La Cassazione afferma che il consenso del minore che abbia compiuto i 14 anni può validamente sopravvenire nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto, integrando un requisito del diritto dell'azione riguardante la legittimazione che il giudice deve verificare al momento della decisione.
Il Tribunale di Cassino aveva dichiarato che l'attuale ricorrente era padre naturale dell'odierna controricorrente, condannando il medesimo al versamento di una somma a titolo di regresso nei confronti della madre, di altra somma verso la figlia a titolo di risarcimento del danno nonché di un contributo mensile in favore della madre per il mantenimento della figlia.
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Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 747/2019 del 4 giugno 2019 il Tribunale di Cassino dichiarava che E. M. era il padre naturale di B. D. M., nata il (omissis), condannava E. M. a versare a R.M. D. M. la somma di € 26.000,00 a titolo di regresso, e a B.D. M. la somma di € 41.490,00 a titolo di risarcimento del danno, poneva a carico di E.M. e in favore di R.M.D. M. un contributo mensile di € 500,00 per il mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese straordinarie, condannando, altresì, E. M. alla rifusione delle spese di lite e di consulenza tecnica d'ufficio.
2. Con sentenza n.3961/2021, pubblicata il 31-5-2021, la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello proposto da E. M. avverso la citata sentenza del Tribunale, ha ridotto il contributo mensile a carico di E. M. per il mantenimento della figlia B. D. M. alla somma di € 250,00, con decorrenza dalla data dell’appello, confermando nel resto l’impugnata sentenza. La Corte d’appello ha ritenuto che: i) il consenso della minore fosse stato formalmente raccolto dal giudice in udienza, come risultava dal verbale del giudizio di primo grado, in cui all’udienza di prima comparizione del 23 febbraio 2016 si diede atto “che è presente altresì la figlia minorenne D. M. B. (omissis) la quale espressamente presta il consenso affinché venga proseguita la presente vertenza finalizzata al riconoscimento della paternità del sig. E. M.”; il suddetto verbale venne sottoscritto dalla ragazza, all’epoca diciassettenne, e quindi ormai prossima a raggiungere la maggiore età e dotata di sufficiente maturità da essere consapevole del significato delle sue dichiarazioni; inoltre B. D. M. si era costituita nel giudizio di appello, chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della sentenza di accertamento della paternità, mentre nel giudizio di primo grado aveva solo rilasciato una procura speciale allo stesso difensore della madre; ii) le contestazioni circa le modalità di svolgimento delle operazioni peritali, integranti eccezioni di nullità e disciplinate dagli artt. 156 e 157 cod. proc. civ., non fossero state sollevate nella prima difesa utile successiva al deposito della relazione (udienza del 24 maggio 2017), sicché risultava sanata ogni ipotesi di nullità, essendosi, peraltro, svolte le operazioni peritali alla presenza dei consulenti delle parti, che non avevano formulato osservazioni ai sensi dell’art. 195 cod. proc. civ.; iii) fossero infondate le doglianze sull’intrinseca inattendibilità delle indagini genetiche, poiché dalla relazione del consulente era risultato che “L’accertamento medico-legale è avvenuto mediante prelievo da brush buccale di cellule di sfaldamento dalle pareti della cavità orale, della lingua e nella saliva dei summenzionati periziandi, utilizzando appositi tamponi”, alla presenza dei consulenti di parte; considerata la discordanza nel marcatore D1S656 (ma non anche negli altri 14), come previsto dalle linee guida le indagini erano state estese ad altri tre marcatori e, all’esito complessivo delle analisi molecolari, era stata accertata la paternità di E. M. con una probabilità statistica pari al 99,99787146%, quindi qualificabile in termini di certezza; iv) in ordine al contributo di mantenimento per la figlia, mancasse la prova dell’indipendenza economica della ragazza, non potendo ciò desumersi dalle sue pubblicazioni sul social network “Linkedin”, in cui dichiarava di svolgere l’attività di “commessa presso Z. s.r.l.”, e dal fatto che ella avesse trascorso delle vacanze in località italiane ed europee, e tuttavia la misura del contributo a carico del padre dovesse ridursi a €250,00 mensili dalla data dell’appello, stante la limitata capacità reddituale della figlia, comunque inserita nel mondo del lavoro; v) in ordine alla liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, non fosse contestato dall’appellante il criterio - condivisibile - adottato dal Tribunale per operare una liquidazione equitativa sulla base di parametri quanto più possibile oggettivi, non risultasse in alcun modo provato il nesso causale tra la mancanza di rapporti padre- figlia e il trasferimento di questa con la madre in Brasile ed invece fosse dimostrato che E. M. non aveva mai inteso assumere il ruolo di padre, per non avere egli mai stabilito alcun tipo di rapporto con la figlia, neppure minimale, nonostante avesse sempre saputo della nascita di questa e della probabilità che egli ne fosse il padre, al punto da erogare, per alcuni anni, una qualche forma di contribuzione al suo mantenimento.
3. Avverso questa sentenza E. M.ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, resistito con controricorso da B. D.M. e da R. M. D. M..
4. Il ricorso è stato fissato per l'adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Il ricorrente denuncia: a) con il primo motivo la «nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c.», per avere la Corte di merito ritenuto, in maniera irriducibilmente contraddittoria ed erronea, validamente raccolto il consenso della figlia minore in udienza e sanata ex post nel giudizio d’appello l’omessa sua formale costituzione in giudizio avanti al Tribunale mediante comparsa di intervento nei modi e nelle forme previste dall’art. 267 cod. proc. civ., così disattendendo l’eccezione di difetto della condizione di procedibilità dell’azione, sollevata in maniera specifica sia in primo che in secondo grado, nonché per avere la Corte territoriale omesso di procedere all’audizione della ragazza e di dichiarare l’interruzione del processo allorquando quest’ultima, nel corso del giudizio di primo grado, era divenuta maggiorenne, senza tuttavia intervenire, né costituirsi in primo grado; b) con il secondo motivo la «violazione e/o falsa applicazione di norma di diritto e in particolare dell’art. 116 c.p.c., 1176, 2043, 2236 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 », per avere la Corte d’appello attribuito alla consulenza tecnica una rilevanza probatoria decisiva, pur in presenza di discordanza nel marcatore (omissis) e pur in presenza di prove documentali relative al prelevamento dei campioni boccali eseguito dall’ex consulente di parte dell’odierno ricorrente, che, in violazione di ogni precetto deontologico e morale, aveva assunto l’incarico di c.t.p. delle D.M., sostituendosi al c.t.u. nelle procedure di acquisizione dei tamponi e dei campioni “brush buccale”, nonché per non avere la Corte di merito disposto la rinnovazione della CTU con esami ematici e per non avere la Corte territoriale tenuto conto ex art.116 cod. proc. civ. dell’opposizione della controparte alla richiesta rinnovazione; c) con il terzo motivo la « nullità della sentenza per violazione di legge e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell'art. 2697 c.c. e degli artt. 147, 148 e 155 quinquies c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, - contestuale insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, i n.5 c.p.c. » per avere Corte d’appello erroneamente ritenuto che fosse onere del genitore appellante fornire la prova documentale dell'attività lavorativa svolta dalla figlia e la percezione dei redditi in misura sufficiente al suo mantenimento, con motivazione anche illogica, e in violazione del principio di non contestazione; d) con il quarto motivo la « nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per violazione dell’ art. 132, co. 2, n. 4 c.p.c.», per avere la Corte di merito, con motivazione illogica, ritenuto provata la perdita del rapporto parentale in base a semplici presunzioni, senza alcuna dimostrazione effettiva e concreta del danno endo- familiare, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ..
2. Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
2.1. Secondo la prevalente ed oramai consolidata giurisprudenza di legittimità, alla quale si intende dare continuità, il consenso ex art. 273 cod. civ. ha natura processuale e si configura quale condizione dell’azione (in questi sensi, Cass. 10131/2005; Cass. 2572/1999; Cass. 4982/1995; Cass. 2576/1993). Pertanto il consenso del minore che abbia compiuto i quattordici anni può validamente sopravvenire nel corso del giudizio, anche dopo che ne sia stato eccepito il difetto, integrando esso un requisito del diritto di azione attinente alla legittimazione, del quale il giudice deve verificare la sussistenza al momento della decisione (Cass. 5291/2000; Cass. 4982/1995; Cass. 9277/1994; Cass.7761/1990; in fattispecie particolare, Cass. 2572/1999); ne consegue che la prestazione del consenso del minore, ancorché sopravvenuta, non comporta alcuna nullità dell’attività istruttoria svolta in precedenza. E’ stato altresì precisato, per quanto ora di interesse, che il difetto di consenso toglie pienezza alla legittimazione processuale del genitore (pur senza neutralizzarla, come nel caso del raggiungimento della maggiore età) e si traduce in un ostacolo all'esame del merito della domanda (Cass. n. 1771/1988). Tale difetto, che comporta l’improcedibilità della domanda, può essere accertato anche d'ufficio dal giudice con una pronuncia meramente processuale (Cass. n. 3721/1998; Cass. n. 2970/1993).
In altre parole, dunque, il consenso del figlio che ha compiuto gli anni quattordici di età, necessario per promuovere o proseguire l'azione, è configurabile come un requisito del diritto di azione, integratore della legittimazione ad agire del genitore, sostituto processuale del figlio minorenne, la cui mancanza verifica una situazione di improponibilità o d'improseguibilità dell'azione (a seconda che l’età in questione sia stata raggiunta prima della notificazione della citazione introduttiva ovvero in corso di causa), la quale toglie pienezza alla legittimazione processuale del genitore, senza, peraltro, neutralizzarla, come nel caso di raggiungimento della maggiore età, ed è rilevabile anche d’ufficio. Quindi, detto consenso può sopravvenire in qualsiasi momento ed è necessario che sussista al momento della decisione; in mancanza, il giudice deve dichiarare anche d'ufficio l'improcedibilità del giudizio e non può pronunciare nel merito, fermo restando che il consenso non può ritenersi validamente prestato dal quattordicenne fuori dal processo, né può essere desunto da fatti o comportamenti estranei ad esso (così da ultimo Cass.472/2023).
2.2. Ora, nel caso di specie, la Corte d’appello si è attenuta ai suesposti principi, ritenendo valido il consenso prestato in udienza dalla minore, quando aveva 17 anni, nel corso del giudizio di primo grado. La Corte di merito ha, altresì, rilevato che la figlia si era costituita in appello e ha congruamente motivato anche sulla validità della dichiarazione prestata dalla stessa in primo grado.
Per contro, la censura non coglie nel segno nella parte in cui svolge generiche considerazioni sull’invalidità del consenso, senza compiutamente precisarne le ragioni in modo pertinente rispetto ai principi di diritto suindicati, a fronte di un percorso motivazionale, sul punto, chiaro, logico e pienamente comprensibile, fondato anche sul richiamo alla giurisprudenza di questa Corte sopra citata.
Neppure è fondato il profilo di doglianza sulla mancata interruzione del processo di primo grado, allorquando la figlia era divenuta maggiorenne. Anche a tale riguardo la Corte d’appello si è attenuta ai principi affermati da questa Corte e condivisi dal Collegio, secondo cui «il raggiungimento della maggiore età nel corso del processo non sfugge alla regola generale di cui all’art. 300 cod. proc. civ., ai sensi della quale l’evento interruttivo deve essere dichiarato in udienza dal procuratore della parte o notificato alle altre parti, e in mancanza il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si fosse verificato; principio che dispiega i suoi effetti solo nell’ambito della fase processuale in corso, dal momento che ai fini della proposizione dell’impugnazione o della sua notificazione deve aversi riguardo ai soggetti effettivamente legittimati, anche qualora il raggiungimento della maggiore età sia intervenuto nel corso del giudizio di primo grado e non sia stato dichiarato né notificato» (così Cass. 23189/2018).
Ad ogni buon conto, e per quanto occorra, anche ove erroneamente non fosse stata dichiarata l’interruzione del processo in primo grado, non rientrando tale nullità fra i casi nei quali il giudice di appello deve rimettere la causa al primo giudice (artt. 353 e 354 cod. proc. civ.), il giudice d’appello, in virtù del principio della conversione dei vizi della sentenza di primo grado in motivi di gravame, avrebbe dovuto trattenere la causa in decisione e giudicare nel merito, il che è avvenuto nel caso di specie, avendo la figlia ritualmente partecipato al giudizio d’appello.
3. Il secondo motivo è inammissibile.
La censura non si confronta affatto con la motivazione della sentenza impugnata circa la tardività della contestazione della C.T.U., affermata, mediante chiara e puntuale esplicitazione delle relative ragioni, dalla Corte d’appello, e detto assunto, non confutato, si ribadisce, in ricorso, è dirimente. In ogni caso, la censura è diretta a criticare valutazioni meritali sugli esiti peritali, compiutamente esaminati dalla Corte di merito, anche in ordine alla discordanza di un marcatore.
Parimenti inammissibile è il richiamo alla violazione dell’art.116 cod. proc. civ., denunciata in relazione al comportamento processuale delle odierne controricorrenti, in quanto si erano opposte alla rinnovazione della C.T.U., sia perché detto comportamento non è affatto equiparabile, come pare sostenersi in ricorso, a quello di chi si rifiuta di sottoporsi agli esami genetici (e la figlia necessariamente vi si era sottoposta), sia perché la doglianza si risolve, ancora una volta, in un’impropria sollecitazione del riesame di elementi istruttori, sui quali i giudici di merito hanno espresso il loro motivato convincimento, rimarcando che la paternità dell’odierno ricorrente era stata accertata con una probabilità statistica pari al 99,99787146%, e quindi qualificabile in termini di certezza, e che non vi era, pertanto, alcuna necessità di ripetere le indagini genetiche, in considerazione della correttezza delle metodologie adottate e del loro esito.
4. Il terzo motivo è fondato nei termini che si vanno ad illustrare.
4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte a cui il Collegio intende dare continuità, l’obbligazione di mantenimento si collega allo status genitoriale ed assume pari decorrenza, ossia dalla nascita del figlio. Ne consegue che la decisione del giudice relativa al diritto al mantenimento del figlio non ha effetti costitutivi, ma meramente dichiarativi di un diritto che, nell’an, è direttamente connesso allo status genitoriale (così Cass. 4224/2021). Ne consegue ulteriormente che l’obbligo di mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età (Cass. 5088/2018; Cass. 7168/2016) e tuttavia la cessazione di detto obbligo deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell'avente diritto.
Secondo il più recente orientamento di questa Corte che il Collegio condivide, incombe sul figlio maggiorenne l’onere di provare la sua non autosufficienza economica, alla stregua dei parametri di cui si è detto (da ultimo Cass.27904/2021 e Cass. 29264/2022). Dunque, spetta al figlio, divenuto maggiorenne (o al genitore convivente), fornire la prova non solo della mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso- ma anche quella di aver curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale e tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro ( cfr. anche Cass. 29779/2020), e ciò in base al principio generale di auto-responsabilità.
4.2. La Corte d’appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi, poiché ha affermato la permanenza dell’obbligo di contribuzione, seppure in misura ridotta, da parte del padre, dando atto, nel contempo, che era stata la figlia a non aver fatto chiarezza circa l’attività da lei effettivamente svolta e circa le risorse economiche di cui disponeva e che, in ogni caso, le consentivano di trascorrere vacanze in località italiane ed europee, ed ha così attribuito al padre l’onere di dimostrare l’autosufficienza economica della figlia.
5. Il quarto motivo è inammissibile.
La censura sulla sussistenza e sulla quantificazione del danno endo- parentale è generica e non esprime una critica compiuta e pertinente al decisum. I giudici di merito, con idonea motivazione, non solo hanno ritenuto dimostrato, indicando gli elementi istruttori a supporto, che il padre non si era mai voluto occupare della figlia, ma anche che non aveva contestato il criterio, oggettivo, di quantificazione del danno adottato dal Tribunale, e rispetto a tale percorso argomentativo la doglianza non si confronta.
6. In conclusione, va rigettato il primo motivo di ricorso e vanno dichiarati inammissibili i motivi secondo e quarto; merita accoglimento il terzo motivo, nel senso precisato, la sentenza impugnata va cassata nei limiti del motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili i motivi secondo e quarto; accoglie il terzo motivo, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.