
TAR Lazio, sez. V-bis, sentenza (ud. 12 aprile 2023) 21 luglio 2023, n. 12312
Svolgimento del processo
I ricorrenti sono tutti fisioterapisti iscritti agli Albi della professione sanitaria di Fisioterapista di cui al Decreto del Ministero della Salute 13 marzo 2018, istituiti presso gli Ordini dei Tecnici Sanitari di Radiologia Medica e delle Professioni Sanitarie Tecniche, della Riabilitazione e della Prevenzione ed esercitano la propria attività in regime libero-professionale presso il proprio Studio o ambulatorio.
Con l’atto introduttivo del giudizio impugnano il decreto del Presidente della Repubblica con cui è stato recepito l’Accordo per l’istituzione della figura dell’osteopata, previsto dall’art. 7 della legge n. 3/2018, in quanto asseritamente adottato in violazione delle norme di legge che regolano il riconoscimento di nuove professioni nonché lesivo dell’autonomia professionale dei fisioterapisti ricorrenti.
Il gravame è segnatamente affidato ai seguenti motivi di ricorso:
Violazione di legge: art. 5, commi 1, 2 e 4 della legge 1 febbraio 2006 n. 43;
Violazione di legge: art. 2 della legge n. 251/2000 in combinato disposto con gli artt. 1 e 2, comma 1, della legge n. 42/1999 e con l’art. 1 del D.M. n. 741/1994;
Violazione dell’art. 97 Cost. e del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione;
Eccesso di potere per illogicità, carenza di motivazione, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto.
Le disposizioni contenute nel decreto impugnato - e prima ancora nell’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano - aventi ad oggetto il riconoscimento della figura dell’osteopata sono censurate sotto due diversi profili in relazione all’articolo 5 (Individuazione e istituzione di nuove professioni sanitarie) della legge n. 43/2006.
A. Sotto il primo profilo, i ricorrenti lamentano una sovrapposizione delle competenze della nuova figura professionale con il profilo professionale del fisioterapista e con le sue competenze esclusive, come individuate dal D.M. n. 741/1994, dalla legge n. 251/2000 e dalla legge n. 43/2006. Il decreto violerebbe sia il divieto di parcellizzazione, sia quello di non sovrapposizione con le professioni già riconosciute, sanciti dal comma 4 dell’articolo 5 della legge n. 43/2006 (“La definizione delle funzioni caratterizzanti le nuove professioni sanitarie avviene evitando parcellizzazioni e sovrapposizioni con le professioni già riconosciute o con le specializzazioni delle stesse”) e invero assumono che la definizione delle competenze dell’osteopata contenuta negli atti impugnati determini una diminuzione delle attribuzioni proprie dei fisioterapisti, che non solo è illegittima, ma anche contraria all’interesse pubblico e collettivo.
B. Sotto il secondo profilo, gli istanti deducono che la nuova figura è stata istituita senza dare evidenza dell’esistenza “dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali, che non trovino rispondenza in professioni già riconosciute” richiesta invece quale presupposto dal comma 1 del citato art. 5 della legge 43/2006; che allo stato i trattamenti osteopatici non sono riconosciuti quali prestazioni erogabili dal Servizio sanitario nazionale; che lo stato dell’arte della letteratura scientifica sui trattamenti osteopatici rifletterebbe esiti ancora molto incerti e sia quantitativamente, sia qualitativamente limitati e che anche la mancanza di un percorso formativo universitario, previsto dal legislatore ma mai concretamente tradottosi in un ordinamento didattico, impedisce di individuare una obiettiva consistenza scientifica in capo alla nuova figura professionale.
L’A.I.FI. - ASSOCIAZIONE ITALIANA DI FISIOTERAPIA, associazione tecnico scientifica di rilevanza nazionale, volta alla promozione e la crescita scientifica, etica ed umana dei Fisioterapisti, è intervenuta ad adiuvandum al dichiarato scopo di supportare la posizione dei ricorrenti e di evidenziare che i motivi di illegittimità fatti valere trovano conferma nelle evidenze tecnico-scientifiche, rappresentate anche al Consiglio superiore di sanità nell’iter di adozione del provvedimento oggetto dell’odierna azione impugnatoria.
Parte resistente e i controinteressati, costituiti in giudizio per resistere al ricorso, hanno sostenuto l’infondatezza delle tesi di controparte.
Nel corso del presente giudizio le parti hanno prodotto copiosa documentazione e numerosi scritti difensivi, in cui, respinta ogni deduzione, allegazione e produzione avversaria, hanno ogni volta ribadito rispettivamente le conclusioni riportate in narrativa, insistendo per l’accoglimento.
In particolare, il Registro degli Osteopati d’Italia ha con memoria del 27 settembre 2022 dedotto l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso in quanto integrante una censura che non riguarda il provvedimento impugnato, attenendo ad una fase, quella della “individuazione” della professione, nel caso di specie già intervenuta e conclusa con atto legislativo.
L’AEMO SRL, che è società aderente alla Associazione AISO - Associazione Italiana Scuole di Osteopatia, invece ha sollevato l’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso assumendo che:
- il dPR impugnato non sarebbe suscettibile di impugnazione ex art. 4 del d.lgs. n. 104/2010, anche alla luce delle motivazioni contenute nel parere del CdS n. 1013/2021 su affare 00535_2021 laddove in sede consultiva si evidenzia che ha natura di atto normativo;
- il legislatore - con una precisa scelta e valutazione - ha ritenuto ex ante sussistente il fabbisogno sanitario e ha “istituzionalizzato” e “accademizzato” la professione dell’osteopata;
- non vi è attualità dell’interesse al ricorso per il fatto che non è ancora stato definito il percorso accademico (essendo stata rinviata al 30 giugno l’adozione del relativo decreto) e manca l’inserimento delle prestazioni osteopatiche tra quelle erogate dal SSN ed i Lea.
A conclusione della complessa vicenda processuale, di cui sono stati innanzi delineati i tratti essenziali, all’udienza pubblica del 12 aprile 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Il Collegio ritiene di poter prescindere, per esigenze di giustizia sostanziale, dallo scrutinio dell’eccezione di inammissibilità dell’intero ricorso, visto che l’esame degli specifici motivi di censura su cui si fonda non merita positivo apprezzamento in ragione rispettivamente dell’infondatezza nel merito e dell’inammissibilità degli stessi.
La controversia ha ad oggetto la legittimità del decreto del Presidente della Repubblica, adottato previa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, di recepimento dell’Accordo destinato a dettare una disciplina di dettaglio sulla professione di osteopata, quale neoistituita professione sanitaria, in attuazione della previsione di cui all’art. 7 della legge n. 3/2018.
L’art. 7 della legge 11 gennaio 2018 n. 3 reca disposizioni in tema di Individuazione e istituzione delle professioni sanitarie dell'osteopata e del chiropratico, disponendo che” 1. Nell'ambito delle professioni sanitarie sono individuate le professioni dell'osteopata e del chiropratico, per l'istituzione delle quali si applica la procedura di cui all'articolo 5, comma 2, della legge 1º febbraio 2006, n. 43, come sostituito dall'articolo 6 della presente legge.
2. Con accordo stipulato in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, da adottare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti l'ambito di attività e le funzioni caratterizzanti le professioni dell'osteopata e del chiropratico, i criteri di valutazione dell'esperienza professionale nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro il 30 giugno 2023, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, sono definiti l'ordinamento didattico della formazione universitaria in osteopatia e in chiropratica nonché gli eventuali percorsi formativi integrativi.”.
Quindi, limitando il campo di analisi a quanto in questa sede rileva, la scelta di conferire alla professione di osteopata la dignità di professione sanitaria è rinvenibile in una norma di rango primario, in funzione dell’interesse pubblico di garantire alla collettività la fruibilità di adeguati livelli di servizi e prestazioni che attengono alla sfera della salute: dunque la scelta di individuare l’osteopatia tra le professioni sanitarie è ascrivibile ad una determinazione del legislatore, compiuta sulla scorta di una valutazione preventiva di fabbisogno delle prestazioni osteopatiche, ritenuto concretamente sussistente a tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.).
In tale prospettiva è stato significativamente affermato dalla giurisprudenza amministrativa che “Corrisponde al vero che con la legge 11 gennaio 2018 n. 3, la professione dell'osteopatia è stata ricondotta nell'ambito delle professioni sanitarie”, pur precisando con riferimento all’art. 7 che “non si tratta di una disposizione legislativa immediatamente precettiva, bensì meramente programmatica” (Tar Sicilia, sez. staccata di Catania, sez. IV, sentenza nn. 2804/2022 e 2684/2021), avendo il legislatore delegato l'individuazione della disciplina di dettaglio, nonché l'istituzione del nuovo corso universitario di formazione e dei corsi integrativi.
Con specifico riferimento al processo che ha condotto a configurare la professione di osteopata quale professione sanitaria e all’esigenza di tutela della salute pubblica sottesa appare altresì utile richiamare quanto affermato dalla Consulta: “Va, innanzitutto, chiarito che la professione dell’osteopata, così come quella del chiropratico (ordinanza n. 149 del 1988), già prima del riconoscimento della figura professionale da parte della legge n. 3 del 2018, andava considerata «un lavoro professionale tutelato, ex art. 35, primo comma, Cost., in tutte le sue forme ed applicazioni» e «una iniziativa privata libera ex art. 41 Cost.».
La sempre maggiore diffusione delle medicine cosiddette non convenzionali (nel novero delle quali venivano ricondotte anche l’osteopatia e la chiropratica) aveva, anzi, indotto il Parlamento europeo a evidenziare, con la risoluzione n. 75 del 29 maggio 1997 recante lo Statuto delle Medicine Non Convenzionali, la necessità di «garantire ai pazienti la più ampia libertà possibile di scelta terapeutica assicurando loro il più elevato livello di sicurezza e l’informazione più corretta sull’innocuità, la qualità, l’efficacia e il rischio eventuale delle cosiddette medicine non convenzionali, nonché di proteggerli da persone non qualificate».
E gli ospedali italiani, in questa medesima prospettiva, avevano avviato numerosi studi e sperimentazioni cliniche nel settore dei trattamenti osteopatici, in particolare nei reparti di neonatologia, neurologia, oncologia, ortopedia e geriatria, a prescindere dalla circostanza che la detta professione non fosse ancora riconosciuta e regolamentata.
Neppure erano mancate iniziative in materia da parte delle Regioni, ancorché realizzate in forme diverse, consistenti in specifici riferimenti alle medicine non convenzionali contenuti in alcuni piani sanitari regionali, nella creazione di strutture di studio ed approfondimento (commissioni, osservatori, ecc.) e nel finanziamento di programmi di ricerca in materia.” (Corte costituzionale, sentenza 8 settembre 2020, n. 209).
La premessa di ordine storico-sistematico testé condotta spinge il Collegio a invertire l’ordine dei motivi di ricorso da scrutinare, potendo trarre dai cenni ivi tracciati evidenti argomenti a sostegno della tesi (dedotta dal controinteressato ROI) dell’inammissibilità del secondo motivo di ricorso.
Con detto motivo parte ricorrente lamenta la violazione della previsione di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 43/2006, assumendo che in nessuno degli atti impugnati sia stata data evidenza né dell’esistenza dei fabbisogni di salute, né, e soprattutto, del fatto che essi non trovino oggi risposta nelle professioni già esistenti.
Ebbene, la scelta di istituire la professione sanitaria dell’osteopata è stata compiuta dal legislatore, sulla scorta di una ponderazione ex ante della sussistenza di un effettivo fabbisogno a garanzia del conseguimento di incomprimibili obiettivi di salute, tenendo conto, in particolare, dei rischi (notoriamente) connessi all’attività da regolamentare.
Da ciò deriva che essa non può essere sindacata in questa sede, in cui si è chiamati a pronunciarsi sulla legittimità degli atti amministrativi, che tuttavia non possono disattendere previsioni normative di rango primario, anche ove volti a definire, come nel caso di specie, una disciplina di dettaglio; per cui il secondo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Passando ora all’esame del primo motivo di ricorso, il Collegio ritiene che sia destituito di fondamento.
Con il motivo di censura in questione, parte ricorrente lamenta la violazione del divieto di parcellizzazione e di quello di non sovrapposizione con le professioni già riconosciute, sanciti dal comma 4 dell’articolo 5 della legge n. 43/2006, in quanto le competenze individuate in relazione alla nuova figura si intersecherebbero con le competenze esclusive del profilo professionale del fisioterapista.
Il Collegio al riguardo preliminarmente rammenta che il provvedimento odiernamente avversato recepisce un Accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adottato all’esito di un complesso procedimento in cui, al fine di addivenire ad un documento condiviso, sono state coinvolte – in ragione dell’invio di invito a partecipare a incontri tecnici ovvero in riscontro a successive specifiche richieste di partecipazione ai lavori - tutte le associazioni professionali di riferimento e/o interessate e soggetti pubblici a diverso titolo competenti, sfociato nella predisposizione – in successione e recependo modifiche via via suggerite - di tre diverse bozze di articolato.
La bozza di accordo per la definizione dello statuto professionale dell’osteopata è stata trasmessa, nella sua triplice versione, al Consiglio superiore di sanità (CSS), in vista della formulazione del richiesto parere tecnico-scientifico, in maniera da fornire un quadro completo delle diverse posizioni manifestate dalle Associazioni di categoria e dalle Società scientifiche/Associazioni e federazioni.
Detto supremo Consesso, nell’esprimere il proprio parere in maniera da predisporre un testo definitivo per individuare le “competenze ascrivibili all’istituenda figura professionale dell’osteopata, senza sovrapporsi alle competenze di altre figure professionali sanitarie regolamentate”, ha avuto ben di mira l’esigenza di evitare sovrapposizioni.
In tale prospettiva, il CSS ha ritenuto, come emerge dalle premesse del parere reso in data 11 novembre 2019, di inserire l’Osteopata nelle professioni sanitarie Area “Prevenzione” e non in quella “Riabilitativa”, data la consapevolezza che la mera limitazione delle competenze della nuova professione all’area muscoloscheletrica non avrebbe garantito l’esclusione di sovrapposizioni, seppur parziali, con le competenze dei fisioterapisti.
Trasmesso lo schema di accordo Stato-Regioni concernente l’istituzione della professione sanitaria dell’Osteopata, che recepiva il parere del CSS, alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, è stato attivato un tavolo tecnico, su richiesta delle Regioni, per svolgere ulteriori approfondimenti sull’Accordo medesimo, all’esito dei cui lavori sono state apportate ulteriori modifiche all’atto de quo di tenore politico, relative all’erogazione dei trattamenti osteopatici e del loro eventuale inserimento nei LEA.
Il rapido excursus sulla complessità della vicenda che ha condotto all’adozione degli atti avversati consente, in primo luogo, di comprendere la centralità del ruolo svolto dal Consiglio superiore della sanità, che ha formulato un parere confrontando le posizioni espresse dalle rappresentanze delle altre professioni sanitarie già riconosciute, che sono state sentite tutte singolarmente nell’ambito di apposite audizioni.
In generale, il legislatore, ai fini dell’istituzione di nuove professioni sanitarie, si affida alla competenza tecnico-scientifica del CSS per garantire il rispetto dei principi previsti dalla legge e invocati da parte ricorrente nell’atto introduttivo del giudizio ed invero l’art. 5, comma 2, della legge n. 43/2006, come sostituito dall’art. 6 legge n. 3/2018, prevede che: “2. L’istituzione di nuove professioni sanitarie è effettuata, nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla presente legge, previo parere tecnico-scientifico del Consiglio superiore di sanità, mediante uno o più accordi, sanciti in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e recepiti con decreti del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.”.
Il Consiglio Superiore di Sanità è organo consultivo tecnico-scientifico del Ministro della Salute, munito quindi di speciale competenza tecnica, oltre che di variegata composizione professionale, che assicura alto valore scientifico al contenuto dei pareri che è chiamato a formulare.
L’iter procedimentale consente altresì di comprendere che l’accordo raggiunto è il frutto di un’operazione di ponderata mediazione e scrupolosa armonizzazione, che, nel rispetto dei principi di non parcellizzazione e non sovrapposizione con le professioni già riconosciute o con le specializzazioni delle stesse, ha dato voce a numerosi stakeholders (Associazioni/Federazioni nazionali degli Ordini e Società scientifiche delle professioni sanitarie già regolamentate e Regioni) – ivi compresi l’odierna interveniente, AIFI (Associazione italiana dei Fisioterapisti italiani), e il ROFI (Registro Fisioterapisti Diplomati Osteopatia), che hanno avuto modo di prendere visione della bozza di provvedimento concernente il profilo dell’Osteopata, proponendo anche delle modifiche ed integrazioni alla stessa - e a soggetti pubblici, ciascuno per la parte della propria competenza istituzionale, nell’ottica di consentire alla legge che ha istituito la professione sanitaria dell’osteopata di avere concreta attuazione (anche se allo stato manca ancora il decreto per la definizione del necessario percorso universitario formativo, la cui adozione è stata prorogata al 30 giugno 2023, l’accordo della Conferenza Stato-regioni sui criteri di valutazione dell’esperienza professionale nonché la definizione dei criteri per il riconoscimento dell’equipollenza dei titoli pregressi alla istituenda laurea in osteopatia).
Gli odierni ricorrenti, fisioterapisti iscritti agli Albi della professione sanitaria di Fisioterapista, mossi dall’intento di tutelare esclusivamente gli interessi della professione di appartenenza, sembrano non tenere conto che l’Autorità procedente è giunta alle determinazioni impugnate in maniera graduale, acquisendo al procedimento concluso con l’adozione degli atti avversati ogni elemento utile a garantire il rispetto dei principi legislativamente posti, a tutela (e tenuto conto) della posizione di ogni soggetto direttamente o indirettamente interessato.
La declaratoria dell'ambito di attività e delle funzioni caratterizzanti la professione dell'osteopata rappresenta dunque il prodotto di un’istruttoria approfondita e completa, nonché di una valutazione complessiva e accurata – affidata ai massimi organismi ed enti competenti in materia sanitaria e di istruzione - dei diversi interessi coinvolti e dei dati tecnico-scientifici rilevanti, volti ad assicurare il rispetto dei surrichiamati principi, specie in relazione alle competenze dei fisioterapisti (si è detto, infatti, che il CSS, proprio a tutela dell’integrità di queste ultime, nell’espressione del proprio parere del giorno 8 ottobre 2019 ha ritenuto di dover limitare le competenze riferite all’apparato muscolo-scheletrico della neoistituta professione sanitaria all’area “Prevenzione”, con esclusione dall’Area “Riabilitativa”).
Ne consegue la preclusione di un positivo riscontro da parte del Collegio alle doglianze di parte, in quanto l’attività censurata, unitamente alle scelte alla stessa sottese, è configurabile come espressione di discrezionalità tecnico- scientifica, destinata ad esplicarsi in valutazioni e apprezzamenti, riservati ai diversi soggetti pubblici intervenuti nel procedimento in virtù dell'espressa attribuzione su base normativa, condotti in ragione delle eterogenee competenze istituzionali possedute, oltre che alla luce dei parametri di carattere professionale e tecnico-scientifico di riferimento.
In relazione alle determinazioni avversate, in quanto espressive di discrezionalità tecnica, il sindacato in sede giurisdizionale è ammesso nei noti limiti del controllo (intrinseco) di attendibilità, compiutezza e correttezza, ferma restando l'impossibilità di sostituire le valutazioni condotte dall'Amministrazione con quelle giudiziali (sul punto, cfr. ex multis, Cons. St., sez. VI, sent. 15 dicembre 2020, n. 8061).
All’azione pubblica nel caso di specie non possono essere, ad avviso del Collegio, mossi rilievi di tal fatta, tenuto conto della più volte rimarcata complessità e compiutezza dell’attività istruttoria posta in essere e del caveat che ne ha espressamente indirizzato lo svolgimento della necessità di evitare parcellizzazioni e sovrapposizioni rispetto alle competenze proprie delle professioni sanitarie preesistenti.
L’Autorità, in altri termini, è giunta alle disposizioni impugnate a seguito di un’approfondita istruttoria (verifiche e audizioni) volta a valutare e a raccogliere ogni elemento informativo ritenuto necessario a definire correttamente l’ambito di competenza della professione di osteopata.
Le prospettazioni attoree presentano un’ineliminabile margine di soggettività e opinabilità, per cui non riescono a dimostrare in maniera univoca e indubbia la mancanza di una demarcazione tra i fisioterapisti e gli osteopati, almeno sul piano formale, nell’individuazione dell’ambito di intervento e della declaratoria delle funzioni affidate a ciascuno.
In tale ottica, invero, si mostra inconsistente anche la considerazione di parte ricorrente secondo cui l’inserimento nell’area della prevenzione sia solo uno stratagemma per provare ad eludere (senza riuscirci) le inevitabili sovrapposizioni con quelle attribuite alle altre figure professionali dell’area riabilitativa, a cominciare dal fisioterapista.
L’eventuale sconfinamento all’atto dell’esercizio concreto della professione nell’alveo delle competenze normativamente attribuite ad altri professionisti rappresenta una circostanza che potrà rilevare dinanzi all’Ordine professionale di appartenenza, che sarà tenuto peraltro a garantire l’osservanza da parte dei professionisti iscritti all’albo delle norme dettate dall’ordinamento ai fini della formazione, accesso ed esercizio della professione, anche attraverso l’adozione di provvedimenti disciplinari, giungendo in ipotesi fino alla sospensione o cancellazione dall’albo, con conseguente preclusione dell’esercizio della professione.
Pertanto, il motivo in esame deve essere respinto.
Alla luce del quadro riscostruito, il provvedimento si presenta immune dai vizi dedotti con l’atto introduttivo del giudizio, il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato in parte inammissibile e in parte respinto perché infondato.
Sussistono giustificate ragioni, tenuto conto della novità delle questioni trattate, per disporre la compensazione integrale tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile e in parte lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.