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11 luglio 2023
Incostituzionale il divieto di prevalenza dell’attenuante per la speciale tenuità del danno patrimoniale sulla recidiva reiterata

Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza in commento.

La Redazione

Con la sentenza n. 141 dell'11 luglio 2023, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 69, c. 4, c.p., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante per la speciale tenuità del danno patrimoniale (art. 62, n. 4, c.p.) sullarecidiva (art. 99, c. 4, c.p.).

La controversia trae origine dal rinvio a giudizio dell'imputato per il delitto di rapina ex art. 628, c. 1, c.p., per avere costretto due dipendenti di un supermercato a consegnargli la somma di dieci euro mediante l'uso di minaccia, consistita nelle frasi «se non mi date 10 euro torno con la pistola» e «ti spacco la testa».
Il giudice rimettente rilevava che, nonostante sussistessero gli estremi della circostanza attenuante dell'art. 62, n. 4, c.p., all'imputato era stata però correttamente contestata la circostanza aggravante della recidiva. Ciò detto, il giudice a quo sostiene che «l'esigenza di adeguare la pena all'effettivo disvalore del fatto giustificherebbe la dichiarazione di prevalenza dell'attenuante sulla recidiva tenuto conto dell'entità del minimo edittale di cinque anni di reclusione». Una tale pena sarebbe infatti «del tutto sproporzionata rispetto alla condotta commessa, consistita nel conseguimento di un profitto di dieci euro con pari danno per la parte offesa».

Per la Corte costituzionale la questione è fondata. Dopo aver richiamato alcune recenti pronunce (sentenza n. 43/2023 e n. 120/2023), la Consulta afferma che «l'effetto “calmierante” di tutte le circostanze attenuanti – ivi compresa quella relativa al danno patrimoniale di particolare tenuità (art. 62, numero 4, cod. pen.) che viene in considerazione nel giudizio a quo – rispetto all'elevato minimo edittale previsto dal legislatore per i delitti di rapina ed estorsione è però destinato a essere sistematicamente eliso, allorché all'imputato venga contestata la recidiva reiterata (…). In tal caso, infatti, l'art. 69, quarto comma, cod. pen.non consente al giudice, salve le possibili diminuenti connesse alla scelta del rito, di commisurare una pena inferiore al minimo edittale, e dunque a cinque anni di reclusione».

Simili considerazioni, peraltro, valgono anche rispetto a tutti gli altri delitti cui può trovare applicazione la circostanza attenuante in esame. Continua la Corte: «La particolare tenuità del danno patrimoniale causato determina, di regola, una sensibile riduzione del contenuto di disvalore dei reati che offendono il solo patrimonio, o che offendono – accanto ad altri beni giuridici – anche il patrimonio; e di tale ridotto disvalore il giudice deve poter tenere conto nella commisurazione del trattamento sanzionatorio, senza essere vincolato a ignorarlo in ragione soltanto della recidiva reiterata dell'imputato. Circostanza, quest'ultima, che nulla ha a che vedere con la gravitàoggettiva e soggettiva del singolo fatto di reato, cui la pena – in un sistema orientato alla “colpevolezza per il fatto”, e non già alla “colpa d'autore”, o alla mera neutralizzazione della pericolosità individuale – è chiamata a fornire risposta».

Alla luce di tali considerazioni, la Corte costituzionale conclude nei seguenti termini:

ildiritto

«anche rispetto alla circostanza attenuante di cui all'art. 62, numero 4), cod. pen. si impone, pertanto, una nuova declaratoria di illegittimità costituzionale del meccanismo disegnato dall'art. 69, quarto comma, cod. pen., sulla falsariga di quelle che l'hanno preceduta, sì da porre in condizioni il giudice di non dover necessariamente irrogare una pena manifestamente sproporzionata al disvalore del singolo fatto di reato, in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.».