Nel caso di specie, la parte è rimasta inerte fino al ricevimento del messaggio sull'esito di controlli automatici e non ha provato di aver assunto informazioni in cancelleria e di aver rispettato i limiti dimensionali dell'atto. Pertanto, è incorsa in una decadenza che non può essere imputata al sistema informatico.
Con l'ordinanza n. 10397 del 7 luglio 2023, la Cassazione affronta in via preliminare la questione relativa all'improcedibilità del ricorso per mancata osservanza, da parte della ricorrente, dell'onere di deposito del ricorso in cancelleria della Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 1147/15 il Tribunale di Verona condannava S. s.p.a. a pagare in favore di M.B.. di M.T. e B.D. s.n.c. la somma di euro 431.722,61, oltre interessi.
L’efficacia esecutiva della sentenza, impugnata dinanzi alla Corte d’appello di Venezia, veniva sospesa, ai sensi dell’art. 373 cod. proc. civ., previa prestazione di garanzia fideiussoria, da parte di S. s.p.a., per la somma di euro 550.000,00, valida sino al passaggio in giudicato della decisione; la decisione di primo grado era poi confermata dalla Corte d’appello con sentenza n. 2903/17.
1.1. In pendenza del giudizio M.B.. s.n.c., non avendo ricevuto il pagamento delle somme oggetto di condanna, promuoveva, per quanto rileva in questa sede, procedura esecutiva mobiliare mediante pignoramento di mezzi di trasporto aziendali, eseguito in data 18 gennaio 2018, avverso il quale S. s.p.a. promuoveva opposizione all’esecuzione ex art. 615, secondo comma, cod. proc. civ., chiedendo, tra l’altro, anche la sospensione dell’esecuzione.
1.2. Con ordinanza del 23 febbraio 2018, la Corte d’appello, accogliendo l’istanza ex art. 373 cod. proc. civ., disponeva la sospensione della sentenza n. 2903/17 e, con ordinanza del 26 marzo 2018, il giudice dell’esecuzione, nell’ambito del procedimento di opposizione all’esecuzione, disponeva la sospensione dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 623 cod. proc. civ., assegnando termine per l’introduzione del giudizio di merito.
2. Con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ., depositato il 22 maggio 2018, M.B.. s.n.c. introduceva la fase di merito del giudizio di opposizione all’esecuzione e il Tribunale di Verona dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione, perché proposta oltre il termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione.
3. Avverso la suddetta decisione interponeva gravame M.B. s.n.c. dinanzi alla Corte d’appello di Venezia, la quale, rigettando l’eccezione di inammissibilità, per tardività, del ricorso introduttivo, dichiarava ‹‹la legittimità dell’esecuzione mobiliare intrapresa da M.B., s.n.c. mediante pignoramento eseguito il 18.01.2018 e proseguita fino a quando questa Corte d’appello ne ha disposto la sospensione ai sensi dell’art. 373 c.p.c.›› e respingeva la domanda di risarcimento del danno avanzata da S. s.p.a.
4. S. s.p.a. propone ricorso per la cassazione della suddetta decisione, con quattro motivi.
M.B.. di M.T. e B.D. resiste con controricorso.
5. La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente ha depositato istanza di rimessione in termini ex art. 153 cod. proc. civ. e memoria illustrativa.
La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Il Collegio si è riservato il deposito della ordinanza entro il termine di sessanta giorni dalla data della decisione.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo d’impugnazione si denunzia la ‹‹violazione e/o falsa applicazione dell’art. 616 c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c.)››.
La ricorrente sostiene che il giudice di primo grado aveva ‹‹correttamente ritenuto inammissibile il giudizio sul merito dell’opposizione››, poiché instaurato oltre il termine perentorio di sessanta giorni fissato dal giudice, e che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici d’appello, la M.B. s.n.c. avrebbe dovuto introdurre la fase a cognizione piena dell’opposizione con atto, non solo depositato, ma notificato entro il termine stabilito.
2. Con il secondo motivo si deduce, ‹‹in via principale, omessa pronuncia sui motivi di opposizione in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 615 e 616 c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c.); b) in via subordinata: omessa e/o apparente motivazione in violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma, Cost., 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.); c) in via ulteriormente subordinata: omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)››.
Sulla premessa che, con il ricorso al giudice dell’esecuzione, non aveva solo dedotto che M.B.. s.n.c., prima della sospensione, non avesse diritto di procedere (in presenza di cauzione) ad esecuzione forzata, ma aveva anche aggiunto che M.B.. s.n.c. – dopo la sospensione ex art. 373 cod. proc. civ. del titolo esecutivo – non avesse il diritto di agire in via esecutiva e di proseguire la prima esecuzione, che avrebbe potuto essere riattivata solo se e quando la sentenza avesse riacquistato la sua efficacia esecutiva, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non si sarebbe pronunciata sui motivi di opposizione che afferivano non all’inizio dell’esecuzione, ma al suo sviluppo dopo la sospensione del processo esecutivo e del titolo esecutivo, così incorrendo in un vizio di omessa pronuncia o di omessa motivazione o comunque in un vizio di omesso esame di fatti decisivi del giudizio.
3. Con il terzo motivo – rubricato: ‹‹A) violazione e/o falsa applicazione dei principi e delle norme in materia di diritto di agire in via esecutiva e di proseguire l’esecuzione forzata (art. 100, 373, 474, 495, 496, 615, 623, 624 e 626 c.p.c.) (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.); B) violazione e/o falsa applicazione dei principi e delle norme in materia di abuso del processo esecutivo, interesse ad agire e correttezza e buona fede (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.)›› – la sentenza impugnata è censurata nella parte in cui la Corte territoriale ha affermato: ‹‹E’ evidente che la cauzione prestata ex art. 283 c.p.c., anche se destinata a rimanere valida fino al passaggio in giudicato della sentenza, è collegata con il provvedimento di sospensione e che quest’ultimo preclude al creditore di chiedere in via forzosa il soddisfacimento del credito, riconosciutogli dalla sentenza appellata, solo fino a che duri il processo d’appello›› (pag. 7 della motivazione).
La ricorrente rimarca che la M.B.. s.n.c. non avrebbe potuto agire in via esecutiva, perché era stata comunque privata del titolo esecutivo, sospeso ex art. 373 cod. proc. civ., e non aveva interesse a proseguire l’esecuzione perché se il ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, ancora pendente, dovesse essere accolto, la M.B.
s.n.c. non avrà titolo per procedere in via esecutiva, mentre se il ricorso per cassazione verrà rigettato, la sentenza passerà in giudicato e la creditrice potrà incassare direttamente la cauzione, pienamente satisfattiva del suo credito. Assume, quindi, che la M.B.. s.n.c., a seguito della sospensione dell’esecuzione, avrebbe dovuto rinunciare alla prima esecuzione, al fine di evitare frazionamenti e duplicazioni delle azioni esecutive, e che la scelta di non rinunciare rappresenterebbe una forma di abuso ed una palese violazione del canone generale di buona fede e di correttezza.
4. Con il quarto motivo si censura la decisione gravata per ‹‹violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e ss. c.p.c. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 4, c.p.c.)››.
Nel contestare la statuizione resa in punto di spese di lite, la ricorrente assume che, avendo fondatamente affermato l’inesistenza del diritto di M.B.. s.n.c. di procedere ad esecuzione, non può essere considerata soccombente, dovendo la parte soccombente essere identificata, alla stregua del principio di causalità, con quella che ha dato causa alla lite e dovendo la valutazione di soccombenza essere rapportata all’esito finale della lite. Soggiunge, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n. 25478/2021, che in caso di esecuzione forzata intrapresa sulla base di titolo giudiziale non definitivo, la sopravvenuta caducazione del titolo importa che il giudizio di opposizione all’esecuzione debba essere definito, quanto alle spese, secondo il principio della soccombenza virtuale, da valutare in relazione ai motivi di opposizione.
5. Preliminare all’esame di ogni altra questione è quella sull’improcedibilità del ricorso, sollevata dalla parte controricorrente per mancata osservanza - da parte della ricorrente - dell’onere di deposito, nella cancelleria della Corte, del ricorso entro il termine di giorni venti dalla notificazione, previsto dall’art. 369, primo comma, cod. proc. civ.
5.1. L’esame della questione impone di sintetizzare quanto dedotto dalla ricorrente al riguardo.
La ricorrente riferisce che: a seguito di notifica del ricorso avvenuta in data 25 ottobre 2021, ha effettuato il primo tentativo di deposito telematico dello stesso in data 5 novembre 2021, ricevendo immediatamente dal sistema la prima p.e.c. di accettazione e la seconda p.e.c. di ‹‹ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia›› (di cui all’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012), ma non la terza p.e.c., relativa all’esito dei controlli automatici di deposito, che è stata recapitata solo in data 19 novembre 2011, alle ore 18,51, dopo quattordici giorni dal deposito del ricorso, quando ormai era scaduto il termine fissato dall’art. 369, primo comma, cod. proc. civ., e che recava la seguente annotazione: «Errore imprevisto nel deposito, sono necessarie verifiche da parte dell'ufficio ricevente››; non avendo ricevuto la quarta p.e.c. e non sapendo se la Cancelleria avrebbe accettato il deposito telematico, si è determinata, in data 22 novembre 2021, ad effettuare, con le medesime modalità telematiche, un secondo deposito, che è stato regolarmente accettato dalla Cancelleria ed iscritto a ruolo, ed a formulare, in pari data, istanza di rimessione in termini ex art. 153, secondo comma, cod. proc. civ., con la quale ha chiesto, per il caso in cui non si fosse considerato perfezionato il primo deposito, di ritenere comunque procedibile il ricorso in forza del secondo deposito.
Nel ribadire anche in questa sede la procedibilità del ricorso, la M.B.. s.n.c. ha evidenziato, anche con la memoria illustrativa, di non conoscere l’esito del primo deposito, non avendo mai ricevuto comunicazioni da parte della Cancelleria, ed insiste nell’affermare che l’eventuale mancato perfezionamento del primo deposito non può essere ad essa imputato, avendo correttamente ritenuto, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che lo stesso dovesse considerarsi
‹‹per avvenuto›› il giorno 5 novembre 2011, momento in cui era stata generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia. Soggiunge che neppure può essere ad essa mossa una qualsiasi contestazione per avere proceduto al secondo deposito dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369, primo comma, cod. proc. civ., posto che era stata informata solo in data 19 novembre 2011 dell’‹‹Errore imprevisto nel deposito›› del 5 novembre 2021 e che prima di quella data confidava legittimamente nell’avvenuto regolare deposito, con la conseguenza che il ritardo nel secondo deposito deve essere imputato ‹‹a chi aveva tardivamente comunicato›› la presenza di un errore imprevisto.
5.2. Ritiene il Collegio che le argomentazioni difensive di parte ricorrente non possono essere condivise.
5.2.1. Varrà, al riguardo, rammentare che, a norma dell’art. 16- bis, comma 7, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, «il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia. Il deposito è tempestivamente eseguito quando la ricevuta di avvenuta consegna è generata entro la fine del giorno di scadenza ...».
Il quadro normativo è poi completato dall’art. 13, comma 2, del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione), a mente del quale «[2] I documenti informatici di cui al comma 1 si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. [3] Nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l’avvenuto deposito dell’atto o del documento presso l’ufficio giudiziario competente».
In forza delle richiamate disposizioni, il deposito telematico di un atto si articola in quattro fasi, che coincidono con il rilascio di altrettanti messaggi di p.e.c. da parte del sistema informatico: 1) ‹‹ricevuta di accettazione deposito››, ossia la ricevuta di presa in carico del messaggio da parte del gestore p.e.c. del mittente; 2) ‹‹ricevuta di avvenuta consegna›› (“RdAC” – cd. “seconda PEC”), con la quale il gestore p.e.c del Ministero della Giustizia attesta che lo stesso è stato ricevuto nella sua casella; 3) ‹‹esito controlli automatici deposito›› (cd. “terza Pec”), che viene inviata dal gestore dei servizi telematici del Ministero della Giustizia contenente l’esito dei controlli che il sistema effettua automaticamente sulla busta, all’esito dei quali possono essere segnalate al depositante anomalie che sono codificate secondo specifiche tipologie (warn, anomalia non bloccante, error, anomalia bloccante, non preclusiva dell’accettazione manuale da parte della Cancelleria; fatal, anomalia non gestibile per gravi carenze dell’atto che non consentono l’elaborazione e accettazione manuale); 4)
‹‹accettazione deposito›› (cd. “quarta PEC”), che viene inviata dalla cancelleria dell’ufficio giudiziario destinatario del deposito e contiene l’eventuale accettazione o il rifiuto del deposito, previo scrutinio delle anomalie eventualmente rilevate dal sistema. Solo a seguito dell’accettazione, il file viene caricato sul fascicolo telematico, divenendo visibile alle controparti.
5.2.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che valorizza il dato testuale dell’art. 16-bis, comma 7, del d.l. n. 179 del 2012, dal combinato disposto delle menzionate norme (in cui quella regolamentare integra il contenuto precettivo della disposizione di rango primario) si ricava la regola per cui la tempestività del deposito va verificata con riferimento al momento in cui viene generata, da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia, la ricevuta di avvenuta consegna (RdAC) e, cioè, la cosiddetta «seconda p.e.c.», la quale attesta l’ingresso della comunicazione nella sfera di conoscibilità del «sistema giustizia» (cfr., Cass., sez. 6 - L, 05/01/2023, n. 238; Cass., sez. 6-3, 10/10/2022, n. 29357; Cass., sez. U, 21/07/2022, n. 22834; Cass., sez. L, 19/01/2022, n. 12422; Cass., sez. 2, 12/07/2021, n. 19796; Cass., sez. 6 -1, 15/09/2020, n. 19163; Cass., sez. 6-1, 01/03/2018, n. 4787; Cass., sez. 6 -2, 19/01/2018, n. 1366).
5.2.3. Tuttavia, ponendo l’accento sul fatto che la struttura del procedimento di deposito telematico è a fattispecie progressiva, sicché la RdAC consente di ritenere perfezionato il deposito con effetto anticipato, ma pur sempre provvisorio, altra parte della giurisprudenza ha precisato che il definitivo consolidarsi dell’effetto di tempestivo deposito prodottosi, in via anticipata, con la ricezione della RdAC è condizionato dalla ricezione della terza e della quarta p.e.c. (in tal senso, Cass., sez. 6-1, 20/08/2020, n. 17404; Cass., sez. 6-1, 21/09/2022, n. 27654) e, quindi, al buon fine dell’intero procedimento, in tal modo riconoscendo la necessità di un positivo superamento dei controlli, automatici (art. 13, comma 7, d.m. Giustizia n. 44/2011 e art. 14, comma 7, delle Specifiche tecniche sul PCT di cui al Provv. DGSIA del 16 aprile 2014) e manuali (articolo 13, comma 7, d.m. Giustizia n. 44/2011 e articolo 14, comma 10, delle Specifiche Tecniche sul PCT di cui al Provv. DGSIA del 16 aprile 2014), documentati da queste ultime comunicazioni p.e.c. (Cass., sez. 1, 08/11/2019, n. 28982; Cass., sez. 6-1, 20/08/2020, n. 17404; Cass., sez. 6-1, 21/09/2022, n. 27654). Ciò in quanto lo scopo del deposito non può dirsi raggiunto finché non vi sia stata l’accettazione dell’atto da parte della Cancelleria, che ne determina la conoscibilità a beneficio delle parti del processo e del giudice, e la cui prova è data dal messaggio di posta elettronica certificata contenente l’esito dell’intervento di accettazione (cd. quarta p.e.c.); in caso di mancato completamento dell’iter del deposito telematico, ed in particolare ove sia risultato negativo l’esito di una o di entrambe le ultime fasi della procedura, il deposito telematico, pur perfetto, non può dirsi efficace, poiché inidoneo al raggiungimento dello scopo.
Da tanto discende che, sebbene sia vero che il perfezionamento deve essere cronologicamente fissato al momento della seconda p.e.c., come stabilisce l’art. 16-bis citato, è altrettanto vero che detto perfezionamento è subordinato all’esito positivo dei successivi controlli.
5.3. Così ricostruito il quadro normativo di riferimento e l’interpretazione datane dalla giurisprudenza, occorre, anzitutto, rilevare che, nel caso in esame, in presenza di una terza p.e.c., che è pervenuta dopo quattordici giorni dalla ricezione della RdAC e che segnalava ‹‹un errore imprevisto››, ed in assenza di una quarta p.e.c., mai pervenuta, non può ritenersi che il primo deposito si sia perfezionato, giacché non risulta, sulla base di quanto esposto dallo stessa parte ricorrente ed in difetto di diversa prova, dalla stessa non fornita pur incombendogliene l’onere, che esso sia pervenuto all’ufficio giudiziario destinatario ed abbia superato i controlli automatici e quelli manuali.
Sotto diverso profilo, si osserva che, seppure non può non tenersi conto che il depositante deve poter confidare nel sistema tecnologico e, quindi, nel buon esito del procedimento avviato con la spedizione (attestata dalla prima p.e.c.), senza che inconvenienti successivi, dipendenti dal “Dominio Giustizia”, possano incidere sulla validità e tempestività dell’attività processuale compiuta, di contro non può ignorarsi che, nel caso in esame, sulla base della stessa ricostruzione degli eventi prospettata dalla ricorrente e della documentazione richiamata ed allegata, non sia possibile evincere la prova della non imputabilità dell’esito negativo dell’intero procedimento e dell’incolpevole decorso del termine di deposito (in tal senso, Cass., n. 17404/2020, cit.; Cass., n. 6147 del 2020, cit.).
Difetta, infatti, l’allegazione, da parte della ricorrente, di elementi atti a comprovare come la stessa sia ‹‹incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile››, come previsto dal secondo comma dell’art.
153 cod. proc. civ.: che richiede la verifica della ricorrenza di due elementi e, cioè, dell’esistenza di un fatto ostativo esterno alla volontà della parte, non governabile da quest’ultima, e dell’immediatezza della reazione, diretta a superarlo prontamente (tra le tante, Cass., sez. 6- 5, 05/08/2021, n. 2342).
E ciò sia in punto di ‹‹avvenuta consegna››, non potendo ritenersi a tal fine sufficiente il doc. 19C, allegato all’istanza di rimessione in termini, in difetto di deposito della Pec di avvenuta consegna, che non è stata prodotta poiché l’allegato supera il limite massimo di 30MB previsto dal sistema informatico (come precisato nella nota 1 contenuta nell’istanza di rimessione in termini) e quindi non è conforme, per fatto del depositante, alle relative specifiche tecniche ed erette in concreto a condizioni di ricevibilità dell’atto; sia in punto di eventuali verifiche effettuate prima del decorso del termine di cui all’art. 369, primo comma, cod. proc. civ., mancando la dimostrazione che la ricorrente, in ragione del mancato recapito del messaggio p.e.c. attestante l’esito dei controlli automatici, si sia tempestivamente attivata, eventualmente chiedendo informazioni alla cancelleria, al fine di conoscere l’esito del deposito ed avere tutto il tempo per effettuare un nuovo e corretto deposito prima della scadenza del termine di venti giorni previsto dal citato art. 369, spirato il 14 novembre 2011.
Non ignora il Collegio che questa Corte ha affermato il principio secondo cui «La serie di messaggi Pec che scandisce il deposito telematico di atti (descritti dalle «specifiche di interfaccia tra punto di accesso e gestore centrale»), così come le indicazioni date dalla cancelleria alle parti, sono specie di «istruzioni» che l’amministrazione della giustizia dà alle parti e pertanto sono fonti di affidamento qualificato, meritevole di essere considerato nell’ambito del giudizio ex art. 294, co. 2 c.p.c. sul presupposto della rimessione in termini, laddove – a cagione dei loro difetti - s’inseriscano con ruolo determinante nella catena causale che sfocia nella decadenza, fermo rimanendo che l’apprezzamento circa la non imputabilità alla parte nel caso concreto è affidato al giudice del merito» (Cass., sez. 2, 18/10/2022, n. 30514).
Reputa il Collegio che tuttavia, nel caso di specie, tale principio non possa trovare applicazione. Difatti, nel caso esaminato dalla sentenza da ultimo richiamata, la terza p.e.c. e le rassicurazioni della cancelleria sono intervenute in un momento anteriore a quello della scadenza del termine per la iscrizione a ruolo, cosicché ben poteva affermarsi che esse avessero determinato un affidamento incolpevole della parte tenuta al rispetto del termine, meritevole di essere considerato nell’ambito del giudizio sulla non imputabilità della scadenza del termine perentorio per il deposito.
Nel caso che ci occupa, invece, la terza p.e.c. è intervenuta solo dopo la scadenza del termine di cui all’art. 369, primo comma, cod. proc. civ. e la parte ricorrente è rimasta inerte sino al ricevimento di tale messaggio, non essendo stato provato neppure che si sia curata di assumere informazioni, in disparte ogni considerazione sulla carenza di prova – anch’essa a quella incombente – della rigorosa osservanza delle specifiche tecniche per la spedizione degli atti (tra cui quelle dimensionali, che è onere del depositante rispettare al fine di conseguire l’utile risultato atteso del rituale deposito).
In tal modo, essa è incorsa in una decadenza che non può essere imputata al sistema informatico, ma che va qualificata come ad essa esclusivamente ascrivibile, non ricorrendo, in concreto, una causa non imputabile, riferibile ad un evento ad essa estraneo che presenti il carattere dell’assolutezza (Cass., sez. U, 18/12/2018, n. 32725; Cass., sez. 1, 23/11/2018, n. 30512).
In altri termini, in assenza di adeguata prova che, a causa di disfunzioni del sistema informatico, estranee alla propria sfera di controllo, sia stato impedito alla ricorrente il tempestivo deposito del ricorso, non può ritenersi che la stessa sia incorsa in una decadenza non imputabile, idonea a giustificare una rimessione in termini.
È appena il caso di precisare che la giurisprudenza formatasi in tema di immediata ripresa del procedimento di notificazione non può trovare in alcun caso applicazione alla fattispecie, sia perché questa attiene al procedimento di deposito dell’atto già notificato, sia, in via dirimente, perché in ogni caso è presupposta una non imputabilità del fatto che ha impedito l’atteso perfezionamento del procedimento: non imputabilità la cui prova si è visto doversi, nella specie, escludere.
6. Ne consegue che il deposito del ricorso è irrimediabilmente tardivo: e da tanto deriva l’improcedibilità del ricorso, che esime dallo scrutinio dei motivi di impugnazione.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in relazione al valore della causa.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.