
Nel caso di specie, l'attrice aveva chiesto l'ammissione allo stato passivo della società fallita di un credito pari al TFR rimasto in azienda, evidenziando però che per un breve periodo aveva fruito della CIGD e che dopo il rapporto di lavoro era cessato.
L'attrice chiedeva l'ammissione allo stato passivo del fallimento della società presso la quale lavorava di un credito pari al TFR rimasto in azienda. Il Giudice delegato tuttavia, ritenuta la legittimazione passiva del Fondo Tesoreria presso l'INPS a partire dal 2007, ammetteva solo una parte del credito che era pari al TFR maturato fino al 2006, ritenendo che la restante parte non potesse essere ammessa poiché si trattava di quote dovute dal Fondo menzionato, anche se non erano state versate dal datore di lavoro.
La stessa proponeva opposizione insistendo per l'ammissione del credito per intero ed evidenziando che dal 2012 al 2014 ella aveva fruito della Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD).
Il Tribunale accoglieva l'opposizione, mancando la prova da parte della curatela fallimentare dell'effettivo versamento delle quote di TFR al Fondo INPS.
La questione viene allora sottoposta all'attenzione della Suprema Corte. Innanzitutto, la ricorrente lamenta il fatto che il Tribunale avesse ritenuto applicabile la disciplina CIGO alla CIGD e sostenendo che legittimato passivo alle quote di TFR dovute era comunque il Fondo Tesoreria INPS quando al termine del periodo di integrazione salariale il rapporto di lavoro cessa, circostanza avvenuta nel caso di specie ove l'attrice era poi stata assunta da altra società.
Con l'ordinanza n. 19640 dell'11 luglio 2023, la Cassazione ha ribadito i principi recentemente affermati dalla sezione Lavoro nella materia oggetto di contesa, principi che intende condividere:
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Ora, mentre il primo principio richiamato rende evidente l'infondatezza del primo motivo di ricorso, essendo stata la CIGD equiparata alla CIGS, il secondo principio giustifica invece l'accoglimento del secondo, dunque le quote di TFR maturate nel periodo di CIGD non possono essere ammesse allo stato passivo del datore di lavoro fallito ma sono di competenza del Fondo di Tesoreria.
Segue la cassazione del decreto impugnato sul punto, dovendosi scomputare dalle quote di TFR ammesse allo stato passivo quelle maturate dalla lavoratrice nel periodo di CIGD.
Svolgimento del processo
1. – dagli atti di causa risulta che C. P. chiese l’ammissione allo stato passivo del Fallimento G. P. s.p.a. in liquidazione (di seguito G.) del credito di Euro 12.870,13 a titolo di TFR, maturato dal 02/10/2002 al 31/12/2014 e «rimasto in azienda»;
1.1. – il giudice delegato, ritenuta la legittimazione passiva del Fondo Tesoreria gestito dall’Inps dal 1° gennaio 2007, ai sensi della legge n. 296 del 2006, ammise il credito limitatamente ad Euro 7.790,68 (pari al TFR maturato fino al 31 dicembre 2006), ritenendo che l’ulteriore somma di Euro 5.079,45 non potesse essere ammessa, trattandosi di quote dovute dal Fondo predetto, anche laddove trattenute e non versate dal datore di lavoro;
1.2. – proponendo opposizione ex art. 98 legge fall., la C. ha insistito per l’integrale accoglimento della domanda, facendo presente di aver già ricevuto dal Fondo tesoreria le somme versate dalla società in bonis ed evidenziando che da settembre 2012 a dicembre 2014 la G. aveva fruito della Cassa integrazione guadagni in deroga (CIGD);
1.3. – con il decreto indicato in epigrafe, il Tribunale di Palermo ha accolto l’opposizione, ammettendo P. C. allo stato passivo del Fallimento G. per l’ulteriore importo di Euro 5.079,45 a titolo di TFR maturato dall’1 gennaio 2007, in quanto, mancando la prova da parte della curatela fallimentare dell’effettivo versamento delle quote di TFR al suddetto Fondo, il datore di lavoro conserva la legittimazione passiva al pagamento;
2. – avverso detto decreto il Fallimento G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrato da memoria; l’intimata P. C. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
2.1. – il primo motivo denunzia la violazione dell’art. 2120, comma 3, c.c. (in base al quale, ai fini del TFR, «in caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell’anno per una delle cause di cui all’articolo 2110, nonché di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l’integrazione salariale, deve essere computato nella retribuzione di cui al primo comma l’equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto»), per avere il tribunale ritenuto estendibile tale disciplina alla CIGD, trascurando che essa integra un istituto eccezionale, di natura assistenziale e non previdenziale, a differenza dalla cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) e di quella straordinaria (CIGS);
2.2. – il secondo mezzo lamenta, per le medesime ragioni, la violazione della legge n. 92 del 2012, art. 2, comma 64, nonché della legge n. 164 del 1975, della legge n. 1115 del 1968 e dell’art. 2120 c.c., sottolineando che la CIGD non è equiparabile né alla CIGO, né alla CIGS, in quanto è concessa a discrezione del Ministero del lavoro in favore delle aziende che non possono usufruire delle altre due forme di integrazione salariale, rinviene la sua disciplina non nella legge, ma nei decreti ministeriali che la dispongono, ed è strumento normativo eccezionale, finanziato in via esclusiva dallo Stato e non da risorse contributive;
2.3. – il terzo motivo deduce violazione dell’art. 14 preleggi, per non avere il tribunale considerato che l’art. 2120 c.c., in quanto norma eccezionale, è insuscettibile di interpretazione analogica;
2.4. – il quarto mezzo denunzia, in subordine, la violazione dell’art. 12 preleggi e dell’art. 2 comma 2, legge n. 464 del 1972 (poi abrogato dall'art. 46, comma 1, lett. e) d.lgs n. 148 del 2015), in base al quale legittimato passivo al pagamento del TFR maturato in favore del lavoratore è comunque il Fondo Tesoreria Inps qualora al termine del periodo di integrazione salariale il rapporto di lavoro cessi, circostanza pacifica nel caso di specie, essendo la C. stata assunta alle dipendenze di altra società (R. P. s.c.p.a.) dal 1 gennaio 2015, per effetto del trasferimento del ramo di azienda cui era addetta, ai sensi dell’art. 47, comma 1, legge n. 428 del 1990;
2.5. – il quinto motivo si duole della violazione degli artt. 1, comma 756, legge n. 296 del 2006 e 2116 c.c., sul rilievo che l’orientamento di questa Corte richiamato nel decreto impugnato (Cass. 12009/2018) non sarebbe condivisibile, e il TFR dovrebbe essere erogato dal Fondo tesoreria anche in assenza degli accantonamenti effettuati dalla parte datoriale, poiché il rateo annuo versato dal datore di lavoro è definito contributo e il Fondo di tesoreria integra una gestione previdenziale, così come avviene per i contributi previdenziali obbligatori;
3. – i motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono solo in parte fondati, nei termini che si vanno a precisare;
4. – la Sezione lavoro di questa Corte, pronunciando su analoghi ricorsi promossi dallo stesso Fallimento G. (Cass. 25838/2022; conf. Cass. 25840, 25841, 25843, 25844, 25846, 25847 del 2022) ha affermato i seguenti principi di diritto, cui, in quanto condivisibili, il Collegio intende dare continuità:
i) «anche la Cassa integrazione in deroga, istituita dall'art. 2, comma 64, l. 92/2012 (CIGD) rientra nella previsione del terzo comma dell'art. 2120 c.c., per essere un caso di sospensione totale o parziale per la quale è prevista l'integrazione salariale, nel senso di un periodo di assenza dal lavoro con diritto alla retribuzione, eventualmente soddisfatto in tutto o in parte in forma previdenziale, che figura come periodo di retribuzione normale, anche se la conservazione della retribuzione sia limitata a una aliquota percentuale»;
ii) «il pagamento della CIGD spetta, qualora il lavoratore non sia rioccupato alla cessazione del periodo alle dipendenze del datore di lavoro, al Fondo sociale per l'occupazione e la formazione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; con la conseguenza che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il dipendente non ha diritto all'ammissione allo stato passivo del credito per le quote di TFR maturate in tale periodo, ma di quelle del periodo anteriore trasferite nel Fondo di Tesoreria, di cui non sia provato il versamento da parte del datore di lavoro»;
4.1. – il principio di diritto sub i), che equipara la CIGD alla CIGS, rende evidente l’infondatezza dei primi tre motivi di ricorso così come del quinto, anche sulla base del pregresso orientamento per cui «in materia di insinuazione allo stato passivo, il lavoratore ha legittimazione alla domanda di ammissione per le quote di t.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007 e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato dall’INPS, ai sensi dell'art. 1, comma 755, della l. n. 296 del 2006, poiché il datore di lavoro non è un mero adiectus solutionis causa e non perde quindi la titolarità passiva dell'obbligazione di corrispondere il t.f.r. stesso» (Cass. 27014/2017, 12009/2018, 11536/2019, 24510/2021);
4.2. – il principio di diritto sub ii) giustifica invece l’accoglimento del quarto motivo, poiché nel caso di specie risulta pacifico che alla cessazione del periodo di CIGD P. C. non è stata rioccupata alle dipendenze della G., versandosi perciò nell’ipotesi in cui, relativamente alle quote di TFR maturate in detto periodo, il dipendente non ha diritto all'ammissione allo stato passivo del datore di lavoro fallito, spettando la legittimazione passiva al Fondo di Tesoreria;
5. – in conclusione, il decreto impugnato merita di essere cassato solo in accoglimento del quarto motivo, dovendosi scomputare dalle quote di TFR ammesse allo stato passivo quelle maturate da P. C. nel periodo di CIGD (settembre 2012 - dicembre 2014);
6. – il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo, respinge i restanti, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Palermo, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.