Svolgimento del processo
1. Con l'ordinanza indicata nel preambolo la Corte di appello di Bologna, in accoglimento della richiesta avanzata dal Procuratore generale, ha revocato, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, legge 241 del 2006, il beneficio dell'indulto concesso a G. G. con i provvedimenti indicati ai numeri 7), 9) e 10) del casellario giudiziale.
A ragione osserva che il condannato ha commesso, entro il termine di cinque anni dalla entrata in vigore della legge citata, i delitti non colposi accertati con la sentenza numero 1344/2020, emessa il 25 febbraio 2020 dalla Corte d'appello di Bologna (n. 16 del casellario), che ha condannato G. alla pena di 3 anni e 2 mesi di reclusione per vari delitti di bancarotta e in materia tributaria, commessi negli anni 2006, 2007 e 2010.
Ha aggiunto che nessun rilievo può essere attribuito al provvedimento con cui il Tribunale di Sorveglianza, relativamente alla parte di pena non condonata oggetto delle sentenze di cui ai punti 7) e 10) del certificato del casellario, aveva dichiarato l'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale ex art.47 Ord. pen., "con la conseguente estinzione della pena detentiva e di ogni altro effetto penale della condanna inflitta a G. con la sentenza della Corte di Appello di Napoli di cui al n. 10) del casellario".
La decisione del Tribunale di Sorveglianza non ha cancellato tutti gli effetti della sentenza di condanna, ma ha prodotto solo l'estinzione della pena. La revoca dell'indulto per la parte di pena condonata e la conseguente esecuzione della stessa non rientrano nel novero degli effetti penali estinti. L'affidamento in prova al servizio sociale, infatti, costituisce una misura alternativa alla detenzione che incide sulla pena ma non ha effetti sostanziali sul fatto-reato accertato. L'esito dell'affidamento in prova non esplica influenza alcuna sul reato accertato nella sua dimensione sostanziale.
In ogni caso, la pronuncia del Tribunale di Sorveglianza ha riguardato solamente una porzione di pena di cui alle sentenze 7) e 10) dichiarata estinta per indulto non la pena di cui alla sentenza sub 9), cui non possono essere estese le argomentazioni della difesa.
2. Ricorre G., per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico motivo con cui denuncia erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 47 Ord. pen., 1 e seg. della legge n. 241/06 e 674 cod. proc. pen.
Lamenta che il giudice dell'esecuzione abbia erroneamente revocato il beneficio concessogli, quanto meno in relazione alle condanne di cui ai numeri 7) e 10) del certificato penale in atti, pur trattandosi di condanne per le quali è stato concesso a suo tempo l'affidamento in prova che ha avuto esito positivo nel 2018. In tal modo, l'ordinanza impugnata si è ingiustificatamente discostata dal principio fisato dalle Sezioni Unite n. 5859 del 27.10.2011 in forza del quale
«l'estinzione di ogni effetto penale prevista dall'art. 47, comma 12, Ord. Pen., in conseguenza dell'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, comporta che della relativa condanna non possa tenersi conto agli effetti della recidiva». Per le stesse ragioni, infatti, deve ritersi non suscettibile di revoca l'indulto rispetto ad una condanna che, per la parte residua, sia stata dichiarata estinta con il buon esito della misura alternativa. Diversamente, si assisterebbe ad una ripresa sanzionatoria rispetto ad un titolo completamente cancellato ed estinto in base alla decisione del Tribunale di Sorveglianza che si riferisce espressamente non alla pena, ma all'intera condanna quanto ad effetto estintivo, pregiudicandosi così la rieducazione del condannato già verificata come intervenuta dall'organo deputato a farlo.
D'altra parte, i fatti reato posti a fondamento dei due titoli legittimanti la disposta revoca sono stati commessi in anni antecedenti rispetto alla sottoposizione di G. alla misura alternativa indicata e alla sua esecuzione con esito pienamente positivo cui sono conseguiti gli effetti estintivi.
Una diversa interpretazione sarebbe contraria al principio costituzionale in base al quale la pena deve tendere alla rieducazione del condannato. Si finirebbe, infatti, per sanzionare un soggetto per fatti precedenti alla sua verificata rieducazione.
La revoca dell'indulto, concesso rispetto a pene parzialmente estinte per esito positivo dell'affidamento, costituirebbe, inoltre, una palese violazione del principio di ragionevolezza perché fondata su un meccanismo automatico che non tiene conto di quanto medio tempore può essere occorso per via della tempistica dei processi e delle condanne
La Corte di appello avrebbe dovuto interpretare l'art. 1 della legge n. 241 del 2006 in maniera costituzionalmente orientata oppure rimettere la questione alla Corte costituzionale per verificare la tenuta della norma ove interpretata nel senso di imporre la revoca dell'indulto, anche se concesso rispetto a pene residue estinte per effetto della misura alternativa di cui all'art. 47 Ord. pen. senza che il soggetto abbia ulteriormente violato alcuna norma penale.
3. Con memoria tempestivamente trasmessa, la difesa di G. ha ribadito la fondatezza delle censure esposte dedotte nel ricorso in replica alle osservazioni del Procuratore generale.
Motivi della decisione
L'impugnazione non è fondata.
1. Sostiene il ricorrente che la revoca delle pene indultate sarebbe preclusa se inflitte con sentenze di condanna almeno in parte scontate in affidamento in prova al servizio sociale con esito positivo per le medesime argomentazioni poste a fondamento della pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in tema di rapporti tra estinzione degli effetti penali ex art. 47, dodicesimo comma, Ord. pen. per esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale e recidiva (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, Marcianò, Rv. 251688, "L'estinzione di ogni effetto penale determinata dall'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale comporta che delle relative condanne non possa tenersi conto agli effetti della recidiva").
Come già precisato da questa Corte di legittimità nella sentenza Sez. 1, n. 50685 del 2019 n.m., siffatta prospettazione è erronea perché non tiene conto della natura della verifica compiuta dal giudice in relazione alla maturazione delle condizioni di fatto dimostrative del positivo esperimento della prova all'esito dell'affidamento.
Quel che unicamente rileva ai fini della revoca dell'indulto ex art. 1, comma 3, legge n. 241 del 2006, è che, nel periodo stabilito dalla norma, ossia nel quinquennio dalla sua entrata in vigore, chi ha usufruito del beneficio o dovrebbe usufruirne abbia commesso un delitto non colposo per il quale abbia riportato condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
Per tale ragione, la revoca dell'indulto è prevista ex lege come obbligatoria ed automatica, con l'effetto, fra l'altro, che la sua operatività legittima il pubblico ministero a porre direttamente in esecuzione la pena coperta dalla misura di favore caducata, sempre che, allo stesso tempo, richieda al competente giudice dell'esecuzione di pronunciare, nelle forme previste, la declaratoria di cui all'art. 674 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 23419 del 09/04/2015, Attanasio, Rv. 263966, in fattispecie relativa a revoca dell'indulto in conseguenza della commissione da parte del beneficiario di reati nel quinquennio successivo alla data di entrata in vigore della legge n. 241 del 2006; Sez. 1, n. 23457 del 24/01/2011, Ianni, Rv. 250419). Per altro verso, la sentenza di condanna, ove sia prevista quale causa di revoca del beneficio dell'indulto già concesso, ne impedisce ancor prima l'applicazione (Sez. 1, n. 15462 del 31/03/2010, Jonini, Rv. 246842).
In questa prospettiva, quindi, non possono spiegare effetto le vicende inerenti alla fase esecutiva della pena che caratterizzano l'affidamento in prova, intervenute dopo il verificarsi della causa di revoca, ostativa de iure all'applicazione dell'indulto.
1.2. Nei rapporti tra estinzione della pena per esito positivo dell'affidamento in prova e indulto trovano, pertanto, applicazione i medesimi principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento ai rapporti tra revoca della sospensione condizionale della pena e pena estinta per esito positivo dell'affidamento in prova.
Anche dopo la pronuncia a Sezioni unite richiamata nel ricorso è rimasto fermo l'orientamento ermeneutico secondo cui, qualora il condannato commetta nel quinquennio altro delitto per il quale venga irrogata una condanna a pena detentiva, l'eventuale estinzione della pena e di ogni altro effetto penale di detta condanna, conseguente all'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, non preclude la revoca di diritto del beneficio, ai sensi dell'art. 168, primo comma, n. 1, cod. pen., fondata sull'accertamento del reato e sulla condanna esitati dalla medesima pronuncia.
Si è considerato che l'affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 Ord. pen. costituisce una misura alternativa alla detenzione che incide sulla pena, a prescindere dall'accentuazione dell'una o dell'altra delle sue funzioni (misura sospensiva dell'esecuzione della pena medesima e sanzione alternativa alla detenzione, con contenuto in ogni caso afflittivo), sicché esso non ha effetti sostanziali sul fatto-reato. Con esso il giudice impone al condannato determinate regole di condotta affidandolo al servizio sociale, così fissando i termini e le modalità della prova, soltanto all'esito del positivo svolgimento della quale - esito eventuale e subordinato a una serie di verifiche - l'art 47 cit. ricollega l'estinzione della pena e di ogni altro effetto penale.
L'esito dell'affidamento in prova non esplica, quindi, alcuna influenza sulla revoca della sospensione condizionale, atteso che, a mente dell'art. 168, primo comma, n. 1, cod. pen., quest'ultima si determina ape legis, per il solo fatto dell'essersi verificata la condicio iuris costituita dalla sentenza di condanna divenuta irrevocabile accertativa del delitto commesso nel quinquennio dalla precedente condanna, condizionalmente sospesa. Questa condicio è, pertanto, operante con forza espansiva diretta e con effetto ex tunc in funzione della revoca della sospensione dell'esecuzione della pena precedentemente concessa, al di là dei possibili esiti, anche favorevoli, che dovessero derivare in fase di esecuzione della pena: ciò, in quanto l'effetto si produce con il giudicato sulla decisione che accerta il fatto storico integrante la causa di revoca (Sez. 1, n. 39748 del 22/04/2016, Gallo, Rv. 268067; per riflessioni, per quanto di ragione, consonanti. Sez. 1, n. 32428 del 04/05/2016, Sirage, Rv. 267479, la quale ha affermato che il giudice dell'esecuzione può revocare, nel diverso caso regolato dall'art. 168, ultimo comma, cod. pen., la sospensione condizionale della pena concessa, in violazione dell'art. 164, secondo comma, n. l, cod. pen., in favore dell'imputato che aveva riportato una precedente condanna per un delitto a pena detentiva, anche nel caso in cui, in relazione a tale condanna, sia intervenuta declaratoria di estinzione della pena e di ogni altro effetto penale, ai sensi dell'art. 47 Ord. pen., a seguito dell'esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale, cui il condannato medesimo sia stato ammesso, evidenziando che la declaratoria di estinzione di ogni effetto penale della condanna non potrebbe eliminare il vizio genetico che ha determinato la concessione del beneficio).
3. La questione di costituzionalità dell'art. 1 della legge n 241 del 2006, peraltro sollevata in termini involuti e senza la precisa individuazione della norma contrastante con l'art. 27 della Costituzione, appare, comunque, manifestamente infondata ove si consideri che, nella prospettazione difensiva, il suo accoglimento implicherebbe, in stridente violazione del principio di ragionevolezza1 l'estensione degli effetti favorevoli che l'ordinamento assegna all'esito positivo dell'affidamento in prova anche alle pene non scontate con tale misura alternativa sol perché indultate e relative a fatti commessi in epoca precedente al giudizio positivo del Tribunale di sorveglianza che, come efficacemente evidenziato dal provvedimento impugnato, verrebbe ad acquisire la valenza impropria di una "patente di risociaIizzazione".
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.