La questione di diritto è già stata affrontata dalla giurisprudenza e pertanto non rientra nel criterio della «assoluta novità della materia trattata».
Le attuali ricorrenti adivano la Corte d'Appello affinchè riconoscesse l'efficacia nell'ordinamento giuridico italiano della sentenza francese che aveva dichiarato l'adozione di una minore con conseguente trascrizione di tale provvedimento nel registro degli atti di nascita. La Corte territoriale accoglieva le domande e compensava le spese del...
Svolgimento del processo
S.T. e S.R., in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla minore M.R., in seguito al provvedimento di rifiuto del 15 settembre 2016 dell’ufficiale di stato civile del Comune di Roma Capitale di trascrizione della sentenza resa dal Tribunal de Grande Instance di Bourg-en-Bresse il 6 ottobre 2015, con la quale l’autorità giudiziaria francese ha dichiarato l’adozione piena di Martina R. da parte di S.T. e ha disposto che la minore assumesse il cognome “R. T.”, hanno proposto ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ. dinanzi alla Corte d'Appello di Roma per richiedere, ai sensi dell’art. 67 della l. n. 218/1995, l’accertamento dei requisiti per il pieno riconoscimento in Italia dell’efficacia della suddetta sentenza e per ottenerne la trascrizione nel registro degli atti di nascita.
La Corte d’Appello di Roma, con ordinanza del 26.07.2021, ha riconosciuto l’efficacia nell’ordinamento giuridico italiano della sentenza francese con riferimento alla parte di dispositivo con cui «pronuncia l’adozione piena di M.R., nata l’8 agosto 2014 a Annemasse (74100), figlia di S.R., da parte di S.T., coniuge di S.R., nata il (omissis) a Napoli (Italia), di cittadinanza italiana, residente insieme in: (omissis) …. il minore porterà d’ora in avanti i prenomi (letteralmente nel testo francese “le nome de famille”) R.-T.» e, per l’effetto, ha ordinato all’ufficiale di stato civile del Comune di Roma Capitale di trascrivere il suddetto provvedimento nel registro degli atti di nascita ai sensi dell’art. 28, co. 2, lett. f) e g), DPR 396/2000 e dell’art. 67, co. 2, L. 218/1995, compensando le spese del giudizio.
Avverso tale ordinanza viene proposto ricorso per cassazione dalle sig.re S.T. e S.R., in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale sulla minore M.R., affidato a sei motivi.
Resistono con controricorso il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., ed il Sindaco del Comune di Roma Capitale, nella qualità di Ufficiale di Governo.
Motivi della decisione
1. – I motivi proposti possono essere come di seguito riassunti.
1.1 Con i primi due motivi, suscettibili di trattazione unitaria data la loro stretta connessione, – entrambi proposti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. - si deduce la violazione e/o falsa applicazione ”degli artt. 66 e 65, legge n. 218/1995, congiuntamente agli articoli 2, 3, 20,
31, nonché art. 117, comma 1°, in relazione all’art. 8 e 14 unitamente all’art. 8 CEDU” e la violazione e/o falsa applicazione “degli artt. 18, 20 e 21 TFUE e 7, 21, 24, 33 e 45 Carta dei diritti fondamentali dell’UE”, per avere erroneamente la Corte d’Appello di Roma riconosciuto l’efficacia della sentenza francese di adozione coparentale attribuendo intenzionalmente alla minore M.R. il diverso cognome “R.-T.” in luogo di “R. T.”, aggiungendo, quindi, un trattino d’unione tra i due cognomi.
In tal modo la Corte capitolina avrebbe violato gli artt. 65 e 66 della L. 218/1995, dato che non sussisterebbe alcuna ragione di contrasto con l’ordine pubblico al riconoscimento del cognome della minore senza il trattino d’unione.
Per altro verso, le ricorrenti deducono la lesione del diritto alla libertà di circolazione, al nome e all’identità personale della minore, in ragione dei danni che le deriverebbero dal mutamento del cognome nei diversi Stati membri in cui è stato riconosciuto il provvedimento di adozione, nonché la violazione del principio di uguaglianza, del divieto di discriminazione e dell’interesse superiore della minore ad un pieno rapporto genitoriale, in quanto, secondo le ricorrenti, il riconoscimento del provvedimento sT.ero con l’inserimento del trattino d’unione tra i due cognomi sarebbe dipeso dal carattere omogenitoriale della coppia ricorrente.
1.2 Con il terzo motivo – proposti ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. - le ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione “dell’art. 91 e dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nonché articoli 24, commi 1° e 2°, 111, comma 1°, Cost.” per avere la Corte d’Appello di Roma compensato le spese del giudizio a fronte di una soccombenza totale degli odierni controricorrenti e in totale assenza dei presupposti giustificativi di legge.
Sostengono le ricorrenti che la Corte Capitolina, nello statuire che
«Le spese, in ragione della novità e della particolarità della materia trattata e tenuto conto della natura dei diritti sottesi alla domanda, devono essere compensate per intero tra le parti», avrebbe disposto la compensazione delle spese con una generica formula di stile e senza adeguatamente motivare circa la ricorrenza delle ipotesi previste dall’art. 92, co. 2, c.p.c., che nel caso di specie non sussisterebbero affatto.
1.3 Con il quarto motivo di ricorso – proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 – si lamenta la violazione e/o falsa applicazione “dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4”, per avere la Corte d’Appello di Roma disposto la compensazione delle spese di lite con motivazione assente ovvero apparente, al di sotto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, co. 6 Cost.
1.4 Il quinto motivo - proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. – deduce la violazione e/o falsa applicazione “dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, congiuntamente agli articoli 18, 20, 21 TFUE e 7, 21, 24, 33 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, anche singolarmente considerati”, sempre nella parte in cui l’ordinanza della Corte d’Appello di Roma avrebbe integralmente compensato le spese del giudizio.
A dire delle ricorrenti, infatti, in una causa in cui è stata riconosciuta la lesione di diritti che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione da parte dell’amministrazione di uno Stato Membro totalmente soccombente, la compensazione integrale delle spese, specie elevate, costituirebbe una lesione alla libertà di circolazione (art. 21 TFUE e art. 45 CDFUE), al diritto ad un ricorso effettivo (art. 47 CDFUE), e, più in generale, ai diritti garantiti dallo status di cittadino (art. 20 TFUE), poiché in via indiretta ostacolerebbe il riconoscimento del legame parentale tra la madre adottiva e la minore adottata.
1.5 Infine, in via subordinata, in relazione al quinto motivo e all’interpretazione dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, le ricorrenti hanno chiesto di rimettere questione pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea affinché si pronunci sui seguenti quesiti:
a) “Se l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, letto anche alla luce della sentenza Corte EDU Stankov c. Bulgaria (ricorso n. 68490/01, depositata il 12.07.2007), in una causa che incide sulla libertà di circolazione e sui diritti dei cittadini dell’Unione, consenta ai giudici nazionali di compensare le spese di lite a fronte di un’integrale soccombenza dell’Amministrazione dello Stato membro all’esito di un giudizio civile occasionato dal rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di riconoscere effetti e quindi la trascrizione e annotazione di una sentenza francese di adozione coparentale piena (adoption plénieère) di minore con riattribuzione del cognome, così determinando in via definitiva in capo alla parte interamente vittoriosa l’onere di sopportare rilevanti costi per la necessaria difesa tecnica dei diritti derivati dall’ordinamento dell’Unione”;
b) “Se l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, letto anche alla luce della sentenza Corte EDU Stankov c. Bulgaria (ricorso n. 68490/01, depositata il 12.07.2007), consenta ai giudici nazionali di compensare le spese di lite in caso di integrale soccombenza dell’Amministrazione dello Stato, nella causa di cui al primo quesito, pur a fronte di giurisprudenza di merito, di legittimità, costituzionale che non ravvisava contrarietà con l’ordine pubblico nazionale di siffatti legami parentali e giurisprudenza unionale che imponeva di garantire al cittadino la coincidenza dell’identità della propria persona negli Stati membri con specifico riguardo al cognome”.
2. Il ricorso è parzialmente fondato.
2.1 Non fondati risultano il primo ed il secondo motivo.
Ritiene, infatti, questo Collegio che le conclusioni in tal senso rassegnate nella proposta del Presidente relatore non siano state superate dai rilievi svolti dalle ricorrenti nella memoria ex art. 380-bis c.p.c., co. 2 e che, pertanto, l’attribuzione del cognome “R.- T.” in luogo di “R. T.” nel riconoscimento della sentenza francese di adozione debba essere qualificato come mero errore materiale in cui è incorsa la Corte d’Appello di Roma nella redazione dell’ordinanza, come tale emendabile esclusivamente attraverso il procedimento disciplinato dagli artt. 287-288 c.p.c. e non devolvibile al sindacato di questa Corte, che, essendo di mera legittimità non consente alla Corte di Cassazione di correggere errori materiali contenuti nella sentenza del giudice di merito, al quale va, pertanto, rivolta l’istanza di correzione anche dopo la presentazione del ricorso per Cassazione (cfr. Cass. civ., Sez. II, Sent. n. 13629/2021; Cass. civ., Sez. lavoro, Sent. n. 1348/1995).
Questa Corte potrà, pertanto, limitarsi a rilevare ed accertare l’errore materiale al limitato fine di escludere la ricorrenza di un errore di giudizio o di attività (Cass. civ., Sez. II, Sent. n. 1420/2016; Cass. civ., Sez. lavoro, Sent. n. 10376/2004).
Come è stato affermato da questa Corte, deve qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all'atto della formazione del provvedimento e che si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile "ictu oculi” (Cass. civ., Sez. I, Sent. n. 19601/2011; Cass. civ., Sez. II, Sent. n. 5196/2002).
Il procedimento di correzione degli errori materiali o di calcolo è diretto pertanto a porre rimedio ad un vizio meramente formale della sentenza, derivante da divergenza evidente e facilmente rettificabile tra l'intendimento del giudice e la sua esteriorizzazione, con esclusione di tutto ciò che attiene al processo formativo della volontà. (Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord. n. 1207/2015).
Ebbene, con riferimento al caso oggetto del presente giudizio, la circostanza che l’inserimento del trattino d’unione tra i due cognomi sia un mero errore materiale emerge da numerose evidenze riscontrabili nell’ordinanza della Corte Capitolina.
Anzitutto, dall’ordinanza impugnata emerge che nessuna questione è mai insorta tra le parti in ordine a quale forma del cognome dovesse essere attribuito alla minore in caso di accoglimento della domanda di riconoscimento della sentenza francese. In particolare, si legge a pag. 9 (non numerata) «Le questioni che devono essere esaminate da questo Collegio riguardano esclusivamente la legittimazione del Sindaco e del Ministero dell’Interno, la competenza della Corte d’Appello e la verifica della compatibilità della decisione richiesta con i principi di ordine pubblico».
Alla pagina 2 dell’ordinanza, inoltre, viene indicato il cognome senza trattino d’unione, nella parte in cui si afferma che «S.T. e S.R. […] hanno chiesto l’accertamento dei requisiti per il riconoscimento in Italia della sentenza resa dal Tribunal de Grande Instance di Bourg-en-Bresse il 6 ottobre 2015, con la quale l’autorità giudiziaria francese ha dichiarato l’adozione piena di M.R. da parte di S.T., disponendo che la minore assuma il cognome “R. T.”».
Ancora, la Corte d’Appello ha riconosciuto efficacia piena alla sentenza francese di adozione, e tanto si desume anche alla pag. 24, in cui la Corte afferma «sussistono, in definitiva, tutte le condizioni di riconoscibilità dell’efficacia in Italia della sentenza straniera». La parte motiva dell’ordinanza, invero, non riporta alcuna motivazione per cui sarebbe stato necessario discostarsi dal contenuto della pronuncia d’Oltralpe al fine di attribuire alla minore il cognome “R.-T.”. La Corte capitolina nel dispositivo dell’ordinanza riporta pedissequamente la traduzione della parte del dispositivo della sentenza cui si intende riconoscere efficacia (ossia quella che attribuisce il nuovo cognome alla minore), errando esclusivamente nell’aggiungere un trattino tra i cognomi R. e T., che non è presente nella pronuncia francese «La Corte […] - riconosce l’efficacia nell’ordinamento giuridico italiano della sentenza resa il 6 ottobre 2015 dal Tribunale de Grande Instance di Bourg en Bresse (sent. n. 14/4216 R.G), con riferimento alla parte di dispositivo con cui «pronuncia l’adozione piena di M.R., da parte di S.T., coniuge di S.R., nata il (omissis) a Napoli (Italia), di cittadinanza italian, residente insieme in: (omissis). Dice che il minore porterà d’ora in avanti i prenomi (letteralmente nel testo francese “le nome de famille”) R.- T.» (pag. 24-25). Pertanto, la circostanza che sia stato riportato integralmente il contenuto del dispositivo della sentenza francese, con la sola aggiunta del trattino di congiunzione tra i due cognomi della minore, rende percepibile ictu oculi la discordanza tra volontà della dichiarazione e la dichiarazione stessa in cui è incorsa la Corte d’Appello, che ha provocato un errore materiale nell’ordinanza.
Infine, al contrario di quanto sostenuto dalle ricorrenti, la Corte d’Appello ha inteso riconoscere piena efficacia alla sentenza francese proprio al fine di tutelare tutti quegli interessi e diritti della minore e della coppia omogenitoriale che le medesime assumono essere stati violati. In particolare, si legge a pag. 23 «Il riconoscimento dell’efficacia della sentenza di adozione della piccola Martina da parte della coniuge della madre biologica della stessa realizza, quindi, pienamente l’interesse della minore a mantenere l’ambiente familiare e affettivo nel quale ella è nata e cresciuta, nell’ambito di un comune progetto di vita della coppia omogenitoriale […] Negare, in questa sede, il riconoscimento di efficacia del provvedimento straniero, determinerebbe una ingiustificata diversificazione dello status dei membri di quella famiglia, nell’ambito del nostro ordinamento, in contrasto con i principi rinvenibili nell’art. 2 Cost. e nell’art. 8 Cedu e, soprattutto, con il principio di non discriminazione, rivolto sia a non determinare ingiustificate disparità di trattamento nello status filiale dei minori, con riferimento in particolare al diritto all’identità ed al diritto di crescere nel nucleo familiare che meglio garantisca un equilibrato sviluppo psico-fisico nonché relazionale, sia a non limitare la genitorialità esclusivamente sulla base dell’orientamento sessuale della coppia richiedente». E ancora «Va anche osservato che il riconoscimento della sentenza straniera di adozione si rivela in linea anche con il principio solidaristico posto a base del concetto di “genitorialità sociale”».
I primi due motivi di ricorso, pertanto, debbono essere dichiarati inammissibili.
2.2. Il terzo motivo è fondato.
Le ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello di Roma ha integralmente compensato le spese del giudizio nonostante l’accoglimento totale delle loro domande ed in assenza dei requisiti che legittimino la compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92, co. 2, c.p.c., dal momento che la Corte avrebbe soltanto menzionato tre criteri, ovvero la particolarità della materia trattata, la natura dei diritti sottesi alla domanda e la novità della questione trattata, senza adeguatamente motivare circa la loro sussistenza e validità.
Le doglianze colgono nel segno.
Nessuno dei criteri enunciati dalla Corte è, infatti, idoneo nel caso di specie a sorreggere la statuizione di compensazione delle spese processuali.
Deve premettersi che la disciplina delle spese è regolata ratione temporis dall’art. 92 c.p.c. nel testo attualmente vigente (il giudizio è stato introdotto nel 2017), che prevede la possibilità di compensare le spese, parzialmente o per intero, «se vi è soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti».
Alle ipotesi tipizzate, inoltre, per effetto della sentenza n. 77 del 19 aprile 2018 della Corte Costituzionale, va aggiunta la sussistenza di «altre analoghe ed eccezionali ragioni», da indicare esplicitamente nella motivazione e che devono riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa e non possono essere espresse con una formula generica, inidonea a consentirne il necessario controllo. (Cass. civ., Sez. VI - 5, Ordinanza, 04/08/2022, n. 24178); tale disposizione è norma elastica (cfr. Cass civ., Sez. 2, Sent. n. 15495/2022), da specificare in via interpretativa da parte del giudice di merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in termini di violazione di legge.
Tanto premesso, a chiarimento del perimetro della clausola generale, la Corte Costituzionale ha indicato ogni possibile situazione che, partecipando della stessa ratio che sottende le ipotesi tipizzate, esprima un "sopravvenuto mutamento del quadro di riferimento della causa che altera i termini della lite senza che ciò sia ascrivibile alla condotta processuale delle parti: si fa, pertanto, riferimento a quelle circostanze che, verificatesi nel corso del processo, si pongano in termini di eventi "del tutto imprevist(i) ed imprevedibil(i) per la parte che agisce o resiste in giudizio" (Cass. civ., Sez. VI-Lav., Ord. n. 34830/2022).
La Corte d'Appello di Roma, nel compensare le spese ha statuito che: «Le spese, in ragione della novità e della particolarità della materia trattata e tenuto conto della natura dei diritti sottesi alla domanda, devono essere compensate per intero tra le parti».
Ebbene, correttamente le ricorrenti hanno rilevato che i criteri della “particolarità della materia trattata” e della “natura dei diritti sottesi alla domanda”, oltre ad essere enunciati con formule generiche e non adeguatamente motivate, certamente non rientrano nelle ipotesi disciplinate dall’art. 92, co. 2, c.p.c. idonee a giustificare la compensazione delle spese del giudizio.
E non può ritenersi idoneo a sorreggere la statuizione di compensazione delle spese processuali neppure il criterio della “novità della materia trattata”, riconducibile, più in generale, ad una situazione di obiettiva e marcata incertezza sulla questione dirimente, non necessariamente orientata dalla giurisprudenza (cfr. Corte Cost., Sent. n. 77/2018).
Seppur, infatti, tale ipotesi sia riconducibile in astratto alle vicende legittimanti la compensazione delle spese ex art. 92, co. 2, c.p.c., nel caso di specie non si versa in un’ipotesi di novità della questione trattata, né la Corte Capitolina ha fornito adeguata motivazione in tal senso, dal momento che la questione interpretativa dirimente ai fini della risoluzione della controversia riguardava la verifica della compatibilità con i principi di ordine pubblico del riconoscimento di una sentenza straniera che ha dichiarato la piena adozione di una minore, concepita nell’ambito di una coppia omoaffettiva di due donne coniugate in Francia mediante procreazione medicalmente assistita eterologa (realizzata con gamete di donatore anonimo e decisa con consenso documentato di entrambe), da parte della madre d’intenzione.
La questione di diritto dibattuta nel presente giudizio all’epoca della sua introduzione non era affatto nuova, visto che questa Corte si era già pronunciata nel 2016 con riferimento ad un caso di riconoscimento di un atto straniero che accertava il rapporto di filiazione tra due madri e un minore nato in seguito all’utilizzo di tecnica di procreazione medicalmente assistita simile alla eterologa, statuendone la non contrarietà all’ordine pubblico (Cass. civ., Sez. I, Sent. n. 19599/2016).
E tale indirizzo interpretativo non è mai stato smentito ma, anzi, sempre confermato dagli ulteriori, numerosi arresti di questa Corte succedutisi in pendenza del giudizio dinanzi alla Corte d’Appello (cfr. Cass. civ., Sez. I, Sent. n. 14878/2017; Cass. civ., Sez. I, Ord. n. 14007/2018; Cass. civ., Sez. Unite, Sent. n. 12193/2019; Cass. civ., Sez. Unite, Sent. n. 9006/2021).
Alla luce delle suesposte argomentazioni, deve ritenersi manifesta la violazione degli artt. 91 e 92, co. 2, c.p.c. e il motivo va, dunque, accolto, perché la Corte d’Appello di Roma non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati e non ha fornito una valida argomentazione relativa al perché siano state compensate le spese di lite, non versandosi in una ipotesi di assoluta novità della questione trattata, né in un’altra di quelle previste dall’art. 92, co. 2, c.p.c.
2.3 Il quarto, il quinto motivo di ricorso e la connessa questione pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. sono assorbiti in ragione dell’accoglimento del terzo motivo di ricorso.
2.4 Si ritiene, in conclusione, che il primo ed il secondo motivo debbano essere dichiarati inammissibili, mentre il terzo debba essere accolto, con assorbimento del quarto, del quinto, con la conseguente cassazione dell’ordinanza impugnata, in relazione al motivo accolto per quanto di ragione, e la decisione nel merito relativa alla condanna al pagamento da parte dei controricorrenti delle spese del giudizio di merito.
2.5 Le spese del presente giudizio devono essere poste a carico delle Amministrazioni controricorrenti in relazione al criterio della soccombenza sia pure parziale riportata nel presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo ed il secondo, assorbiti gli altri, cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto per quanto di ragione e, decidendo nel merito, condanna il Sindaco di Roma Capitale, in qualità di Ufficiale di Governo, e il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 4.200 e del giudizio di cassazione liquidate in euro 3.200 di cui 200 per spese.
Dispone oscurarsi i nominativi e gli elementi identificativi delle ricorrenti e della minore in caso di pubblicazione o diffusione della presente ordinanza.