi regolarmente rilasciati in deroga agli strumenti urbanistici in forza dell’articolo 10 della legge n. 104/1992 e successive modificazioni e/o di altre disposizioni determinano la modifica permanente della programmazione urbanistica purché gli immobili siano stati già realizzati ed i titoli rilasciati almeno 18 mesi prima della data di entrata in vigore della legge regionale 3 febbraio 2021, n. 2. In sede di formazione ed approvazione del nuovo PUG si deve tenere conto della destinazione urbanistica impressa all'area dal titolo edilizio di cui al presente comma. È altresì consentito per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge, entro i limiti e con le modalità di cui all’articolo 47 della legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 e successive modificazioni, il cambio di destinazione urbanistica per usi non residenziali e/o commerciali su richiesta degli aventi titolo».
5.1.– Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe:
– i principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione, di cui al «combinato disposto degli articoli 3, 9 e 97 della Costituzione», poiché sacrificherebbe l’interesse all’ordinato assetto del territorio non già per il perseguimento dell’«interesse costituzionale primario alla tutela della salute e delle necessità esistenziali delle persone con disabilità, bensì per la mera soddisfazione di interessi privati, neppure evincibili dal dettato normativo»;
– l’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, in relazione alle «previsioni relative alla “zonizzazione” dei territori comunali, con l’individuazione della relativa disciplina d’uso e dei relativi limiti di edificazione» di cui all’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, le quali rappresenterebbero norme di grande riforma economico-sociale;
– l’art. 14, primo comma, lettera n), dello statuto reg. Siciliana, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 135, 143, 145 e 146 cod. beni culturali, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 3, 5, lettera d), e 6, lettere d) ed e), della Convenzione europea del paesaggio, poiché, non facendo salva l’applicazione della disciplina in materia paesaggistica, produrrebbe un abbassamento della tutela del paesaggio.
5.2.– Le questioni promosse in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. sono fondate.
5.3.– Come da tempo questa Corte ha rilevato, la legge n. 104 del 1992 è diretta ad assicurare la tutela della persona con disabilità in settori diversi, che spaziano «dalla ricerca scientifica ad interventi di tipo sanitario ed assistenziale, di inserimento nel campo della formazione professionale e nell’ambiente di lavoro, di integrazione scolastica, di eliminazione di barriere architettoniche e in genere di ostacolo all’esercizio di varie attività e di molteplici diritti costituzionalmente protetti» (sentenza n. 406 del 1992, punto 2 del Considerato in diritto).
In questo contesto, l’art. 10 prevede che i comuni possano realizzare comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone disabili in situazione di gravità (comma 1), oppure contribuire mediante appositi finanziamenti alla realizzazione e al sostegno delle stesse strutture, promosse da enti, associazioni, fondazioni, istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, società cooperative e organizzazioni di volontariato iscritte negli albi regionali (comma 3). Il successivo comma 6 prevede che costituisce variante del piano regolatore l’approvazione di progetti edilizi concernenti immobili da destinare a tali comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi, con vincolo di destinazione almeno ventennale all’uso effettivo dell’immobile per gli scopi dichiarati, laddove tali immobili siano localizzati in aree vincolate o a diversa specifica destinazione. In altre parole, come evidenziato dalla giurisprudenza amministrativa, l’approvazione del progetto da parte del Consiglio comunale ha, eccezionalmente, il valore e gli effetti propri della variante agli strumenti urbanistici (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 29 aprile 2011, n. 2548).
Il menzionato comma 6, tuttavia, circonda di alcune opportune cautele tale deroga alle ordinarie regole della pianificazione urbanistica. Oltre a fare salva l’applicazione della disciplina a tutela del paesaggio, esso prevede che «[i]l venir meno dell’uso effettivo per gli scopi di cui alla presente legge prima del ventesimo anno comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell’area». Con ciò il legislatore statale intende all’evidenza escludere che della deroga possano beneficiare immobili poi non effettivamente destinati al soddisfacimento delle esigenze preminenti delle persone disabili per un arco temporale sufficientemente esteso, in modo da prevenire la possibilità di un utilizzo abusivo di tale deroga.
Nel giudicare della legittimità costituzionale di tale disposizione, la sentenza n. 406 del 1992 di questa Corte ne ha escluso il contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., valorizzando proprio le specifiche cautele previste dalla disposizione in esame. Si è infatti osservato che «la rimessione, nel caso di specie, di poteri decisionali definitivi alle autorità comunali e la mancata previsione dell’approvazione delle varianti da parte delle Regioni ha il suo fondamento giustificativo nella necessità di snellire ed accelerare al massimo la realizzazione, da parte di enti pubblici o sotto il controllo di questi, di opere destinate a fronteggiare preminenti e pressanti esigenze di soggetti portatori di handicaps in situazione di gravità; d’altra parte la previsione di simili varianti automatiche non è sprovvista di contestuali cautele e vincoli intesi ad assicurare una equilibrata soddisfazione dei diversi interessi afferenti al governo del territorio» (punto 3 del Considerato in diritto).
5.4.– La disposizione impugnata interviene a modificare gli effetti dei titoli abilitativi rilasciati ai sensi dell’art. 10, comma 6, della legge n. 104 del 1992.
Mentre infatti ai sensi della legge n. 104 del 1992 il venir meno dell’uso effettivo dell’immobile come comunità-alloggio o centro socio-riabilitativo prima del ventesimo anno «comporta il ripristino della originaria destinazione urbanistica dell’area», la disposizione impugnata prevede che, sussistendo due condizioni – che gli immobili siano già stati realizzati, e che i titoli abilitativi siano stati rilasciati almeno diciotto mesi prima della data di entrata in vigore della legge della Regione Siciliana 3 febbraio 2021, n. 2 (Intervento correttivo alla legge regionale 13 agosto 2020, n. 19 recante norme sul governo del territorio) –, la modifica della destinazione urbanistica abbia carattere permanente; e ciò anche qualora l’immobile non sia stato effettivamente destinato a comunità-alloggio e centri socio-riabilitativi per persone disabili.
Inoltre, tale permanente modifica si impone al nuovo piano urbanistico generale, che deve «tenere conto della destinazione urbanistica impressa all’area dal titolo edilizio». Ancora, nei sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge regionale impugnata, gli «aventi titolo» possono chiedere il cambio di destinazione urbanistica dell’immobile, purché esso venga destinato a usi diversi da quelli residenziali e commerciali (ad esempio, turistico/ricettivo o industriale).
In sintesi, la disposizione impugnata fa sì che l’effetto di variante del piano urbanistico che la legge statale eccezionalmente prevede, ma a condizione che l’immobile venga effettivamente utilizzato come comunità-alloggio o centro socio-riabilitativo per persone disabili per almeno vent’anni, si verifichi anche qualora l’immobile non venga utilizzato a tal scopo per tale tempo minimo.
Vengono così a cadere proprio quelle cautele e quei vincoli che, nella sentenza n. 406 del 1992, avevano consentito a questa Corte di escludere la violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Se infatti l’art. 10, comma 6, della legge n. 104 del 1992 ha definito un bilanciamento non irragionevole fra l’ordinato sviluppo urbano e i diritti delle persone disabili, la legge della Regione Siciliana in esame ha significativamente alterato tale punto di equilibrio, consentendo il sacrificio dei vari interessi afferenti all’ordinato governo del territorio, senza che ciò sia giustificato dal reale perseguimento delle finalità di integrazione e socializzazione delle persone disabili, che rischiano così di non essere realmente perseguite, ma soltanto strumentalmente invocate per il perseguimento di altri, diversi, interessi.
Di qui l’irragionevolezza della disposizione in esame e, assieme, la sua incidenza negativa sul buon andamento della pubblica amministrazione, con conseguente violazione degli artt. 3 e 97 Cost.
5.5.– È altresì fondata la questione promossa in riferimento all’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, in relazione all’art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942.
Consentendo deroghe alla disciplina urbanistica comunale non giustificate dalla necessità di tutela degli interessi delle persone disabili, la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio della programmazione urbanistica che trova il proprio fondamento generale nei commi ottavo e nono dell’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, anche di recente qualificati dalla giurisprudenza di questa Corte come principi fondamentali della materia «governo del territorio» (sentenza n. n. 240 del 2022, punto 3.5.1. del Considerato in diritto), che si impongono anche alla competenza legislativa primaria in materia di urbanistica che l’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto speciale attribuisce alla Regione Siciliana, quali norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 90 del 2023, punto 9.3.3. del Considerato in diritto).
5.6.– Deve quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 13, comma 108, per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., nonché dell’art. 14, primo comma, lettera f), dello statuto reg. Siciliana, quest’ultimo in relazione all’art. 41-quinquies, ottavo e nono comma, della legge n. 1150 del 1942.
Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 43, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 71, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022;
3) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 108, della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022.