La contestuale produzione di traduzione in lingua italiana non integra requisito di validità dell'atto quando il giudice è in grado di compiere da sé la traduzione.
Svolgimento del processo
Il 5/7/2014 moriva a Parigi A. C. M., cittadina statunitense, che successivamente aveva acquisito anche la cittadinanza italiana. Al momento dell'apertura della successione era rinvenuto un testamento olografo del 15/2/2014 con cui la de cuius nominava sua erede universale P. N., sua amica di Parigi. Il 26/1/2015, la Corte competente della Florida, luogo di ultima residenza della de cuius, nominava D. S. rappresentante del compendio ereditario, con pieni poteri di amministrazione e di devoluzione dell’asse agli eredi secondo la legge. Il 25/6/2015 egli otteneva dalla Corte un provvedimento diretto a risolvere «questioni di fatto e di diritto» relative alla delazione del compendio ereditario, tra cui in primo luogo la validità del testamento olografo.
La Corte dichiarava invalido il testamento. Infatti, ai sensi della Sezione 732.502 del Probate Code della Florida, un testamento olografo non è valido, indipendentemente dal fatto che esso sia valido nello Stato in cui è stato redatto. Inoltre, la Corte incaricava S. di raccogliere e preservare i beni del compendio ereditario. Infine, la Corte individuava come eredi della defunta i parenti più prossimi, cioè i cugini K. S. R., W. L. M. e L. M. B..
Successivamente, S. conferiva mandato agli avv. R. C. e A. R. per rappresentarlo nella gestione dei beni immobili della defunta situati in Italia. In tale qualità, il 11/11/2015, costoro ricevevano una diffida, per conto e nell’interesse di L. B. di B., figlio del marito della de cuius, il quale si proclamava unico erede della M.. In conseguenza di ciò, il 25/7/2016 S. proponeva ricorso ex art. 67 l. 218/1995 alla Corte di appello di Roma nei confronti di B. di B., per l’accertamento dei requisiti di riconoscibilità ai fini dell’efficacia esecutiva in Italia del provvedimento emesso dalla Corte della Florida in data 25/6/2015. Il convenuto allegava in giudizio di aver depositato presso un notaio un testamento olografo della M., redatto in data 22/7/2012 e pubblicato nel 2016.
In esito al giudizio, la Corte di appello di Roma ha premesso che il provvedimento della Corte della Florida ha natura contenziosa e definisce questioni successorie in senso pregiudizievole agli interessi di B. di B.. Statuisce poi che il relativo atto introduttivo avrebbe dovuto essere portato a conoscenza di quest’ultimo, quale controinteressato ai sensi della sezione 731.301 del Probate Code della Florida. La Corte ha concluso che, in base all'art. 64 lett. b) l. 218/1995, il provvedimento non possiede, perciò, i requisiti legislativi di riconoscibilità.
Ricorre in cassazione D. S. con due motivi, illustrati da memoria. Resiste B. di B. con controricorso, parimenti illustrato da memoria. Chiamato all’adunanza camerale del 20/5/2022, il ricorso è stato rimesso da Cass. 24796/2022 alla trattazione in udienza pubblica. Il 13/1/2023 M. S. e A. M. depositano atto di costituzione come nuovi rappresentanti del compendio ereditario, in sostituzione di S..
Motivi della decisione
1. – Il controricorrente eccepisce preliminarmente la nullità della procura speciale per il ricorso in cassazione, poiché «la stessa appare carente di traduzione in lingua italiana da parte di apposito esperto».
A sostegno, si allegano due precedenti di questa Corte, nei seguenti termini: «Invero, come da recente arresto di codesta Corte: “La procura speciale alle liti rilasciata all'estero […] è nulla, agli effetti dell'art. 12 l. 218/1995, relativo alla legge regolatrice del processo, ove non sia allegata la traduzione dell'attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l'attestazione che la firma sia stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'identità, vigendo pure per gli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto” (Cass. 11165/2015)». Il controricorrente coglie il fondamento di tale nullità in una pronuncia delle Sezioni Unite di poco anteriore (Cass. SU 26937/2013), che egli giustappone in sequenza logica alla prima pronuncia: «Infatti, gli atti prodromici al processo possono essere redatti non in lingua italiana, atteso che l'art. 122, co. 1 c.p.c., prescrivendone l'uso, si riferisce agli atti endoprocessuali e non anche a quelli prodromici, ma per questi ultimi vige il principio della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto».
Ne trae poi una conclusione per il caso presente, nel senso che:
«l'allegata procura alle liti notificata al sottoscritto procuratore in uno al ricorso, manca della traduzione in lingua italiana resa ed asseverata a mezzo di un esperto (e ciò anche relativamente alla dichiarazione del notaio attestante che la firma è stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l'esatta identità). Pertanto, a fronte di quanto emerge dagli atti notificati, la procura va dichiarata nulla con ogni consequenziale statuizione».
2. Al fine di pronunciarsi sull’eccezione, occorre innanzitutto precisarla nella sua portata, alla luce de: (a) l’intento difensivo del controricorrente; (b) il caso presente; (c) i precedenti giurisprudenziali che egli invoca a sostegno della propria posizione. In primo luogo, in relazione all’apostille il controricorrente si lamenta del difetto di traduzione, mentre in relazione alla procura speciale egli si lamenta non del difetto di traduzione (che vi è), ma del difetto della asseverazione di quest’ultima ad opera di un esperto. L’intento difensivo è di ottenere una pronuncia di absolutio ab instantia.
Quanto al caso di specie, si è dinanzi a una procura speciale in inglese, con traduzione in italiano a fronte, preceduta da apostille in lingua inglese, priva di traduzione (l’apostille è una formalità di autenticazione che conferisce ad un documento valore legale in tutti i paesi firmatA. della Convenzione dell'Aia del 1961, che abolì la legalizzazione di atti pubblici stranieri).
Quanto, infine, ai due brani giurisprudenziali citati a sostegno, essi devono interpretarsi, apprezzandone l’impatto decisorio sui correlativi casi di specie. Cass. 11165/2015 ha ad oggetto la dichiarazione di nullità di una procura rilasciata in lingua tedesca, integralmente priva di traduzioni, sia della procura stessa, che dell’attestazione dell’attività certificativa svolta dal notaio. Viceversa, la pronuncia delle Sezioni Unite 26937/2013, collocata dal controricorrente in sequenza logica, decide sì un caso simile, ma in modo opposto. Resa in sede di regolamento di giurisdizione con riferimento ad un’apostille rilasciata in lingua tedesca, tale pronuncia motiva in questi termini:
«Preliminarmente va disattesa l'eccezione di nullità della procura allegata dalla resistente LGT Bank in Liechtenstein A.G. al controricorso per cassazione. È, infatti, valida la procura alle liti conferita per atto pubblico rogato da notaio in un paese aderente alla convenzione dell'Aja 5 ottobre 1961, corredato dalla c.d. apostille, contestualmente autenticata, anche se non in lingua italiana. Ciò perché l’art. 122, co. 1 c.p.c., prescrivendone l'uso, si riferisce agli atti endoprocessuali e non anche a quelli prodromici, per i quali vige il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (Cass. 30035/2011; v. anche Cass. 27282/2008 in relazione all'apostille redatta su folio di allungamento)».
Pertanto, contrariamente a quanto mostra di ritenere il controricorrente, il principio della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto serve alle Sezioni Unite ad arginare l’impatto sulla validità di procure alle liti e di apostille rilasciate in lingue straniere della prescrizione d’impiego della lingua italiana nel processo (art. 122, co. 1 c.p.c.).
3. Conferma si desume dalla ricostruzione della catena dei due precedenti citati da Cass. SU 26937/2013, ricostruzione che si palesa utile per individuare il fondamento legislativo, il campo di applicazione e il contenuto specifico rilevante del principio della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto. Infatti, Cass. SU 26937/2013 enunciano il principio indicandone il campo di applicazione (atti prodromici al processo), ma non il contenuto. Quanto al fondamento legislativo, le Sezioni Unite si limitano ad escludere che esso sia l’art. 122 c.p.c. Infine rinviano senza ulteriori specificazioni, né distinzioni, a due precedenti, ai quali è giocoforza risalire. Mentre quello citato per secondo (Cass. 27282/2008) non svolge alcuna considerazione sulla traduzione a mezzo di esperto, utile è invece il primo precedente citato: Cass. 30035/2011.
Cass. 30035/2011 afferma: «La procura è stata regolarmente conferita per atto pubblico di notaio, in un paese aderente alla convenzione dell'Aja del 1961, corredato della cd. apostille, contestualmente autenticata (Cass. 2003/8867). Né può invocarsi il requisito della lingua italiana, riferibile agli atti endoprocessuali e non pure a quelli prodromici, per i quali vige invece il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (art. 123 c.p.c.: Cass. 12162/2004; Cass.13898/2003)».
Cass. 30035/2011 indica nell’art. 123 c.p.c. il fondamento legislativo del principio della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto. Secondo l’art. 123 c.p.c.: «Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore». La disposizione facoltizza (non obbliga) il giudice alla nomina del traduttore e quindi gli consente di farne a meno, se egli conosce la lingua straniera in questione. Tale facoltà è pacifica nella giurisprudenza in tema di documenti (cfr., tra le più recenti, Cass. 33079/2022), che così viene estesa de plano agli atti prodromici al processo, come il rilascio di procura alle liti e di correlativa apostille in lingua diversa dall’italiano.
L’estensione incontra una conferma sistematica, giacché il traduttore rientra fra gli ausiliari, esperti in una determinata arte o professione, da cui il giudice si può fare assistere per il «compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sé solo» (art. 68 c.p.c.).
In conclusione, il puro e semplice rinvio compiuto da Cass. SU 26937/2013 a Cass. 30035/2011 (che si richiama all’art. 123 c.p.c. e implicitamente all’art. 68 c.p.c.) assevera non solo il fondamento legislativo, ma anche il contenuto saliente (nei termini anzidetti) del principio della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto.
Ulteriori conferme specifiche si desumono dai due precedenti a cui Cass. 30035/2011 a sua volta rinvia, riportati di seguito. Secondo Cass. 12162/2004: «L'art. 122, co. 1 c.p.c., che prescrive l'uso della lingua italiana, si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non agli atti giuridici dei soggetti del processo che non hanno una influenza immediata nel rapporto processuale, anche se ad esso sono coordinati, né a quegli atti, quali la procura alle liti, che sono preparatori del processo ed ai quali può applicarsi, come ad ogni altro documento esibito, l'art. 123 c.p.c.».
Ancora più specificamente rilevante per la soluzione del presente caso di specie è il secondo precedente citato da Cass. 30035/2011, che costituisce altresì l'anello iniziale della catena. Afferma Cass. 13898/2003, in un caso di difetto di traduzione della procura rilasciata al rappresentante processuale della parte, alla quale la Corte equipara esplicitamente la procura alle liti: «Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che l'art. 122, co. 1 c.p.c., che prescrive l'uso della lingua italiana in tutto il processo, si riferisce agli atti processuali in senso proprio, ossia agli atti del processo, e non agli atti giuridici dei soggetti del processo che a quest'ultimo sono semplicemente coordinati o a quegli atti, come la procura alle liti, che sono preparatori dal processo, ai quali può invece applicarsi, come ad ogni altro documento esibito dalle parti, l’art. 123 c.p.c. (Cass. 8620/1996). A tale orientamento il collegio intende aderire, non senza evidenziare che […] l’onere dell'allegazione della traduzione, cui fa riferimento Cass. 10831/1994, richiamata dalla ricorrente incidentale, vale solo per il caso in cui la traduzione sia effettivamente necessaria, giacché la stessa nomina di un traduttore, ai sensi dell'art. 123 cit., costituisce per il giudice non un obbligo, bensì una facoltà discrezionale (esercitabile in relazione alle difficoltà di comprensione del testo in lingua straniera), il cui mancato esercizio non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. 4537/1990, 2217/1984, 1013/1982). E la Corte di appello ha ritenuto che la procura in questione, redatta in una lingua comunitaria, come l'inglese, fosse, appunto, di facile comprensibilità e non abbisognasse, quindi, di traduzione».
4. In sintesi, la ricostruzione della catena dei precedenti su cui si fonda la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26937/2013 consente di enunciare il seguente principio di diritto: «In materia di atti prodromici al processo (quali in particolare gli atti di conferimento di poteri a soggetti processuali: procura alle liti, nomina di rappresentanti processuali, autorizzazioni a stare in giudizio e correlative certificazioni), redatti in lingua diversa dall’italiano, discende dal principio della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto (art. 123 c.p.c.) che la contestuale produzione di traduzione in lingua italiana non integra requisito di validità dell’atto, laddove il giudice sia in grado di compiere da sé la traduzione».
Sulla base di tale principio di diritto, è rigettata l’eccezione di nullità della procura speciale al ricorso in cassazione. Si può passare così all’esame del merito dei motivi di ricorso.
5. Con il primo motivo si censura l'omesso esame circa un fatto decisivo, poiché «la Corte territoriale confonde il testamento dichiarato nullo dalla Corte americana […] con il testamento pubblicato dal convenuto solamente l’11/10/2016». Il ricorrente aggiunge che, prima della dichiarazione di B. di possedere un testamento olografo del 2012 della M., non vi era alcun indizio che potesse far ritenere che egli si sarebbe affermato erede. Pertanto, al tempo dello svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte della Florida, egli non aveva legittimazione a parteciparvi, cosicché non vi è vizio del contraddittorio.
Con il secondo motivo si ripropone sostanzialmente la stessa censura posta alla base del primo, colta sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Ad avviso del P.M. i motivi sono inammissibili poiché si fondano sulla censura di omesso esame circa un fatto non decisivo, cioè che la Corte di appello avrebbe confuso i due testamenti, quello dichiarato nullo e quello successivo depositato dal controricorrente, mentre diversa sarebbe la ratio decidendi, che si sostanzia nel difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di B. di B..
L’eccezione del P.M. non è fondata.
Le due affermazioni su cui la Corte di appello fonda la propria decisione sono le seguenti: (a) il provvedimento del 25/6/2015 della Corte della Florida pregiudica i diritti vantati da B. di B.; (b) di conseguenza, l’atto introduttivo del procedimento avrebbe dovuto essere notificato a quest’ultimo ai sensi del Chapter 731.301 del Probate Code della Florida. Pertanto, l’accertata lesione del contraddittorio (sub b) dipende logicamente dalla prima affermazione (sub a). A sua volta, il provvedimento della Corte della Florida pregiudica i diritti vantati da B. di B., se questi ultimi sono soggetti alla sua efficacia. Ma tali diritti sono soggetti alla efficacia del menzionato provvedimento, se (e solo se) il testamento dichiarato nullo dalla Corte della Florida altro non sia che il testamento depositato in Italia nel 2016 da B. di B.. Se non vi è identità tra il testamento dichiarato nullo in Florida e il testamento depositato in Italia cade tutto il ragionamento e quindi viene meno anche il vizio di difetto del contraddittorio.
In conclusione, i due motivi di ricorso che denunciano la confusione tra i due testamenti in cui sarebbe incorsa la Corte di appello di Roma colgono la ratio decidendi e sono ammissibili.
6. – Fondato è il primo motivo.
Sotto il titolo Notice (comunicazione, notificazione), il Chapter 731.301 del Probate Code della Florida, dispone: «(1) Se è necessario informare una persona interessata di una istanza o di un altro procedimento, la comunicazione deve essere fatta alla persona interessata o al suo avvocato […]. (3) Le persone che hanno ricevuto una notifica adeguata di un procedimento sono vincolate da tutti gli ordini emessi in tale procedimento». Secondo il precedente Chapter 731.201, rivolto alle definizioni, per «persona interessata» si intende «qualsiasi persona che può ragionevolmente prevedersi sia toccata dall'esito del particolare procedimento in questione».
Si tratta quindi di accertare se L. B. di B. sia qualificabile come «persona interessata» ai sensi del Chapter 731.201. In altri termini, si tratta di verificare se i soggetti processuali del procedimento americano, sulla base delle informazioni a loro disponibili al tempo dell’instaurazione di quest’ultimo, potessero ragionevolmente aspettarsi (to expect), cioè prevedere, che B. di B. potesse essere destinatario degli effetti del provvedimento da emanare.
Il quesito riceve risposta negativa, sol che si rammemori la scansione temporale degli eventi rilevanti, attestata in atti. La Corte della Florida emana il provvedimento il 25/6/2015, mentre solo quattro mesi e mezzo dopo gli avvocati di S. ricevono la dichiarazione con cui B. di B. si proclama erede. Inoltre, egli deposita il testamento nel 2016, ad oltre un anno di distanza dalla pronuncia della Corte della Florida. La formulazione di tale pretesa è un fatto sopravvenuto che non poteva essere ragionevolmente previsto al tempo del procedimento in Florida. Pertanto, il relativo atto introduttivo non è stato notificato a B. di B., né doveva esserlo.
In conclusione, la Corte di appello di Roma ha erroneamente disconosciuto l’esistenza della contestata condizione di riconoscimento del provvedimento, poiché ha inesattamente negato la sussistenza del presupposto sub b) ex art. 64 l. 218/1995, ovvero poiché ha errato nel constatare un vizio del contraddittorio. A sua volta, aggiungendo alla catena logica un ultimo anello – quello bersagliato dalla parte ricorrente – in tanto la Corte di appello ha potuto (erroneamente) suppore la violazione del contraddittorio, in quanto si è rappresentata l’idea che il testamento dichiarato nullo dalla Corte della Florida coincidesse con quello sul quale B. di B. fonda la sua pretesa. Errore che può ben qualificarsi come omesso esame di un fatto decisivo, cioè della sequenza temporale degli eventi rilevanti, che avrebbe dovuto condurre ad escludere la possibilità di una tale coincidenza.
Quand’anche infine si ritorni per un momento a riflettere sull’obiezione del P.M. (ed anche del controricorrente) che nel provvedimento impugnato non vi è alcun passaggio testuale dal quale si desuma univocamente che la Corte di appello abbia confuso tra i due testamenti, si deve replicare che non vi è nemmeno alcun appiglio testuale per negare che la Corte sia incorsa in tale confusione, a meno di non attribuirle la tesi che si debba sanzionare come vizio del contraddittorio processuale il verificarsi successivo di fatti imprevedibili al tempo del processo che avrebbero reso necessaria – alla stregua di una valutazione ora per allora – la partecipazione di altri soggetti. Se questo fosse il caso, ma si tratta per l’appunto di un ragionamento ipotetico, la motivazione sarebbe parimenti affetta da un vizio irriducibile.
In conclusione, è accolto il primo motivo, con conseguente assorbimento del secondo.
7. – L’argomentazione svolta nel paragrafo precedente comporta anche, come conseguenza ineludibile da tenere presente nel proseguimento della vicenda, che la pretesa di B. di B. non può essere in alcun modo coperta dall’efficacia del provvedimento americano, né quindi dall’accertamento positivo delle condizioni del suo riconoscimento in Italia ex art. 67 l. 218/1995. Non esplica alcuna rilevanza in contrario la conclusione della Corte della Florida che la M. è deceduta senza lasciare alcun testamento, poiché si tratta di una constatazione che è evidentemente ancorata al tempo del procedimento e ai documenti che era esigibile fossero ivi prodotti.
Per quanto attiene al giudizio di rinvio, la Corte di appello di Roma dovrà mantenersi fedele alla linea tracciata da Cass. SU 22663/2006, che hanno enunciato il principio di diritto secondo cui, nel giudizio di riconoscimento di sentenze straniere in Italia ai sensi dell’art. 67 l. 218/1995, la corte d'appello, attesa la natura ed i limiti di tale giudizio, deve limitarsi ad accertare, al fine di pronunciare il riconoscimento, la sussistenza dei soli requisiti per il riconoscimento automatico di cui all'art. 64 della legge citata, rimanendo estranea allo stesso giudizio, anche quale oggetto di accertamento solo incidentale, ogni altra questione di merito. In particolare, hanno affermato: «In siffatto procedimento, il controllo giudiziario viene ad assumere, con l'attuale normativa (contrariamente a quanto avveniva precedentemente, art. 796 c.p.c. ss. abrogati) una natura del tutto differente rispetto al passato e cioè puramente dichiarativa (Cass. 9247/2002), risolvendosi nel mero accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti perché l'atto straniero possa esplicare i propri effetti […]. Ne consegue che a maggior ragione con la nuova disciplina (come peraltro già avveniva con la precedente: Cass. 1301/1999) la corte di appello […] deve limitarsi ad accertare l'esistenza dei requisiti del riconoscimento, indicati nell’art. 64 l. 218 del 1995, non potendosi procedere né ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio dinanzi al giudice straniero, né ad accertamenti o statuizioni su questioni estranee al mero accertamento dei requisiti del riconoscimento».
Tale principio è integralmente da confermare pur dopo l’assoggettamento del procedimento ex art. 67 l. 218/1995 alla disciplina del rito sommario di cognizione ex art. 702-bis ss. c.p.c. (cfr. art. 67, co 1-bis cit., di rinvio all’art. 30 d.lgs. 150/2011).
8. Ne segue infine che l’accertamento dei requisiti di riconoscibilità ai fini della concessione dell’efficacia esecutiva in Italia del provvedimento emesso dalla Corte della Florida il 25/6/2015 non precluderà a B. di B. di far valere integralmente le sue ragioni in un distinto processo a cognizione piena, instaurato se del caso attraverso l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
9. – In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso e con l’assorbimento del secondo motivo, è cassato il provvedimento impugnato, la causa è rinviata alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa l’ordinanza impugnata, rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.