Il dies a quo per il calcolo del termine triennale ex art. 80, comma 10-bis, del D.Lgs. n. 50/2016 è ancorato al momento in cui gli elementi informativi a disposizione della stazione appaltante siano adeguati alla percezione del fatto ed all'apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente.
- per tipologie di reati tassativamente enucleati nell'art. 80, comma 1, lettere da a) a g), commessi da soggetti apicali, l'esclusione è disposta, ferma la possibilità del self cleaning, in via automatica, ma subordinata alla definitività dell'accertamento penale.
- in ogni altro caso, ex art. 80, comma 5, lettera c), l'esclusione non è ancorata alla pronuncia del giudice penale, ma è il frutto di un'autonoma valutazione ampiamente discrezionale della stazione appaltante, la quale dimostri l'incidenza concreta della gravità del fatto sull'integrità o affidabilità del concorrente.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza (ud. 16 febbraio 2023) 5 luglio 2023, n. 6584
Svolgimento del processo
1.- Con determina a contrarre del 18 giugno 2021, la Società Gestione Impianti Nucleari – S. S.p.A. indiceva una procedura negoziata ex artt. 62 e 134 del d.lgs. n. 50/2016 per l’affidamento dei lavori di “progettazione esecutiva ed esecuzione delle attività di demolizione parziale edificio turbina presso la Centrale di (omissis) (omissis)”, per un importo pari a € 2.948.508,35, da aggiudicare con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Alla procedura prendeva parte, con domanda di partecipazione del 13 luglio 2021, il costituendo raggruppamento temporaneo di imprese composto dalla mandataria D. Costruzioni Stradali S.r.l. e dalla mandante F. Italia S.r.l., il quale – all’esito della complessiva acquisizione delle domande e della valutazione comparativa, sotto il profilo tecnico ed economico, delle offerte formulate – risultava collocato in prima posizione nella graduatoria provvisoria stilata dalla Commissione di gara; sicché, con nota con nota del 27 luglio 2021, la stazione appaltante gli comunicava l’aggiudicazione dell’appalto.
In occasione della verifica dei requisiti, emergeva, tuttavia, a carico del Sig. -omissis- (procuratore speciale con carica di direttore generale della F. Italia S.r.l.) una condanna a due mesi e venti giorni di reclusione per il reato di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in autorizzazioni amministrative ex art. 477 c.p., accertata con sentenza irrevocabile del 17 dicembre 2018.
La condanna traeva origine dalla condotta con la quale il ridetto -omissis-, nella sua funzione di legale rappresentante della A. S.r.l., aveva redatto un falso Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC), con lo scopo di ottenere l’autorizzazione al subappalto per l’esecuzione di lavori pubblici. Era, con ciò, accertato che il -omissis- non solo aveva radicalmente omesso il versamento dei contributi previdenziali dovuti, ma aveva, altresì, artificiosamente redatto un falso documento di regolarità contributiva a firma del responsabile dello sportello unico previdenziale con lo scopo di trarre in errore l’impresa appaltatrice.
A fronte di ciò, con nota del 14 settembre 2021, la stazione appaltante, al dichiarato fine di porre in essere le valutazioni di cui all’art. 80, comma 7 del d. lgs. n. 50 /2016, richiedeva alla società la documentazione volta a provare di aver risarcito o di essersi impegnata a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito nonché di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale, idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti.
All’esito della interlocuzione, ritenuta insoddisfacente, S. S.p.a. – sulla valorizzata omissione dichiarativa, ritenuta rilevante ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c) del d. lgs. n. 50 cit. in quanto idonea ad influenzare il proprio processo valutativo – disponeva, con determina in data 21 ottobre 2021, l’esclusione dalla procedura del raggruppamento aggiudicatario.
2.- Avverso tale determinazione, il raggruppamento D. Costruzioni Stradali s.r.l. insorgeva, con ricorso proposto dinanzi al TAR per Piemonte, il quale – con sentenza in forma semplificata, resa nel contraddittorio delle parti, n. 1108 del 2 dicembre 2021, lo accoglieva, sull’argomentato ed assorbente assunto che “il termine di tre anni di cui al comma 10-bis [fosse] applicabile agli illeciti professionali contrattuali e alle condanne superiori ai tre anni stessi, mentre laddove la durata della condanna comminata [fosse] inferiore ai tre anni non [avrebbe potuto] che applicarsi il criterio del primo periodo del citato comma 10-bis, che impone[va] una esclusione pari alla durata della pena dal passaggio in giudicato della sentenza”.
3.- La decisione era appellata, con rituale ricorso dinanzi al Consiglio di Stato, da S. S.p.a., la quale si doleva, in particolare, che il primo giudice avesse inteso arbitrariamente circoscrivere il termine di rilevanza escludente delle sentenze di condanna passate in giudicato, rapportandolo alla durata della pena comminata, anziché al periodo triennale indicato all’art. 80, comma 10-bis del Codice.
Con ordinanza n. 883 del 25 febbraio 2022, resa inter partes all’esito della fase cautelare, il Consiglio di Stato accoglieva l’istanza di inibitoria della efficacia della sentenza, sul presupposto che “l’appello presenta[sse] sufficienti elementi di fondatezza, nel senso che l’omessa dichiarazione, da parte del legale rappresentante dell’operatore economico concorrente, di una sentenza di condanna, passata in giudicato, per il reato di falsità materiale in autorizzazioni amministrative ex art. 477 c.p. […] assume[sse] comunque rilievo, indipendentemente dalla misura del trattamento edittale e della condanna irrogata, nell’ordinario termine triennale di cui alla lett. c) art. cit.”, fissando la trattazione nel merito della causa all’udienza pubblica del 29 settembre 2022.
4.- Medio tempore, la stazione appaltante, dopo aver attivato il contraddittorio con la società appellata, procedeva alla rinnovazione delle operazioni di valutazione e, con provvedimento del 2 maggio 2022, disponeva nuovamente l’esclusione di F. Italia S.r.l. dalla procedura, “per non aver quest’ultima dichiarato […] la commissione di un reato di falsità materiale da parte di un procuratore speciale e direttore generale dell’impresa, nonché, in sede di chiarimenti richiesti dalla Stazione Appaltante, per non aver documentato l’adozione di misure di self cleaning atte a dimostrare la completa dissociazione di quest’ultima dalla condotta penalmente rilevante non dichiarata”.
5.- Con ricorso dinanzi al TAR Piemonte, la società impugnava il nuovo provvedimento di esclusione, criticamente valorizzando l’asserita irrilevanza del precedente penale (il quale, attenendo a fatti risalenti all’anno 2008, non sarebbe ricaduto nel limite temporale triennale considerato dall’art. 80, comma 10-bis del d.lgs. n. 50/2016) e lamentando che la condanna definitivamente accertata, lungi dal determinare l’automatico effetto espulsivo prodotto, avrebbe richiesto una specifica e motivata valutazione della stazione appaltante in ordine all’integrità ed affidabilità del concorrente.
6.- Con sentenza n. 706/2022 il TAR accoglieva il ricorso, in ragione della ritenuta sussistenza di un difetto di motivazione, peraltro dichiaratamente esimendosi dalla sollecitata decisione in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 80, comma 10-bis del Codice, sul presupposto che la questione avrebbe costituito “necessariamente oggetto della decisione di merito già fissata in appello per l’udienza di settembre 2022”.
Con sentenza n. 8867 del 18 ottobre 2022, tuttavia, il Consiglio di Stato dichiarava l’improcedibilità dell’appello avverso la pronuncia n. 1108/2021, sul presupposto che “l’originario provvedimento di esclusione [fosse] superato dal rinnovato esercizio del potere da parte di S. S.p.A., frutto di autonoma rivalutazione dei fatti di causa ed oggetto della nuova sentenza del TAR, avverso la quale risulta[va]no pendenti i termini di impugnazione e sulla quale si concentra[va]no gli attuali termini della controversia”.
7.- A fronte di ciò, con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, S. s.p.a. impugnava la sentenza n. 706/2022, lamentando:
a) omessa pronunzia in ordine alla questione inerente la corretta individuazione del dies a quo per il calcolo del triennio di rilevanza ex art. 80, comma 10-bis del Codice;
b) error in judicando, relativamente alla ritenuta insufficienza del supporto giustificativo valorizzato ai fini della misura espulsiva, asseritamente corretto ed adeguato.
8.- Si costituiva in giudizio, per resistere al gravame, F. Italia S.r.l., la quale, a sua volta, proponeva appello incidentale, con il quale lamentava, in particolare:
a) che, erroneamente omettendo di pronunziarsi sui valorizzati profili di rilevanza temporale dell’illecito professionale a proprio carico, la decisione impugnata avesse trascurato di considerare che – come vanamente dedotto, con eccezione rimasta assorbita e, come tale, formalmente riproposta in via di critica devoluzione – l’arco temporale di riferimento per la valorizzazione della causa di esclusione avrebbe dovuto considerare, anche indipendentemente dalla contrastata fissazione del dies a quo, il momento della effettiva valutazione operata dalla stazione appaltante (e non, come era accaduto, la data, di per sé non rilevante, della presentazione dell’offerta): sicché – ancorando l’apprezzamento di rilevanza dell’illecito a tale dies ad quem – si sarebbe dovuto comechessia considerare superato il preclusivo periodo triennale;
b) che in ogni caso, ed in via logicamente gradata, il relativo dies a quo avrebbe dovuto essere ancorato alla data di commissione del fatto (o – comunque e a tutto concedere – alla positiva emergenza di fatti processuali apprezzabili, quali la richiesta di rinvio a giudizio, l’emissione di misure cautelari o già la pronunzia di sentenza non definitiva) e non certo, come asserito, dalla data di passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
9.- Nel rituale contraddittorio delle parti, alla pubblica udienza del 16 febbraio 2023, la causa veniva riservata per la decisione.
Motivi della decisione
1.- È fondato l’appello incidentale e, di conserva, infondato l’appello principale.
2.- Vale in premessa osservare – anche ai liminari fini di una ordinata e puntuale perimetrazione delle questioni sottoposte al vaglio del Collegio – che i due gravami risultano convergenti nella denunzia di omessa pronuncia sulla questione, correttamente individuata quale “dirimente” e “pregiudiziale”, relativa alla esatta individuazione del dies a quo per il calcolo del termine triennale di rilevanza, ex art. 80, comma 10-bis del d. lgs. n. 50/2016, dei fatti di matrice penale concretanti, all’esito della valutazione rimessa alla stazione appaltante, illeciti professionali a potenziale attitudine escludente.
Il contrasto tra le parti sul punto si incentra, in effetti, sul divergente apprezzamento dell’ancoraggio temporale del “fatto rilevante”, che:
a) da una parte (nella prospettiva dell’appellante principale) si vorrebbe correlato, quanto meno per ragioni di obiettiva certezza, alla data di passaggio in giudicato della sentenza del giudice penale che ne avesse, incontrovertibilmente, accertato la commissione;
b) dall’altra parte (nella prospettiva dell’appellante incidentale) si auspica riferito – di là dalla distinta questione inerente il correlativo limite temporale ad quem, che va acquisita come logicamente gradata – al momento della commissione del fatto (storico) imputato o, al più, a quello della obiettiva emergenza del fatto (processuale) idoneo ad attivarne la potenziale attitudine qualificatoria, ad excludendum.
3.- Osserva il Collegio che, in realtà, la decisione impugnata non ha mancato di acquisire, nei suoi corretti se pur controversi termini, la censura sollevata (dando, per giunta, atto del suo carattere effettivamente “dirimente”, ai fini dello scrutinio della legittimità del contestato provvedimento di esclusione, “in quanto concernente l’an della possibile valutazione di rilevanza”), ma ha, nondimeno, dichiaratamente ritenuto “più corretto” esimersi dal relativo scrutinio, nella concorrente considerazione: a) della parallela pendenza di due similari contenziosi tra le medesime parti, idonei a prefigurare profili di “possibile litispendenza”; b) della riscontrata mancanza, sul punto, di “un univoco orientamento del giudice d’appello”, peraltro concretamente chiamato – dopo aver orientato, con la misura cautelare inibitoria di cui in narrativa, l’operato conformativo della stazione appaltante, senza prendere posizione in proposito – alla definitiva valutazione nel merito, all’esito del proposto gravame.
Su tale premessa – postulando, con assunzione logica meramente ipotetica e senza pregiudizio per un difforme intendimento di seconde cure, che il triennio de quo dovesse farsi decorrere dal giudicato, trattandosi in effetti dell’unico caso nel quale la condanna oggetto di contestazione avrebbe potuto assumere astratto rilievo per la procedura per cui è causa – il primo giudice si è soffermato sulla (assorbente) illegittimità della (specifica) valutazione di rilevanza operata dalla stazione appaltante, che ha ritenuto (comunque) illegittima, sul riscontrato difetto di idoneo supporto motivazionale.
4.- Non si tratta perciò, come importa puntualizzare, di omessa pronuncia (concretante, come tale, violazione del principio di “corrispondenza tra il chiesto e pronunciato”, che impone al giudice di “pronunciare su tutta la domanda”, ancorché “non oltre i limiti di essa”: cfr. art. 112, comma 1 cod. proc. civ., applicabile – in quanto “principio generale” – anche nel processo amministrativo, ex art. 39, comma 1, nonché 1, comma 1 cod. proc. amm.), ma propriamente di assorbimento della relativa questione, sia pure singolarmente argomentato in ragione di una sorta di deliberata ‘messa tra parentesi’, in attesa della pronunzia di seconde cure (di fatto, peraltro, non intervenuta in ragione della dichiarata improcedibilità del gravame, di cui si è detto in fatto).
Comechessia, peraltro, il (convergente) approccio critico delle parti – inteso alla devoluzione reiterativa della questione, ex art. 101, comma 2 cod. proc. amm., con marcata valorizzazione della relativa priorità, sia sul piano logico che sul piano dell’ordinata articolazione censoria – ne impone al Collegio una liminare disamina.
5.- Ciò posto, il problema della rilevanza temporale, in termini di illecito professionale ad attitudine escludente, dei fatti oggetto di accertamento in sede penale è oggetto di orientamenti non omogenei, in certa misura dovuti, secondo si dirà, al malcerto dato positivo di riferimento.
In premessa, l’art. 80, comma 5 lettera c) del d.lgs. n. 50/2016, nella formulazione vigente ratione temporis, prevede – nel novero delle “situazioni” in presenza delle quali la stazione appaltante è, pur senza automatismo, abilitata ad escludere i concorrenti dalla partecipazione alla procedura d’appalto – la circostanza che “l’operatore economico si [sia] reso colpevole di gravi illeciti professionali”.
La formula linguistica, ad ampio spettro denotativo, non chiarisce la generica nozione di “illecito professionale”, ma non è dubbio – vuoi alla luce della ratio della norma, vuoi anche nel sintomatico confronto con le ulteriori e coocorrenti fattispecie escludenti, che conferiscono articolato e complessivo rilievo a comportamenti illeciti di rilievo meramente civilistico o amministrativo – che la stessa includa senz’altro i fatti di rilevanza penale, in quanto tipicamente suscettibili di incidere (laddove connotati da un adeguato grado di gravità) sulla “integrità” e sulla “affidabilità” dell’operatore economico.
Se ne trae, comunque, positiva ed espressa conferma dall’art. 80, comma 7, che – nel legittimare il concorrente alla allegazione e dimostrazione di comportamenti orientati al ravvedimento operoso, intesi al risarcimento (de praeterito) dei danni eventualmente cagionati ed alla programmatica prevenzione (de futuro) di analoghe occasioni di illecito: c.d. self cleaning – richiama non solo le “situazioni di cui al comma 1” (riferite a specifiche tipologie delittuose, definitivamente accertate a carico dei soggetti ‘apicali’ individuati al comma 3), ma anche, per l’appunto, quelle di cui al “comma 5”, che includono, genericamente, ipotesi di commissione di “reati”.
Peraltro, il successivo comma 10 si occupa di individuare, sotto il profilo temporale, il limite della “durata della esclusione dalla procedura di appalto o di concessione”, espressamente ancorandolo, con scandita graduazione (e con chiaro riguardo alle ipotesi di reato automaticamente escludenti, di cui al comma 1) alla (necessaria) “sentenza penale di condanna definitiva”: a tal fine integrato (con riguardo alle ipotesi di trattamento edittale inferiore ai sette o cinque anni) dal primo periodo del successivo comma 10 bis (all’uopo inserito, nell’originario ordito codicistico, dall’art. 1 del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito in l. n. 55/2019, con effetto dal 18 giugno 2019).
Con non impeccabile tecnica normativa (verisimilmente imputabile al carattere estemporaneo dell’intervento correttivo, sollecitato da una circostanziata contestazione formale della Commissione europea), il secondo periodo del comma 10 bis si riferisce – ad analogo fine – ai (residui) “casi di cui al comma 5”, peraltro complessivamente disomogenei e, comunque, non riferiti ai soli illeciti di matrice penale, stabilendo: a) che, in tal caso, “la durata della esclusione è pari a tre anni”; b) che (trattandosi di situazioni che, per quanto chiarito, non postulano, di necessità, il definitivo accertamento con sentenza passata in giudicato), nella (eventuale) pendenza di un “giudizio”, la stazione appaltante sia tenuta a “tenere conto [del] fatto” ai fini della “propria valutazione”, quale “presupposto per escludere dalla partecipazione alla procedura l’operatore economico che l’abbia commesso” (comma 10 bis, terzo periodo).
In ogni caso, il secondo periodo – ponendo ed aspirando a risolvere il (decisivo) profilo del (necessario) ancoraggio temporale del (così quantificato) termine “di durata” dell’illecito – precisa che lo stesso decorra “dalla data di adozione del provvedimento amministrativo di esclusione” ovvero, “in caso di contestazione in giudizio”, dalla “data di passaggio in giudicato della sentenza”.
Nei termini in cui risulta formulata, la disposizione – di cui resta perspicuo l’obiettivo di fondo – risulta obiettivamente imprecisa e, soprattutto, incompleta (il che rende, quanto meno in parte, ragione delle perduranti oscillazioni esegetiche della giurisprudenza, sulla questione in esame, che traggono alimento dalla sua equivocità): con ogni evidenza, si riferisce (esclusivamente) alle situazioni (a loro volta potenzialmente) escludenti mediate da un “provvedimento amministrativo” che abbia sancito una precedente “esclusione” dalla gara, sicché il successivo riferimento al “giudizio” in cui lo stesso sia oggetto di “contestazione” ed alla “sentenza” atta a definirlo non potrà che riferirsi al giudizio (di impugnazione del provvedimento) dinanzi al giudice amministrativo.
Non interessano, beninteso, le (molteplici) questioni prospettate dalla norma: importa, tuttavia, osservare e puntualizzare che il legislatore:
a) ha (incontrovertibilmente) scandito in termini generali (recependo peraltro, come subito si dirà, vincolante indicazione di fonte eurocomune), la durata triennale del fatto escludente;
b) ha omesso (fatta salva l’ipotesi, non rilevante, di esclusione ex actu) di fissare il relativo dies a quo (solo implicitamente ancorando, tra l’altro, il correlativo dies ad quem, al momento della “valutazione” rimessa alla stazione appaltante).
Omissione seria e grave, come è chiaro, dacché una misura temporale dilatoria, destinata ad operare tractu temporis non può, per definizione, prescindere da un riferimento cronologico puntuale, che ne marchi (e, appunto, definisca) il momento iniziale (e finale).
6.- È nel (non defettibile) tentativo di colmare, su adeguate basi positive, la evidenziata lacuna che la giurisprudenza – come, in verità, ha ben avvertito il primo giudice – si è divisa, volta a volta optando:
a) per il riferimento (in certo modo indotto da una lettura ‘estensiva’ del secondo periodo del comma 5, non disgiunto da una assimilazione alle ipotesi di cui al comma 10) al “passaggio in giudicato della sentenza di condanna” (in tal senso, tra le molte: Cons Stato, sez. III,1giugno 2021, n. 4201; Id., sez. IV, 5 agosto 2020, n. 4937; Id., sez. V, 29 ottobre 2020, n. 6635);
b) per l’aggancio momento di “pubblicazione della sentenza, ancorché non definitiva”, che “accerti”, nella sede sua propria, la rilevanza penale del fatto (in tal senso, per es. T.A.R. Campania – Napoli, Sez. II, n. 731/2021);
c) per il richiamo a qualunque, obiettiva “vicenda” processuale (e.g. richiesta di rinvio a giudizio, adozione di misure cautelari et similia), in grado di “dare evidenza”, sia pure non definitiva, al “fatto imputato” (per es.: Cons. Stato, sez. III, 2 febbraio 2021, n. 958);
d) per il (più garantistico) riferimento al “fatto [storico] commesso”, in asserita linea con l’articolo 57, § 7, della direttiva 2014/24/UE (cfr., per es., Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2022, n. 575).
Tra fatto commesso, fatto imputato e fatto a vario titolo accertato l’oscillazione si giustifica, in definitiva, in virtù della incerta base normativa del riferimento.
7.- Ciò posto, il Collegio opina che giovi, nella disamina, procedere con un ragionamento per esclusione. All’esito di tale ragionamento, risulterà che non sussistono i presupposti né per la rimessione della questione interpretativa alla Corte di giustizia né per il deferimento alla Adunanza plenaria.
In effetti, deve senz’altro escludersi che possa farsi capo al momento del passaggio in giudicato della sentenza che accerti la commissione del fatto in sede penale, dovendo accogliersi, sul punto, l’appello incidentale e, reciprocamente, respingersi quello principale.
Come si è osservato, invero, il d. lgs. n. 50/2016, adeguandosi sul punto alle indicazioni della direttiva 2014/24/UE, conferisce rilievo agli illeciti di natura penale secondo due diverse modalità:
a) quando si tratti (profilo oggettivo) di reati rientranti nel catalogo (da riguardarsi quale tassativo) di cui all’art. 80, comma 1, lettere da a) a g), in quanto commessi (profilo soggettivo) dai soggetti individuati (in guisa parimenti tassativa) dall’art. 80, comma 3 (complessivamente rientranti nel novero dei cc.dd. apicali), l’esclusione è disposta – ferma la possibilità del self cleaning, ove la pena detentiva non superi i 18 mesi o sia stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione (cfr. art. 80, comma 7) – in via automatica (cfr. art. 80, comma 1, secondo cui la circostanza “costituisce motivo di esclusione”, senza altra valutazione), ma è subordinata alla definitività dell’accertamento (richiedendosi alternativamente la “condanna con sentenza definitiva”, il “decreto penale di condanna divenuto irrevocabile” ovvero la “sentenza di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale”): in tal caso l’interdizione all’accesso alle procedure evidenziali opera, con criterio di gradualità, per il tempo definito all’art. 80, comma 10 e comma 10 bis, primo periodo;
b) in ogni altro caso (che, per quanto chiarito supra, rientra nella fattispecie generale dell’art. 80, comma 5, lettera c) l’esclusione non è recta via ancorata alla pronunzia del giudice penale, ma è il frutto di una autonoma valutazione (ampiamente discrezionale) della stazione appaltante, che “dimostri con mezzi adeguati” (e ciò anche “nel tempo occorrente alla definizione del giudizio”: cfr. art. 80, comma 10 bis, terzo periodo) l’incidenza del fatto (in quanto ritenuto “grave”) sui requisiti di moralità dell’operatore economico che se ne sia reso colpevole, sì da rendere “dubbia la sua integrità o affidabilità).
Appare, perciò, chiaro che il giudicato penale rappresenta elemento (tipizzante) della fattispecie escludente di cui all’art. 80, comma 1, ma non è elemento costitutivo dell’illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), sicché tra le due fattispecie non sussiste alcuna sovrapposizione. Nel secondo caso, è piuttosto la (pendenza) di un processo (o di un procedimento) penale ad integrare, nella valorizzata chiave indiziaria, un (rilevante) elemento di valutazione rimesso alla stazione appaltante.
In definitiva, l’illecito professionale (ancorché, per ipotesi, emerso nell’ambito di un processo penale) costituisce fattispecie del tutto distinta, la quale non presuppone la configurabilità di un reato, né l’accertamento definitivo di una condotta (essendo, di nuovo, sufficiente la dimostrazione “con mezzi adeguati” in sede evidenziale), né un grado di certezza nella valutazione (essendo necessario, ma anche sufficiente che la stazione appaltante “dubiti” dell’affidabilità dell’impresa).
L’illecito professionale, quindi, configura strumento di anticipazione della tutela della posizione contrattuale della committente pubblica rispetto ai possibili rischi di inaffidabilità dell’operatore, ed opera, quindi, a prescindere da un eventuale accertamento definitivo in sede penale (che può anche non sussistere).
Ed è questa la ragione per la quale, proprio per l’ampio spettro operativo che lo caratterizza, il legislatore (europeo e nazionale) ha inteso limitare (sia pure con la considerata ambiguità) l’ambito temporale di rilevanza, circoscritto al triennio: trattandosi, invero, di fattispecie “aperta” e non tipizzata (a differenza del comma 1), è stata avvertita l’esigenza di definire il limite oltre il quale una determinata vicenda occorsa non può costituire elemento tale da rendere “dubbia” l’affidabilità dell’impresa, scongiurando in tal modo anche l’eccessiva (sproporzionata e irragionevole) estensione dei correlati obblighi dichiarativi posti in capo al concorrente.
Ne discende – se, come va ribadito, il presupposto operativo dell’illecito non coincide con la sentenza, dalla quale può, in ogni caso, prescindere (arg. ancora ex art. 80, comma 10 bis, terzo periodo, che si riferisce espressamente ad una situazione di mera pendenza del giudizio) – non si palesa congruo ancorare il decorso del termine di rilevanza oggettiva dell’illecito alla (eventuale) pronuncia con efficacia di giudicato, che nulla aggiungerebbe di per sé, se non in termini di mero rafforzamento sul piano probatorio, alla valutazione (autonoma ed anticipata) della stazione appaltante.
Occorre, in altri termini, dare coerenza alla prospettiva del legislatore: se l’attivazione della causa di esclusione è possibile anche prima (e perfino indipendentemente) di una sentenza di accertamento definitivo del reato (a differenza delle ipotesi di cui all’art. 80, comma 1), allora è giocoforza desumerne che alla stazione appaltante non tanto non sia (negativamente) preclusa, ma sia piuttosto (positivamente) imposta – allorquando si debba ritenere che gli elementi informativi a sua disposizione siano “adeguati” alla percezione del fatto ed all’apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente – una delibazione dell’illecito ad excludendum. Sicché far decorrere il limite temporale di rilevanza del fatto (che è, in sé, anche limite ragionevole all’esercizio della facoltà di estromissione) dall’esito del processo penale (piuttosto che dal momento della sua percezione o percepibilità, sulla base di ogni elemento indiziario) appare non solo intrinsecamente contraddittorio, ma anche, in definitiva, contrario al dato normativo, così complessivamente ricostruito.
Con più lungo discorso, tenuto conto della possibilità di ricavare l’illecito professionale anche da accertamenti interinali o esterni all’eventuale processo penale (per esempio, da una richiesta di rinvio a giudizio o dalla emanazione di misure cautelari), ancorare al giudicato penale il decorso del termine triennale di rilevanza determinerebbe l’effetto (paradossale) di estendere a dismisura la valenza dello stesso, anche ben oltre l’effetto di un eventuale giudicato penale.
Una tale interpretazione è quindi certamente inammissibile, determinando un effetto “moltiplicatore” della valenza temporale dell’illecito (che ricomincerebbe a decorrere in occasione di ogni accertamento successivo in sede penale, fino al passaggio in giudicato), in palese contrasto con l’art. 57 della direttiva, e in violazione dei fondamentali principi di proporzionalità e ragionevolezza.
Il caso di specie, del resto, è emblematico: la vicenda idonea a prefigurare l’illecito professionale risale all’anno 2008 ed è stata oggetto di plurimi accertamenti in sede giurisdizionale (con sentenza del Tribunale di Matera in data 23 dicembre 2013 e con sentenza confermativa della Corte di Appello di Potenza del 16 ottobre 2017): sicché qualora, come vorrebbe l’appellante principale, il termine triennale dovesse farsi (nuovamente!) decorrere dal passaggio in giudicato dell’ultima sentenza (anno 2018), la vicenda assumerebbe valenza, al fine della partecipazione alle procedure di gara, per un periodo superiore a quattordici anni, pur essendo stata in concreto oggetto di plurimi, concordi e ben conoscibili accertamenti.
8.- Se così è – una volta esclusa, in ogni caso, la possibilità di ancorare il termine triennale al passaggio in giudicato della sentenza penale – non è necessario, ai fini della risoluzione della presente controversia, indugiare sulle evidenziate alternative esegetiche (e, segnatamente, sulla residua possibilità di alternativo ancoraggio temporale al fatto storico o al fatto processuale che, in quanto obiettivamente acquisibile, valesse ad attivare l’onere di apprezzamento della stazione appaltante).
Infatti, quale che sia la soluzione preferibile (in ordine alla quale è, solo per mera e sistematica completezza di argomentazione, lecito soggiungere che l’opzione privilegiata dal nuovo Codice dei contratti pubblici, approvato con d. lgs. 31 marzo 2023, n. 36 – peraltro inapplicabile alle procedure assoggettate ratione temporis al regime ultrattivo di cui al d. lgs. n. 50/2016: cfr. art. 226, comma 2 – è, pur nel contesto di una più articolata formulazione delle cause escludenti automatiche o non, fondamentalmente ispirata, nelle situazioni in cui conti il fatto penale non automatico, al rilievo del fatto processuale quale adeguato mezzo di prova: cfr. art. 98, comma 6 lettere g) e h), in relazione al comma 3 e all’art. 95, comma 1 lettera e) – essa non incide sull’esito della lite, che è determinato (nella corretta prospettiva dell’appello incidentale) dalla circostanza che il termine triennale deve ritenersi in ogni caso decorso, sia con riferimento al fatto commesso (risalente al 2008), sia con riferimento al fatto imputato ed accertato, ancorché non definitivamente (2013). Il che rende, come anticipato, non solo non utile il deferimento alla Adunanza plenaria, ma anche irrilevante (nei termini in cui è stata, per l’eventualità, prospettata, la rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
9.- Tutto ciò considerato, la sentenza appellata merita – con diversa motivazione, indotta dall’accoglimento, negli argomentati sensi, dell’appello incidentale e dalla correlativa reiezione dell’appello principale – di essere confermata, laddove ha annullato, sia pure per distinto ed assorbito profilo, l’estromissione dalla procedura evidenziale del raggruppamento temporaneo di imprese di cui è parte F. Italia S.r.l.,
10.- Sussistono, in ragione della obiettiva peculiarità della vicenda, non disgiunta dalle perduranti incertezze in ordine alle questioni esaminate, giustificati motivi per disporre, per il doppio grado di giudizio, l’integrale compensazione, tra le parti costituite, di spese e competenze di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, accoglie, nei sensi di cui in motivazione, l’appello incidentale e respinge l’appello principale e, per l’effetto, conferma, con diversa motivazione, la sentenza impugnata.
Spese del doppio grado compensate.