
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
1. La vicenda qui al vaglio può riassumersi in breve nei termini seguenti:
- P.M. convenne in giudizio A.T., proponendo azione di regresso, ex art. 1299 cod. civ., per la ripetizione della metà della somma corrisposta dall’attore per l’acquisto, in data 20/7/2004, di un immobile; espose il P.M. di essersi fatto carico del pagamento dell’intero prezzo dell’immobile, ammontante a € 255.000,00, costituente casa coniugale (egli era all’epoca sposato con la convenuta in regime di separazione dei beni), del quale risultavano acquirenti entrambi i coniugi;
- il Tribunale adito rigettò la domanda, sulla base della motivazione seguente, riportata dalla sentenza d’appello:
<<l’acquisto della casa familiare costituisce manifestazione di un bisogno primario della famiglia in relazione al quale trova applicazione l’ultimo comma dell’art. 143 c.c. tale disposizione prevede, in proposito, che i coniugi sono tenuti a contribuire al soddisfacimento di tali bisogni, ciascuno in proporzione al proprio patrimonio e alla propria capacità lavorativa. Corollario di detto enunciato è rappresentato dalla circostanza che la natura solidale delle obbligazioni assunte dai coniugi è tale solo nei confronti dei terzi, mentre nei rapporti interni vige il criterio della proporzionalità (…) L’inderogabile obbligo contributivo, sancito dall’art. 143 c.c., in relazione all’acquisto del cespite per cui è processo, si è estinto con il pagamento del prezzo, a cui ciascuno dei coniugi ha partecipato in proporzione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo>>;
- la Corte d’appello di Napoli, accolta in parte l’impugnazione del P.M., condannò la A.T. a restituire la somma di € 37.750,00.
La sentenza d’appello accolse la domanda subordinata dell’attore, il quale aveva chiesto che la convenuta fosse condannata a restituire l’importo di € 37.750,00, corrispondente al 50% della somma di € 75.500,00 risultante dalla differenza tra quanto versato (€ 255.500,00) e il mutuo bancario di € 180.000,00. Spiega la pronuncia che l’immobile, destinato a casa familiare, era stato congiuntamente acquistato dai coniugi, i quali erano in regime di separazione dei beni, con denaro prelevato dal conto corrente bancario intestato al marito, il quale si era anche fatto carico del mutuo. In sede di separazione era stato pattuito che le rimanenti rate del mutuo gravassero esclusivamente sul P.M.. In definitiva, quest’ultimo aveva dimostrato di avere pagato per intero il prezzo dell’immobile. La dedotta contribuzione della A.T. al patrimonio familiare appariva generica, non avendo l’appellata indicato analiticamente come il suo contributo avesse influito positivamente sul patrimonio familiare. Era rimasto provato che la convivenza era durata dieci anni. Or poiché era stato lo stesso P.M. ad accollarsi, in sede di separazione, le rate del mutuo, poteva accogliersi solo la di lui domanda subordinata, con restituzione della somma di € 37.750,00.
2. A.T. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di un motivo. L’intimato resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
3. La ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost. e dell’art. 143, co. 3, cod. civ., anche in relazione agli artt.147, 148, 337bis e 337ter cod. civ., assumendo che la Corte d’appello non aveva tenuto conto del fatto incontestabile che la ricorrente nel corso della convivenza coniugale aveva contribuito, con il proprio lavoro domestico, al patrimonio familiare, permettendo l’attività lavorativa del coniuge e l’accudimento della prole; patrimonio che veniva accumulato nell’unico conto corrente bancario intestato al marito. Era rimasto violato il principio di pari dignità tra i coniugi, in forza del quale la moglie si era sacrificata a lavorare in casa per il bene della famiglia.
Sotto altro profilo l’affermazione della Corte locale, la quale aveva riconosciuto il lavoro domestico della ricorrente, senza trarne le dovute conseguenze violava l’art. 148 cod. civ., il quale non detta un criterio automatico, ma prevede un sistema <<completo ed elastico di valutazione>>. La proporzionalità non può, quindi, intendersi, quale criterio matematico, bensì elastico.
4. Il motivo merita di essere accolto.
4.1. La decisione, invero, finisce per violare l’art. 143 cod. civ.: dal matrimonio discende un regime di reciproco sostegno solidaristico fra i coniugi, entrambi tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia, secondo le proprie capacità, attitudini e attività lavorative, anche domestiche. Un tale contributo non è suscettibile di misura, nel senso che non è giuridicamente apprezzabile chi dei coniugi abbia contribuito in misura maggiore o minore, essendo un tal giudizio precluso in radice dal vicolo solidaristico matrimoniale.
Di recente questa Corte ha avuto modo di condivisamente spiegare che <<L'art. 143 c.c., rubricato "Diritti e doveri reciproci dei coniugi" - dopo aver disposto che «Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri (comma 1°). Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia ed alla coabitazione (comma 2°)» - al terzo comma così dispone: «Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze ed alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia». In particolare, quanto al dovere di contribuire ai bisogni della famiglia, si rileva: a) la "capacità di lavoro professionale" è parificata alla "capacità di lavoro domestico", per cui il lavoro professionale di chi produce direttamente reddito ha la stessa dignità e rilevanza del lavoro casalingo di chi, pur non producendo direttamente reddito, provvede alle faccende domestiche (prendendosi cura della casa e dei figli); b) il dovere di contribuzione è per i "bisogni della famiglia" e, dunque, va inteso (non nell'interesse esclusivo dell'altro coniuge, ma) in senso solidaristico (cioè nell'interesse collettivo della famiglia) ed ampio (ad es., costituisce adempimento del dovere di contribuzione: mettere a disposizione della famiglia una casa di cui si era già proprietari prima delle nozze affinché vi si possa vivere senza doverne acquistare un'altra; effettuare le spese di ristrutturazione sulla casa di proprietà dell'altro coniuge per poterla abitare congiuntamente; partecipare alle spese per l'acquisto dell'abitazione familiare da parte del coniuge in regime di separazione dei beni; fare la spesa e cucinare tutti i giorni, pulire la casa, anche se con l'aiuto di una domestica; badare ai figli durante il pomeriggio mentre la mattina ci si dedica alla propria attività lavorativa, ecc.); c) il dovere di contribuzione opera sia per le coppie sposate in regime di separazione dei beni che per quelle sposate in regime di comunione dei beni (anche se soltanto in quest'ultimo caso il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia attribuisce a ciascun coniuge un potere sui beni di proprietà dell'altro; mentre, se la coppia è in regime di separazione dei beni, la donna che ad es. si occupi della casa non può vantare alcun diritto sugli immobili di proprietà del marito, e, in particolare, non può impedirgli di venderli); d) il dovere di contribuzione può essere diversamente regolato dai coniugi (che, ad es., possono concordare: che uno di essi svolga esclusivamente un'attività casalinga piuttosto che dedicarsi ad un lavoro esterno; o che uno di essi svolga un lavoro professionale part-time e per il tempo restante si prenda cura della casa e dei figli), ma mai soppresso: pertanto, sarebbe nullo l'accordo tra due 11 coniugi con cui si stabilisca che uno di essi non svolgerà alcuna attività lavorativa (né professionale né casalinga). I relativi accordi non devono essere necessariamente scritti ben potendo essere presi verbalmente, prima o dopo le nozze, e anche stretti per comportamenti taciti (ad esempio, se un coniuge non risulta aver mai contestato la scelta dell'altro coniuge di non lavorare per dedicarsi alla casa ed ai figli, si può fondatamente presumere che tale scelta sia stata condivisa);
e) l'obbligo contributivo è da ricondursi alla categoria degli obblighi di natura personale in quanto, se è vero che esso ha un contenuto economico, la sua funzione è quella di adempiere all'obbligo di natura personale, ossia quello della solidarietà familiare. 2.2. Orbene, non esiste norma che stabilisca la misura minima del contributo che ciascuno dei coniugi è tenuto a fornire alla famiglia; come pure non esiste norma che stabilisca come devono essere distribuiti tra i coniugi i diversi pagamenti che accompagnano lo svolgersi della vita ordinaria della maggior parte delle famiglie (spese per i viveri e per il vestiario; spese per l'auto e per la casa; imposte e tasse, ecc.). Sotto l'aspetto economico, per determinare l'entità della contribuzione, rilevano in primo luogo le "sostanze' di cui dispone ciascun coniuge (ragion per cui il coniuge, che percepisce uno stipendio più alto, assume generalmente in famiglia l'impegno monetario di maggiore consistenza), ma occorre tener conto anche degli apporti effettuati da ciascun coniuge al momento delle nozze, nonché della circostanza che, come già rilevato, l'obbligo di contribuzione può essere assolto non soltanto con l'attività lavorativa professionale o mettendo a disposizione beni personali (come la casa o l'auto), ma anche il lavoro casalingo.>> (Sez. 3, n. 5385, 21/3/2023).
Questa Corte già nel 1997, quando affermò l’incompatibilità della presunzione muciana con il “nuovo diritto di famiglia”, ebbe ad individuare i principi sopra ripresi. La massima di quella decisione, infatti, precisa che a seguito della riforma del diritto di famiglia introdotta con legge n. 151 del 1975, la cosiddetta "presunzione muciana" di cui all'art. 70 della legge fallimentare, si rende inoperante sia con riguardo alle fattispecie governate dal regime di comunione legale fra i coniugi, sia con riguardo a quelle caratterizzate, invece, dal regime della separazione dei beni. Quanto alle prime, l'ostacolo alla operatività della presunzione suddetta, è frapposto non tanto dall'irrilevanza, ai fini della comunione, dei profili di chi, fra i due coniugi, compia l'acquisto, o della provenienza del danaro, quanto piuttosto dalla “rete di principi" che, a seguito della riforma, qualifica la disciplina dei rapporti patrimoniali fra i coniugi, facendone l'espressione di precisi valori costituzionali, quali quelli della parità e della pari dignità dei coniugi. Questi stessi principi, in quanto ispirano, quand'anche in forme del tutto diverse, anche l'istituto della separazione dei beni, laddove, nelle ipotesi da questo governate, si traducono nella tutela della effettività degli acquisti che ciascun coniuge compie, vista quale espressione della sua autonomia e della sua capacità di lavoro, rendono del pari inoperante, anche in questo caso, la cosiddetta "presunzione muciana". Va aggiunto, del resto, come mal si comprenderebbe il rimedio della separazione giudiziale dei beni, previsto dall'art. 193 cod. civ. per il caso di disordine degli affari del coniuge in comunione, se il regime di separazione rappresentasse campo libero per l'operare della "presunzione muciana" (S.U. n. 5291, 12/06/1997, Rv. 505147).
4.2. Appare non concludente l’affermazione secondo la quale il P.M., pur avendosi accollato, in sede di separazione, il pagamento delle restanti rate del mutuo, pretenda la metà del prezzo, a suo tempo, pagato per contanti. Quel prezzo, infatti, era frutto del contributo di entrambi i coniugi al sostegno e benessere della famiglia, senza che si possa, per le esposte ragioni misurare chi dei coniugi abbia offerto un contributo maggiore, proprio perché una tale misurazione (peraltro di dubbia fattibilità) contrasterebbe con il regime dettato dall’art. 143 cod. civ.
4.3. Sotto altro profilo non risulta corretto affermare che la moglie non abbia provato il proprio contributo con il lavoro domestico. Trattasi, invero, di un fatto non contestato, sulla base delle stesse allegazioni delle parti (la moglie era casalinga, accudiva la casa e la prole, quindi). In altri termini il ragionamento qui censurato rinvia a una falsa applicazione dell’art. 143 cod. civ., oltre che, ovviamente, di quanto giudizialmente accertato.
4.4. Né può reputarsi, ancora, che la Corte d’appello abbia riconosciuto, sia pure in parte il contributo della donna, stante che l’accoglimento solo della subordinata è dipeso dal fatto che il P.M. aveva pattuito in sede di separazione di accollarsi le rate del mutuo, pattuizione, tuttavia, avente specifica causa giuridica in funzione soddisfattiva dell’obbligo di assistenza familiare in fase di allentamento del vincolo.
5. In definitiva, accolto il ricorso, la causa può essere decisa nel merito, non occorrendo ulteriori accertamenti (art. 384, co. 2, cod. proc. civ.), con il rigetto della domanda di P.M..
6. La complessità delle questioni giuridiche affrontate e la loro novità consiglia la compensazione integrale delle spese dei due gradi del merito e del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di P.M.; compensa integralmente fra le parti le spese dei due gradi di merito e del giudizio di legittimità.