Nel caso di specie, il cittadino albanese che aveva richiesto la cittadinanza italiana affermava di non essere venuto prima a conoscenza delle comunicazioni di notizie di reato a suo carico, in quanto non era mai stata esercitata l'azione penale nei suoi confronti. Egli, quindi, era a tutti gli effetti incensurato.
La vicenda trae origine dalla richiesta avanzata da un cittadino albanese residente da anni in Italia di annullare la sentenza con la quale il TAR Lazio aveva respinto il suo ricorso contro il diniego della sua istanza volta a ottenere la concessione della
Il cittadino albanese impugna la decisione del TAR Lazio lamentando l'illegittimità del provvedimento, sostenendo che si trattava di alcune comunicazioni di notizie di reato in relazione a ipotesi di falso e ricettazione delle quali egli era venuto a conoscenza solo al momento del rigetto della sua domanda di
Con la sentenza n. 6791 dell'11 luglio 2023, il Consiglio di Stato dichiara l'appello fondato, rilevando come dagli atti risultasse proprio quanto affermato dal ricorrente. Quest'ultimo, infatti, non aveva mai ricevuto alcuna informazione o notificazione circa le notizie di reato, non essendo stata esercitata alcuna azione penale nei suoi confronti.
In ossequio alla più recente giurisprudenza sul tema, il Collegio ribadisce che quando il diniego si basi esclusivamente su fatti risalenti nel tempo non seguiti da alcuno sviluppo in sede penale, è necessario che l'eventuale diniego sia supportato da maggiore approfondimento istruttorio e da un più ampio corredo motivazionale, non essendo sufficiente il mero richiamo a segnalazioni, rapporti o denunce a carico dell'istante, soprattutto quando esse non siano recenti e non siano state accompagnate da una verifica sullo stato attuale.
Ciò è quanto non accaduto nel caso di specie, ove il provvedimento impugnato si è limitato a richiamare in modo non completo il quadro giurisprudenziale di riferimento ponendo l'accento solo sull'ampiezza della discrezionalità amministrativa e sui connessi “limiti” al sindacato in sede giurisdizionale, meritando di essere quindi riformato.
L'appello pertanto viene accolto con conseguente annullamento del diniego impugnato.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza (ud. 22 giugno 2023) 11 luglio 2023, n. 6791
Svolgimento del processo
1. Con il ricorso in appello in esame, notificato il 28 aprile 2023, il sig. -OMISSIS-, cittadino albanese residente da anni in Italia, ha chiesto l’annullamento della sentenza n. -OMISSIS- del 31 ottobre 2022 con la quale il Tar del Lazio, sez. V-bis, ha respinto il suo ricorso (-OMISSIS-) proposto avverso il decreto del Ministro dell’interno datato 12 aprile 2018 n. -OMISSIS- di rigetto dell’istanza presentata in data 18 ottobre 2010, ai sensi dell’articolo 9, primo comma, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, diretta ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana.
2. Come in sintesi esposto nella sentenza appellata e riferito nel ricorso in appello, la domanda del ricorrente è stata respinta dal Ministero a motivo della risultanza, a carico del richiedente, delle seguenti vicende penali: “notizia di reato del 10.01.2002 emessa da Ufficio -OMISSIS- per violazione dell’art. 648 c.p. (ricettazione) emessa da Ufficio -OMISSIS- (BR)”. Da tali pregiudizi di carattere penale l’Amministrazione ha ricavato che “la condotta del richiedente è indice di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale desumibile da un complesso di situazioni e comportamenti, posti in essere nel corso della permanenza nel territorio nazionale – e, in particolare nel decennio anteriore alla data di presentazione della domanda – idonei a fondare l’opportunità della concessone del nuovo status civitatis”.
3. Il Tar del Lazio, con la qui appellata sentenza n. -OMISSIS- del 31 ottobre 2022, ha respinto le censure di parte ricorrente, intese a contestare l’illegittimità dell’atto impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 91 del 1992, difetto di istruttoria e carenza di motivazione (avendo l’Amministrazione negato la cittadinanza “sulla base di meri pregiudizi penali che non sono affatto condanne . . . ma semplici segnalazioni di polizia di cui non si conosce nemmeno l’eventuale esito giudiziario”), giudicando - alla luce dell’amplissima discrezionalità che caratterizza il provvedimento di concessione della cittadinanza e dei limiti che incontra il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale - non manifestamente illogica la valutazione della situazione del ricorrente, risultando a suo carico “plurime notizie di reato che rappresenta chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano”, tenuto conto del fatto che “i comportamenti addebitati dell’istante, a prescindere dall’eventuale esito penale, rimangono valutabili come fatto storico e, quindi, possono essere ragionevolmente considerati come indicativo di una personalità non incline al rispetto delle norme penali e civili e tale da giustificare il diniego di riconoscimento della cittadinanza italiana”.
4. Avverso la predetta sentenza, qui impugnata, il ricorrente ha dedotto il seguente motivo di censura: “Illegittimità del provvedimento gravato. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e vizio di motivazione. Erroneità della pronuncia di primo grado sul punto. Insufficienza del mero richiamo a pregresse e risalenti notizie di reato. Violazione di legge ex art. 9 l. n. 91/1992. Omessa motivazione da parte del Collegio di prime cure circa gli elementi di fatto allegati e documentati dal ricorrente a propria difesa”: con il mezzo di censura in esame il ricorrente ha riproposto le contestazioni già dedotte in primo grado avverso il provvedimento impugnato, illegittimamente fondato su alcune comunicazioni di notizie di reato formate dall’Ufficio -OMISSIS- tra il 2000 e il 2002 in relazione a ipotesi delittuose di falso e ricettazione delle quali il ricorrente avrebbe appreso l’esistenza solo all’atto della ricezione della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della sua domanda di cittadinanza, e in relazione alle quali non sarebbe mai stata esercitata l’azione penale nei suoi confronti, risultando egli incensurato e senza carichi di procedimenti penali pendenti nei suoi confronti; il provvedimento sarebbe contrario alla legge, possedendo il ricorrente tutti i requisiti per beneficiare della concessione della cittadinanza italiana, essendo residente ininterrottamente da venticinque anni in Italia, quivi convivendo con la moglie e i figli (aventi cittadinanza italiana), avendo da sempre svolto regolare attività lavorativa nel Paese e con questa prodotto i propri redditi; la decisione negativa del Tar del Lazio si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di questa Sezione del Consiglio di Stato che, in fattispecie analoghe, richiede una più completa e adeguata motivazione.
4. Si è costituito in giudizio per resistere al proposto appello il Ministero dell’interno.
5. Alla camera di consiglio del 22 giugno 2023 la causa, previo avviso alle parti della possibilità di una decisione nel merito in forma semplificata, è stata chiamata e assegnata in decisione.
Motivi della decisione
1. L’appello è fondato e merita accoglimento, con annullamento, in riforma della sentenza appellata, del provvedimento originariamente impugnato, da giudicarsi illegittimo per difetto di istruttoria e di motivazione, salvo il riesercizio della funzione da parte dell’Amministrazione intimata.
2. Risulta dagli atti che il ricorrente, cittadino albanese, risiede in Italia da oltre venticinque anni quivi convivendo con la moglie e i due figli minori e svolgendo continuativamente regolare attività lavorativa (circostanze, queste, non prive di rilievo e non contestate, né prese in considerazione dall’Amministrazione); che ha dato riscontro alla comunicazione ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 del 4 maggio 2016 evidenziando di nulla sapere circa le notizie di reato (sopra indicate nella narrativa del fatto), non avendo mai ricevuto alcuna informazione o notificazione in merito e documentando di essere incensurato e di non avere a carico alcun procedimento penale pendente; che sulle notizie di reato formate dall’Ufficio -OMISSIS- tra il 2000 e il 2002 non è mai stata esercitata l’azione penale, tant’è che nei confronti del ricorrente non vi sono procedimenti penali pendenti.
3. Ciò premesso, il Collegio rileva che la più recente giurisprudenza della Sezione ha chiarito che, quando il diniego sia basato esclusivamente su fatti risalenti nel tempo non seguiti da alcuno sviluppo in sede penale, occorre che l’eventuale provvedimento di diniego sia supportato da un maggiore approfondimento istruttorio e da un più ampio corredo motivazionale, non apparendo in tali casi sufficiente il mero richiamo di segnalazioni, rapporti e denunce a carico del richiedente, in specie se non recenti e risalenti nel tempo, senza un’adeguata verifica circa l’attuale stato di tali segnalazioni, denunce e rapporti.
4. In questo senso la Sezione (sentenza 26 aprile 2022, n. 3185) ha ritenuto illegittimo il diniego di cittadinanza quando “si basi sulla constatazione che vi è stata una denuncia all’autorità giudiziaria, senza accertare quali siano stati gli ulteriori sviluppi del relativo procedimento” (nello stesso senso anche, di questa Sezione, le sentenze 3 marzo 2021, n. 1826, 14 maggio 2019, n. 3121, 20 marzo 2019, n. 1837).
5. Più in generale, la Sezione ha osservato che il provvedimento di diniego deve giudicarsi illegittimo quando “le denunce non sono state fatte oggetto di un autonomo apprezzamento, non essendo in alcun modo circostanziate”, ovvero “il provvedimento ministeriale – per l’insufficienza dei dati istruttori su cui si fonda – non reca un approfondito apprezzamento sui fatti sottesi alle denunce e, dunque, sul reale disvalore delle condotte rispetto ai principî fondamentali della convivenza sociale e alla tutela anticipata della sicurezza e della incolumità pubblica”, risolvendosi in una rilevazione acritica delle pendenze “nella loro asettica storicità senza alcun autonomo ed effettivo vaglio critico, come dato cioè di per sé stesso idoneo ad accreditare un giudizio di disvalore ai fini qui in rilievo” (sentenza n. 3185 del 2022, cit.).
6. Il Collegio non nega in alcun modo che il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge n. 91 del 1992, costituisca un atto altamente discrezionale, la cui adozione presuppone una valutazione di opportunità politico-amministrativa, informata a principi di cautela, tenuto conto che l’acquisizione della cittadinanza comporta l’inserimento, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale (Cons. Stato, sezione I, pareri nn. 401, 84, 77 e 62 del 2023; n. 1989 del 2022), e che pertanto tale valutazione può basarsi su «un complesso di circostanze atte a dimostrare l’avvenuta stabile integrazione del richiedente nel tessuto sociale sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta, tra cui particolare rilievo assume il rispetto delle regole della convivenza civile e non solo di quelle di rilevanza penale» (Cons. Stato, sez. I, pareri nn. 943 del 2022 e 1959 del 2020). Parimenti da confermare è il principio per cui l’Amministrazione ha il potere di valutare anche fatti oggetto di mera comunicazione di reato, di archiviazione in sede penale, di assoluzione o integranti reati poi estinti o depenalizzati, in quanto comunque «rivelatori di una non piena adesione ai valori della convivenza civile rilevanti per la sicurezza e/o l’ordinato svolgimento della vita sociale)» (Cons. Stato, sez. I, parere n. 77 del 2023; pareri nn. 1219, 1756-1761 e 806 del 2022).
7. Tuttavia la medesima, condivisa giurisprudenza ha chiarito che, in tali evenienze, è necessario un adeguato approfondimento istruttorio diretto ad accertare se e quali sviluppi vi siano stati delle denunce richiamate e poste a base della valutazione negativa, approfondimento istruttorio che deve essere poi logicamente seguito da un’attenta valutazione dei fatti così compiutamente ricostruiti, con un’ampia motivazione che dia conto delle ragioni per le quali quei fatti in astratto penalmente rilevanti, ancorché non seguiti da significativi sviluppi, né tanto meno da condanne, possano ritenersi comunque ostativi al rilascio della cittadinanza, in quanto tali da far venir meno quel requisito dello “status illesae dignitatis” morale e civile richiesto nel soggetto richiedente.
8. Nel caso di specie in esame, come detto, il provvedimento impugnato si discosta palesemente dai suindicati criteri di legittimità e la sentenza gravata, essendosi limitata a richiamare in modo non completo il quadro giurisprudenziale di riferimento, ponendo l’accento esclusivamente sull’ampiezza della discrezionalità amministrativa in questa materia e sui connessi “limiti” al sindacato in sede giurisdizionale, si espone alle fondate censure dedotte in sede di appello, meritando perciò di essere riformata.
9. Per le ragioni esposte, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado va accolto con il conseguentemente annullamento del diniego impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione competente.
10. Le spese del doppio grado di giudizio, anche in considerazione dell’esito sortito in primo grado, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello indicato in epigrafe, lo accoglie e, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento in quella sede impugnato, salvo il riesercizio della funzione da parte dell’Amministrazione competente.
Compensa per intero tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la persona del ricorrente.