
Ribadisce la Cassazione: «lo stato mentale dell'imputato, quando già è stato valutato ai fini dell'applicazione della diminuente del vizio totale di mente, non può essere di nuovo assunto come elemento di giudizio per una ulteriore riduzione della misura della pena da infliggere in concreto, perché altrimenti verrebbe ad essere eluso il limite massimo di riduzione della pena per tale causa stabilito dalla legge».
La controversia trae origine dalla condanna dell'imputato a 12 anni di reclusione per il reato di cui all'
La condanna veniva parzialmente riformata in secondo grado e rideterminata in anni 9 e mesi 4 di reclusione per effetto della scriminante del vizio parziale di mente, che veniva riconosciuto a seguito di perizia solo nel giudizio di appello.
L'imputato ricorre in Cassazione deducendo l'erronea quantificazione della pena: a suo avviso, il Giudice del gravame aveva riproposto il calcolo del giudice di primo grado, applicando solo la diminuente per l'incapacità parziale derivante dalla perizia effettuata in appello, ma l'incapacità parziale avrebbe dovuto indurre anche a rivedere in melius la pena base.
Il motivo è infondato. In materia di diminuente del vizio parziale di mente, la Cassazione ribadisce che «lo stato mentale dell'imputato, quando è già stato valutato ai fini dell'applicazione della diminuente del vizio parziale di mente, non può essere di per sè di nuovo assunto come elemento di giudizio per una ulteriore riduzione della misura della pena da infliggere in concreto, perchè altrimenti verrebbe ad essere eluso il limite massimo di riduzione della pena per tale causa stabilito dalla legge».
Ne consegue il rigetto del ricorso con sentenza n. 28743 del 12 luglio 2023.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza (ud. 14 aprile 2023) 4 luglio 2023, n. 28743
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 11 settembre 2020 il Tribunale di Sassari, in rito abbreviato, ha condannato P.L. alla pena di 12 anni di reclusione per il reato dell'art. 424 cod. pen. perché aveva posizionato una bombola di gas da cucina di medie dimensioni davanti alla serranda di un garage posto all'interno di un condominio, tentando in un primo momento di collegare la valvola di apertura della bombola ad un tubo in gomma che aveva fatto passare sotto la serranda del garage, attraverso cui avrebbe dovuto introdurre il gas all'interno del garage determinando un'esplosione, e poi, una volta non riuscito in questo tentativo, aveva posizionato una lampada a gas da campeggio accesa che avrebbe dovuto fungere da innesco dell'esplosione non appena il gas fuoriuscito dalla bombola, miscelato con l'aria, avrebbe saturato l'ambiente del corridoio del garage del condominio. La consulenza effettuata nel corso del procedimento aveva stabilito che il comportamento avrebbe potuto determinare l'esplosione, un incendio e la compromissione delle parti rigide della struttura, rendendo instabile l'intero fabbricato.
Con sentenza del 23 maggio 2022 la Corte di appello di Sassari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, applicata la diminuente del vizio parziale di mente, ha rideterminato la pena in 9 anni e 4 mesi di reclusione.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di valutazione della responsabilità dell'imputato, perchè la consulenza ingegneristica sulla dinamica sarebbe inficiata dalla circostanza che il consulente non si è mai recato sui luoghi, inoltre non è mai stata misurata la quantità di gas contenuta nella bombola rinvenuta sul luogo, il tubo volto a canalizzare il gas all'interno del box è rimasto una mera ipotesi, non è stato considerato che la bomba è stata rinvenuta ancora calda; è più plausibile pensare che il surriscaldamento della bombola possa essere avvenuto a seguito del contatto con una fiamma importante, non quella di un accendino; è difficile sostenere il congegno predisposto fosse idoneo a determinare l'evento.
Con il secondo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria in punto di quantificazione della pena, perché il giudice di appello ha riproposto il calcolo del giudice di primo grado, applicando solo la diminuente per la incapacità parziale derivante dalla perizia effettuata in appello, ma l'incapacità parziale avrebbe dovuto indurre anche a rivedere in melius la pena base.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore generale della Cassazione, dr. P.G., ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Con nota di conclusioni scritte il difensore del ricorrente, avv. D.M., ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo, che censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è pervenuta al giudizio di responsabilità dell'imputato, è infondato.
In esso si deduce che la consulenza ingegneristica sulla dinamica sarebbe inficiata dalla circostanza che il consulente non si è mai recato sui luoghi.
L'argomento è infondato, in quanto la consulenza sulla dinamica ha avuto come oggetto la idoneità o meno della condotta a cagionare l'evento distruttivo; la tesi del consulente, condivisa dalla sentenza, è che "sarebbero bastati 1/3 o ½ della quantità della bombola per saturare l'aria di un locale quale il garage e determinare l'esplosione" e che "l'onda d'urto avrebbe compromesso tutte le parti rigide dell'edificio variando le condizioni di staticità e compromettendo gravemente pilastri e plinti di fondazione". In questo contesto l'argomento proposto in ricorso si rivela inidoneo a disarticolare il percorso logico della sentenza impugnata, perché non è illogico che i giudici del merito abbiano ritenuto di condividere le conclusioni della consulenza, che sono fondate su operazioni matematiche (in punto di quantità di gas contenuto nella bombola e metratura del locale) ed apprezzamento tecnico di planimetrie e disegni (sul posizionamento del garage rispetto al fabbricato), e di ritenere non decisiva, a tali fini, la osservazione diretta dei luoghi.
Nel motivo si sostiene ancora che non è mai stata misurata la quantità di gas contenuta nella bombola rinvenuta sul luogo, che in astratto avrebbe potuto essere vuota. L'argomento non è fondato perché in contrasto con i dati del processo quali risultano dalla sentenza impugnata, da cui emerge che l'odore di gas fu avvertito distintamente da tutti coloro che arrivarono sulla scena.
Nel motivo si sostiene ancora che il tubo volto a canalizzare il gas all'interno del box è rimasto una mera ipotesi, e che non è stato considerato che la bombola è stata rinvenuta ancora calda, e sarebbe più plausibile pensare che il surriscaldamento della bombola possa essere avvenuto a seguito del contatto con una fiamma più importante di quella di un accendino, talchè è difficile sostenere il congegno predisposto fosse idoneo a determinare l'evento.
Questa ulteriore doglianza mossa dal ricorrente si risolve in una ricostruzione alternativa delle evidenze probatorie, che di per sé non è apprezzabile in sede di legittimità (Sez. 2, Sentenza n. 9106 del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. 3, Sentenza n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; Sez. 2, n. 29480 del 07/02/2017, Cammarata, Rv. 270519). Nel giudizio di legittimità, infatti, il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova è molto ristretto, perchè non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata data esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell'interpretazione dei risultati probatori. Nel caso in esame, il ricorrente censura come profili di illogicità della motivazione quelle che sono in realtà conclusioni cui è pervenuto il giudice del merito sulla base della valutazione del materiale probatorio a sua disposizione.
2. Il secondo motivo è dedicato alla parte della motivazione in cui è stata quantificata la pena inflitta all'imputato.
In esso si deduce che il giudice di appello, pur disponendo di un elemento in più, non noto al giudice di primo grado, ovvero la valutazione di parziale incapacità di intendere e di volere effettuata dal perito nominato nel giudizio di appello, ha confermato il calcolo della pena del giudice di primo grado, limitandosi ad applicare ad esso la diminuzione per la incapacità parziale; in ricorso si sostiene, invece, che il giudizio di incapacità parziale avrebbe dovuto indurre anche a rivedere in melius la pena base.
Il motivo è infondato.
Il giudice di primo grado aveva indicato come pena base quella di anni 18 di reclusione ed aveva motivato in modo esplicito sulle ragioni per cui aveva ritenuto di discostarsi dal minimo edittale, evidenziando la "particolare gravità della condotta", ovvero una motivazione che attiene al fatto ed al giudizio di pericolosità dello stesso. Una motivazione di questo tipo, non afferendo alla personalità del soggetto, non è condizionata dal giudizio di incapacità parziale che si è aggiunto in appello, con cui la stessa non entra in contraddizione.
Va anche considerato che un vecchio orientamento di legittimità, con considerazioni che possono essere ritenute ancora attuali, non essendo mutato il quadro normativo di riferimento, aveva evidenziato che "lo stato mentale dell'imputato, quando è già stato valutato ai fini dell'applicazione della diminuente del vizio parziale di mente, non può essere di per sè di nuovo assunto come elemento di giudizio per una ulteriore riduzione della misura della pena da infliggere in concreto, perchè altrimenti verrebbe ad essere eluso il limite massimo di riduzione della pena per tale causa stabilito dalla legge (Sez. 1, Ordinanza n. 2355 del 03/12/1971, dep. 1972, Cretella, Rv. 121028).
In definitiva, il ricorso è infondato.
2. Ai sensi dell'art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.