Pur non esercitando funzioni giudiziarie in senso tipico, il CTU svolge una pubblica funzione nell'interesse generale della giustizia, rispondendo penalmente, disciplinarmente e civilmente dell'attività prestata.
Svolgimento del processo
1. La Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da A. F. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città, la quale aveva, a sua volta e con condanna alle spese del grado, rigettato la domanda risarcitoria proposta da A. F. nei confronti di G. M. per pretesa responsabilità professionale di quest’ultimo nello svolgimento di attività di ausiliare del giudice svolta in altro giudizio di danni da sinistro stradale avvenuto in data 9.02.2000. L’attore F. aveva imputato, in particolare, al convenuto CTU di aver erroneamente escluso il nesso di causalità tra il trauma subìto nell’incidente ed alcune lesioni (vescica neurologica e osteoarticolare della spalla), riconoscendo così un danno inferiore rispetto a quello effettivamente riportato.
2. Avverso la sentenza di appello, A. F. propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi. G. M. ha resistito con controricorso. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente ha depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 64 c.p.c. e 1218 e 2043 c.c. laddove la Corte d’appello ha escluso la sussistenza della responsabilità del CTU per aver ritenuto inesistente il nesso causale tra le conclusioni del perito e la decisione assunta dal giudice di merito, nonostante quest’ultimo le avesse condivise motivatamente, facendole proprie, così interrompendo il legame eziologico tra la condotta del consulente ed il danno lamentato “in smaccato contrasto con l’art. 64 c.p.c.” (pag. 10 ricorso).
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. laddove la Corte d’appello ha omesso di valutare il merito delle censure sollevate dall’odierno ricorrente, in base all’errato presupposto che dette censure si risolverebbero, di fatto, in un illegittimo tentativo di sovvertire l’esito delle pronunce emesse dai Giudici nel corso del giudizio merito nel quale la consulenza del resistente è stata espletata.
3. Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. omesso esame di un fatto decisivo sotto il profilo del vizio motivazionale laddove la Corte d’appello ha considerato preclusa in linea di principio la censurabilità dell’operato del consulente.
4. I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati per motivi di evidente connessione, attenendo entrambi alla medesima censura avente ad oggetto la pretesa responsabilità dell’ausiliario: e sono inammissibili sia con riferimento ai vizi di violazione di legge paventati, sia per il preteso omesso esame di fatto decisivo.
Nel caso in esame, la Corte d’appello ha motivato e indicato le ragioni e le fonti del proprio convincimento ove ha testualmente affermato che: «non risulta che, nel giudizio di danni da incidente stradale, l’autorità giudiziaria abbia fatto proprie, in modo acritico le conclusioni del CTU. Diversamente, l’operato del consulente è stato ampiamente valutato in quella che era la sede propria per la verifica ed, in caso di vizi formali, carenze nell’indagine o motivazione incongrue, per i chiarimenti o la rinnovazione degli accertamenti tecnici, con la sostituzione del professionista» (pagg. 1 e 2 della sentenza impugnata).
Il ricorrente insiste ancora, nell’odierno giudizio, nel sostenere che i giudici di merito si sono basati su una erronea CTU e continua a non considerare la ratio decidendi della decisione della Corte di merito, che, condividendo le argomentazioni della sentenza di prime cure, ha formulato motivata adesione alle considerazioni poste dall’ausiliario alla CTU, anche nel rigetto delle critiche ad essa mosse, in tal modo facendo consapevolmente propri tutti i passaggi argomentativi a sostegno della sua successiva decisione.
In proposito, in termini generali, giova richiamare quanto questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo, e cioè che il C.T.U., pur non esercitando funzioni giudiziarie in senso tipico, svolge nell’ambito del processo una pubblica funzione quale ausiliare del giudice nell’interesse generale e superiore della giustizia, rispondendo penalmente, disciplinarmente e civilmente della prestata attività, con obbligo di risarcire il danno cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio (v. Cass. 08/10/2019 n. 25022, Cass 18/9/2015, n. 18313; Cass., 5/8/2010, n. 18170; Cass., 8/5/2008, n. 11229. E già Cass., 25/5/1973, n. 1545).
In termini particolari, va evidenziato che la Corte d’appello si è posta in linea con l’ulteriore principio affermato da questa Corte, che anche se risalente, va qui condiviso e ribadito, secondo cui la diligenza nell’esecuzione delle indagini affidategli, costituendo (a norma degli artt. 64 e 193 cod. proc. civ.) un preciso, quanto ovvio, obbligo del consulente, rappresenta soltanto il presupposto necessario affinché il parere dell’ausiliario sia meritevole della considerazione del giudice, che, pertanto, non è dispensato dal dovere di valutare l’intrinseca attendibilità del parere stesso in rapporto alle specifiche censure contro di esso formulate dalla parte interessata (Cass. Sez. L, 15/06/1981 n. 3897, pronuncia richiamata anche dalla sentenza appellata).
Ebbene, nella fattispecie esaminata, può concludersi che l’adesione, effettiva e raggiunta all’esito di un riesame critico del tutto idoneo alla consapevole appropriazione dei passaggi giustificativi delle proprie conclusioni, della Corte territoriale a quelle del consulente d’ufficio elide il nesso rispetto ad eventuali errori commessi dall’ausiliario nel compimento delle indagini affidategli.
I tre motivi, quindi, in modo inammissibile non si confrontano con tale univoca e corretta ratio decidendi.
5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese vengono liquidate secondo il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
L’inammissibilità del ricorso comporta la dichiarazione di sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P.Q M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere il pagamento delle spese processuali in favore di della parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 6.400,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.