
Nel caso in esame, le espressioni incriminate sono state utilizzate dal legale nella diffida rivolta al datore di lavoro con l'obiettivo di individuare la giusta causa delle dimissioni del suo assistito. Le condotte datoriali sono state poi oggetto di denuncia da parte del dipendente.
Il Tribunale di Novara confermava la condanna di un avvocato
Svolgimento del processo
1. È oggetto di ricorso la sentenza con cui il Tribunale di Novara, confermando la decisione del Giudice di pace, ha ritenuto G.T. responsabile del reato di cui all'artt. 110 e 595 cod. pen., condannandolo alla pena di euro 200,00 di multa, oltre che al risarcimento del danno a favore della parte civile, G.D., per avere offeso la reputazione di quest'ultimo, comunicando con più persone tramite una missiva, inviata via fax in data 10 marzo 2017, nella quale G.D. era descritto come "un soggetto pericoloso, senza scrupoli, che si fa lecito inventare contestazioni disciplinari pretestuose rendendo il posto di lavoro terreno minato".
2. Nell'interesse dell'imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 51, 59, 595 e 598 cod. pen. Si rileva, al riguardo, che il capo d'imputazione reca soltanto uno stralcio della più ampia missiva inviata dall'odierno ricorrente alla persona offesa, G.D., il quale, all'epoca dei fatti, era il datore di lavoro di tal B.. Quest'ultimo era assistito dall'Avv. T., nel contesto di azioni civili e penali scaturite dal rapporto di lavoro dipendente. A parere della difesa, l'incriminata espressione avrebbe dovuto essere inquadrata nel contesto più generale della missiva, in cui si faceva riferimento a comportamenti illegittimi della persona offesa che, in qualità di datore di lavoro, aveva rivolto al proprio dipendente, B., un pretestuoso addebito disciplinare, del tutto infondato, e aveva altresì manifestato l'intenzione di sporgere denuncia nei confronti del B. per un ammanco di cassa, ove quest'ultimo non si fosse volontariamente dimesso. Ebbene, con l'espressione ritenuta diffamatoria, si sarebbe voluto censurare la condotta -gravemente lesiva dei diritti del dipendente- della persona offesa, nella sua qualità di datore di lavoro. Non a caso, tali condotte datoriali erano state denunciate all'autorità giudiziaria (il giorno 7 marzo 2017). Soltanto la lettura dell'intero contenuto della lettera, e non il singolo brano estrapolato nel capo d'imputazione, avrebbe consentito di far luce sullo scopo della stessa, nella quale si dava atto del fatto che il dipendente intendeva rassegnare le dimissioni per giusta causa alla luce della "minaccia estorsiva di licenziamento e della calunniosa denuncia di furto".
I Giudici di merito non avrebbero approfondito la dimensione soggettiva del reato: nel ritenere "eccessiva" la condotta posta in essere dall'imputato rispetto allo scopo astrattamente lecito da raggiungere, essi avrebbero illegittimamente escluso sia la scriminante dell'esercizio del diritto di cui all'art. 51, primo comma, cod. pen., sia quella putativa di cui all'art. 59, non considerando adeguatamente il peso, nel caso di specie, del convincimento dell'agente di agire per tutelare i diritti di lavoratore del proprio assistito.
2.2 Col secondo motivo, si eccepisce violazione di legge processuale, con riferimento all'art. 533 del codice di rito. Il Tribunale avrebbe eluso il confronto con l'alternativa ricostruzione difensiva basata, come si è visto, sulle scriminanti, invocate quantomeno sul piano putativo. La mancata motivazione circa la rilevanza putativa delle scriminanti si sarebbe tradotta nella violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, stante la plausibilità dell'alternativa ipotesi difensiva.
3. All'udienza del 7 febbraio 2023 si è svolta la trattazione orale. Il Sostituto Procuratore generale, Dott. P.S., ha chiesto pronunciarsi l'inammissibilità del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo, assorbente motivo, è fondato.
In tema di diffamazione, la causa di non punibilità prevista dall'art. 598 cod. pen. e la scriminante di cui all'art. 51 cod. pen. operano su piani diversi, la prima non escludendo l'antigiuridicità del fatto ma solo l'applicazione della pena e ricomprendendo anche condotte di offesa non necessarie, purché inserite nel contesto difensivo; la seconda ricollegandosi, invece, all'esercizio del diritto di difesa e richiedendo il requisito della necessarietà ed il rispetto dei limiti di proporzionalità e strumentalità (Sez. 5, Sentenza n. 14542 del 07/03/2017, Palmieri, Rv. 269734 - 01).
Nel caso di specie, in effetti, anche nel contesto conflittuale indicato dal ricorrente, il requisito della necessarietà, ma soprattutto il rispetto del limite di strumentalità, non appaiono sussistere. E tuttavia, non residuano margini di dubbio sull'inserimento delle frasi nel contesto difensivo scaturito dalle controversie in corso tra il cliente dell'odierno imputato e il suo datore di lavoro, ossia la persona offesa. In particolare, l'obiettivo reso palese dalla lettura del testo era quello di individuare la giusta causa delle dimissioni rassegnate dal lavoratore a fronte di una condotta datoriale lesiva dei diritti del dipendente, in quanto caratterizzata dall'attribuzione di contestazioni disciplinari pretestuose.
Occupandosi dell'ambito oggettivo dell'applicazione dell'art. 598 cod. pen., questa Corte ha rilevato che, in tema di diffamazione, può configurarsi l'esimente di cui all'art. 598, primo comma, cod. pen. anche quando le espressioni offensive siano contenute in una diffida stragiudiziale, prodromica a successive iniziative legali (Sez. 5, n. 24452 del 09/04/2019, Gasparro, Rv. 276512 - 01).
Tale è appunto il caso, alla luce della stretta correlazione temporale tra la missiva della quale si tratta, recante la data del 10 marzo 2017 e la denuncia del 17 marzo 2017.
La ricorrenza della causa di non punibilità di cui all'art. 598 cod. pen. comporta l'annullamento senza rinvio d,ella sentenza impegnata, con la precisazione che l'annullamento travolge anche le statuizioni civili.
Infatti, come ricordato dalla citata Sez. 5, n. 24452 del 09/04/2019, Gasparro, a norma dell'art. 538, primo comma, cod. proc. pen., la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile può discendere solo da una pronunzia di condanna sul versante penale. D'altra parte, la previsione di cui all'art. 598 secondo comma, cod. pen. (secondo cui il giudice, pronunciando nella causa, può, tra l'altro, assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno), si riferisce non già al giudicante penale che prosciolga l'imputato ex art. 598, primo comma, cod. pen., ma ai poteri del giudice della causa nella quale sono state scritte o pronunciate le frasi offensive o, nella prospettiva qui accolta, della causa cui comunque siffatte espressioni si correlino.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il fatto non punibile ai sensi dell'art. 598 cod. pen.