Per la Cassazione, si tratta di un comportamento incauto, come tale idoneo a rompere il vincolo causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso.
La controversia trae origine dalla richiesta di risarcimento danni conseguenti ad una caduta a terra avvenuta mentre l'istante stava camminando lungo il bordo della piscina del centro termale di cui è titolare la società convenuta.
La Corte d'Appello di Bologna confermava il rigetto della pretesa risarcitoria rilevando che la ricorrente...
Svolgimento del processo
M.O. ricorre, sulla base di un unico motivo, corredato da memoria, per la cassazione della sentenza n. 2846 del 2018 della Corte di appello di Bologna esponendo che aveva convenuto in giudizio la s.p.a. E. per ottenere il risarcimento dei danni, alla persona e patrimoniali, indicati come conseguenti a una caduta a terra, occorsa mentre stava camminando lungo il bordo della piscina situata all’interno dello stabilimento termale gestito dalla suddetta società;
il Tribunale aveva rigettato la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, per quanto qui ancora importa, la deducente, percorrendo a piedi nudi il bordo della piscina, prevedibilmente e normalmente scivoloso, tanto più in quanto all’aperto, era stata imprudente in misura tale da escludere il nesso causale astrattamente riferibile alla convenuta;
non ha svolto difese la s.p.a. rimasta così intimata;
con l’unico motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2051, cod. civ., 115, cod. proc. civ., 14, primo comma, d.m. 18 marzo 1996, e della delibera della Giunta Regionale Emilia Romagna n. 1092 del 2005, poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che la deducente aveva invocato la violazione delle norme di sicurezza per la tenuta degli impianti come quello in parola, che erano indice della colpa in cui era versata la convenuta, e che confermavano la legittimità della camminata senza calzature, laddove il Collegio di merito avrebbe al contempo errato nell’omettere il bilanciamento tra obbligo di cautela della vittima e colposa pericolosità della cosa gestita e custodita;
Motivi della decisione
il motivo di ricorso è in parte inammissibile, in parte infondato;
come chiarito da questa Corte (cfr., in tema di responsabilità ex art. 2051, cod. civ., Cass., 01/02/2018, n. 2482, Cass., Sez. U., 30/06/2022, n. 20943), quando il comportamento del danneggiato sia apprezzabile come ragionevolmente incauto, lo stabilire se il danno sia stato cagionato dalla cosa, gestita così come custodita, o dal comportamento della stessa vittima o se vi sia stato concorso causale tra i due fattori, costituisce valutazione di merito da compiere sul piano del nesso eziologico, sottendendo un bilanciamento con i doveri di precauzione e cautela;
dunque, ove la condotta del danneggiato assurga, per l’intensità del rapporto con la produzione dell’evento, al rango di causa autonomamente sopravvenuta dell’evento del quale la cosa abbia infine costituito, in questo senso, una mera occasione, viene meno il nesso eziologico con la “res”, anche se la condotta del danneggiato possa ritenersi astrattamente prevedibile, ma debba essere esclusa come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale da verificare dunque secondo uno “standard” oggettivo;
in altri termini, la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado d’incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., e dev’essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.;
a questo fine non è necessario che si tratta di condotta abnorme, dunque, bensì colposamente incidente nella misura apprezzata;
quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione, da parte dello stesso danneggiato, delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo del danno, fino a rendere possibile, nei termini appena specificati, che detto comportamento superi il nesso eziologico astrattamente individuabile tra fatto ed evento dannoso;
mancando la prova del nesso non può sussumersi la fattispecie concreta nel paradigma della responsabilità civile, né custodiale né generale;
la violazione delle norme di sicurezza dettate per regolamentare le autorizzazioni amministrative, e certamente indici di una possibile colpa soggettivamente imputabile al gestore (art. 2043 cod. civ.), così come al custode (art. 2051 cod. civ.), non possono spostare la conclusione poiché non giustificano la condotta incauta che sia giudicata tale in modo decisivo e assorbente ai fini ricostruttivi del nesso oggettivo;
a tale riguardo non può dirsi che il giudice di merito non abbia proceduto al richiamato bilanciamento tra pericolosità della cosa e obblighi di cautela, avendo apprezzato la sussistenza della prima ma, parimenti, l’agevole prevedibilità e percepibilità della stessa, trattandosi di piscina all’aperto, in uno alla scelta di non premunirsi degli accorgimenti minimi per evitare di subirne gli effetti, camminando la vittima a piedi nudi;
il fatto che le norme in materia di sicurezza prevedano accorgimenti proprio assumendo l’ipotesi di simili passi, non significa che, potendosi verificare e percepire la marcata e in tesi anche mal gestita scivolosità del terreno, l’utente possa esimersi dalle ovvie cautele per evitarne le conseguenze, non predisponendo le quali può innescare, secondo un giudizio fattuale proprio della sede giudicante di merito, una serie causale autonoma dal punto di vista della responsabilità civile risarcitoria;
a fronte di ciò, la censura, pur formalmente riferita a prescrizioni normative primarie e secondarie ovvero anche, e inammissibilmente, a prescrizioni di provvedimenti amministrativi, finisce per sottendere una parimenti inammissibile richiesta di rivalutazione istruttoria;
non deve disporsi sulle spese non essendovi state difese di parte intimata;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, se dovuto e nella misura dovuta, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.