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21 luglio 2023
Legittimato passivo delle quote di TFR maturate durante la CIGD è il Fondo di Tesoreria INPS

Nel caso di specie, l'attrice aveva chiesto l'ammissione allo stato passivo della società fallita di un credito pari al TFR rimasto in azienda, evidenziando però che per un breve periodo aveva fruito della CIGD e che dopo il rapporto di lavoro era cessato.

La Redazione

L'attrice chiedeva l'ammissione allo stato passivo del fallimento della società presso la quale lavorava di un credito pari al TFR rimasto in azienda. Il Giudice delegato tuttavia, ritenuta la legittimazione passiva del Fondo Tesoreria presso l'INPS a partire dal 2007, ammetteva solo una parte del credito che era pari al TFR maturato fino al 2006, ritenendo che la restante parte non potesse essere ammessa poiché si trattava di quote dovute dal Fondo menzionato, anche se non erano state versate dal datore di lavoro.
La stessa proponeva opposizione insistendo per l'ammissione del credito per intero ed evidenziando che dal 2012 al 2014 ella aveva fruito della Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD).
Il Tribunale accoglieva l'opposizione, mancando la prova da parte della curatela fallimentare dell'effettivo versamento delle quote di TFR al Fondo INPS.
La questione viene allora sottoposta all'attenzione della Suprema Corte. Innanzitutto, la ricorrente lamenta il fatto che il Tribunale avesse ritenuto applicabile la disciplina CIGO alla CIGD e sostenendo che legittimato passivo alle quote di TFR dovute era comunque il Fondo Tesoreria INPS quando al termine del periodo di integrazione salariale il rapporto di lavoro cessa, circostanza avvenuta nel caso di specie ove l'attrice era poi stata assunta da altra società.

Con l'ordinanza n. 19640 dell'11 luglio 2023, la Cassazione ha ribadito i principi recentemente affermati dalla sezione Lavoro nella materia oggetto di contesa, principi che intende condividere:

giurisprudenza

  • «anche la Cassa integrazione in deroga, istituita dall'art. 2, comma 64, l. 92/2012 (CIGD) rientra nella previsione del terzo comma dell'art. 2120 c.c., per essere un caso di sospensione totale o parziale per la quale è prevista l'integrazione salariale, nel senso di un periodo di assenza dal lavoro con diritto alla retribuzione, eventualmente soddisfatto in tutto o in parte in forma previdenziale, che figura come periodo di retribuzione normale, anche se la conservazione della retribuzione sia limitata a una aliquota percentuale»;
  • «il pagamento della CIGD spetta, qualora il lavoratore non sia rioccupato alla cessazione del periodo alle dipendenze del datore di lavoro, al Fondo sociale per l'occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; con la conseguenza che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il dipendente non ha diritto all'ammissione allo stato passivo del credito per le quote di TFR maturate in tale periodo, ma di quelle del periodo anteriore trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro».

Ora, mentre il primo principio richiamato rende evidente l'infondatezza del primo motivo di ricorso, essendo stata la CIGD equiparata alla CIGS, il secondo principio giustifica invece l'accoglimento del secondo, dunque le quote di TFR maturate nel periodo di CIGD non possono essere ammesse allo stato passivo del datore di lavoro fallito ma sono di competenza del Fondo di Tesoreria.
Segue la cassazione del decreto impugnato sul punto, dovendosi scomputare dalle quote di TFR ammesse allo stato passivo quelle maturate dalla lavoratrice nel periodo di CIGD.

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