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28 luglio 2023
L'esecuzione del MAE non deve violare il diritto alla salute o discriminare irragionevolmente il cittadino extracomunitario rispetto a quello europeo

Con le sentenze in commento, la Corte costituzionale ha ribadito l'importanza di salvaguardare i diritti fondamentali della persona interessata.

La Redazione

«L'esecuzione del mandato d'arresto europeo non può andare a discapito dei diritti fondamentali della persona interessata».

Lo ha ribadito la Corte costituzionale con le sentenze n. 177 e 178 del 28 luglio 2023, con le quali sono stati decisi due giudizi relativi a profili differenti della disciplina sul MAE nei quali la Corte aveva promosso altrettanti rinvii pregiudiziali alla CGUE.

1° caso: cittadino con gravi disturbi psichici

Nel primo giudizio, il tribunale croato aveva chiesto la consegna di un cittadino italiano con gravi disturbi psichici al fine di sottoporlo a processo per detenzione e spaccio di stupefacenti. La Corte territoriale di Milano aveva chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di una persona affetta da patologie croniche di durata indeterminabile, incompatibili con la custodia cautelare in carcere, poiché in contrasto con il diritto fondamentale alla salute.

Con l'ordinanza n. 216 del 2021, la Corte costituzionale aveva rimesso la questione alla CGUE al fine di stabilire in quali casi l'autorità giudiziaria di uno Stato membro possa rifiutare l'esecuzione di un mandato di arresto europeo, in nome della necessità di tutelare la salute della persona.
I Giudici europei hanno stabilito che, «in ipotesi eccezionali di grave rischio per la salute della persona, i giudici che ricevono la richiesta devono sollecitare le autorità giudiziarie dello Stato richiedente a trasmettere informazioni sulle condizioni nelle quali la persona verrà detenuta o ospitata, in modo da assicurare adeguata tutela alla sua salute, eventualmente anche collocandola in una struttura non carceraria. Soltanto nell'ipotesi in cui le interlocuzioni non consentano di individuare una simile soluzione, l'esecuzione del mandato d'arresto potrà essere rifiutata».

Alla luce di tali osservazioni, la Consulta ha giudicato non fondata la questione sollevata dalla Corte d'Appello, ritenendo che il meccanismo ora configurato dalla CGUE sia idoneo a fornire adeguata tutela al diritto fondamentale alla salute.

2° caso: cittadino extraeuropeo stabilmente radicato in Italia

Il secondo giudizio riguardava un cittadino moldavo da tempo radicato in Italia (dove aveva significativi legami lavorativi, sociali e familiari), la cui consegna era stata richiesta dall'autorità giudiziaria rumena al fine di sottoporlo alla pena detentiva per reati di evasione fiscale.
La Corte territoriale di Bologna aveva pertanto chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di uno Stato non appartenente all'UE, ma stabilmente radicato nel territorio italiano, per consentirgli di scontare la sua pena in Italia. I Giudici bolognesi osservavano che questa possibilità è già oggi prevista per i cittadini italiani e per quelli di altri paesi dell'Unione, ma non per i cittadini extracomunitari.

La Consulta aveva rimesso la questione alla CGUE con l'ordinanza n. 217 del 2021.
In risposta al quesito, i Giudici europei hanno dichiarato l'incompatibilità con il principio di uguaglianza davanti alla legge, sancito dall'art. 20 della CDFUE, di una normativa che discrimini il cittadino extraeuropeo dal cittadino di un paese dell'Unione, escludendo in modo assoluto e automatico che possa essere rifiutata l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo in situazioni come quella all'esame.

Sulla base di quanto affermato dalla CGUE, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 18-bis della L. n. 69/2005, «nella parte in cui non prevede che la corte d'appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano», alle condizioni precisate dai Giudici europeo, affinché possa scontare la propria pena in Italia, per favorirne il reinserimento sociale.
Con riferimento alla nuova normativa in vigore dal 2021, la Consulta ha limitato questa possibilità ai cittadini extracomunitari che risiedano da almeno cinque anni nel territorio italiano, poiché tale condizione è oggi legittimamente prevista dal Legislatore italiano per i cittadini di altro Stato dell'Unione.

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